Abilità del XXI secolo: qual è la migliore?
C’è una domanda che è stata fatta a tutti da piccoli. E di solito la risposta che si dava era piena di speranza e positività, come quando un innamorato parla della persona amata. La domanda assume diverse forme, ma forse la più ricorrente e anche la più semplice è: e tu…che cosa vuoi fare da grande? In che cosa userai le tue abilità?
Molto probabilmente pochi di quelli che ci fecero questa domanda credettero nella risposta che demmo. D’altro canto, buona parte di quelli che ottennero credibilità la perdettero dato che poco tempo dopo risposero in modo diverso. In modo molto diverso, in realtà.
Da scrittori erano passati a essere astronauti, da presentatori a registi o da pagliacci a receptionist di un hotel. Cosicché, molti di loro quando avevano quattro, cinque, sei o sette anni si addormentarono avvocati e si svegliarono medici, indipendentemente da quello che gli altri potevano pensare.
La domanda degli altri diventa la propria domanda
Arriva un momento in cui questa domanda non ci viene più posta dagli altri, bensì siamo noi stessi che iniziamo a farcela… e la risposta non è sempre facile. Sia perché magari è molto evidente, ma il cammino è molto difficile, sia perché non c’è un’unica risposta e non è strutturata o perché, in realtà, non troviamo una professione che risponda a una nostra vocazione. Naturalmente, ci sono persone che hanno una visione molto chiara riguardo a tale decisione, ma la realtà ci dimostra che non sono la maggioranza.
I nostri genitori non sono molto contenti di questa instabilità. In qualche modo, i loro volti mutano, le loro espressioni diventano serie e gli si alza la pressione. Sembrano volerci dire: “non sei più un bambino, non puoi continuare a prendere tutto come un gioco! Hai già fatti vari tentativi. Adesso ti tocca decidere “definitivamente”, mettere in pratica una abilità e non provare a fare di tutto senza nessuna logica”.
Nel caso in cui non abbiamo preso una decisione “definitiva”, i genitori (e non solo) possono iniziare a pensare che hanno davanti a sé un figlio che non ha la minima idea di cosa fare nella vita. Non è raro che prima o poi anche la persona interessata inizi ad avere quest’idea e, pertanto, smetta di provare indipendentemente dalla sua abilità.
Forse non lo farà, in ogni caso eviterà di allontanarsi dalle intenzioni espresse e approvate dagli altri. In caso contrario, potrebbe ricevere commenti come per esempio: “Con tutti gli sforzi che hai dovuto fare per finire la facoltà di medicina, adesso ti metti a restaurare mobili?”.
E si genera un paradosso: con il passare degli anni le persone valorizzano di più la stabilità; tuttavia, nei momenti in cui la morte ci ricorda che la nostra vita ha un termine, rimpiangiamo il carattere avventuriero che prima o poi, in qualche modo, seppelliamo.
Persone che hanno tante abilità…
Le persone che cambiano spesso i propri progetti, che passano da un campo a un altro, molte volte sono state incomprese e persino disprezzate da gran parte della società, la quale vedeva solo nella specializzazione la possibilità di progredire. In questa parte della società vi erano le persone che avevano una chiara vocazione e che si sono specializzate in un determinato campo in base a una sola abilità, ma soprattutto persone che hanno rinunciato alla propria essenza, reprimendo ogni loro impulso per concentrarsi su un unico obiettivo.
E quando rinunciamo a qualcosa, che si tratti di un desiderio, di una speranza, di certi benefici, etc., diventiamo più critici con quelli che non lo fanno. Per esempio, quelli che criticano maggiormente le persone che copiano in un esame di solito non sono quelle che non hanno avuto l’opportunità di farlo, ma quelli che ce l’hanno avuta e non sono riusciti a sfruttarla. Pertanto, anche le persone che cercano di uscire da un ambiente marginale sono quelle che criticano di più chi vi resta. Molte volte, in modo ingiusto e vantaggioso.
Di conseguenza, le persone con molte capacità (quelle inquiete o altalenanti di cui parlavamo precedentemente) finiscono per disprezzare la propria natura. Si puniscono e disprezzano ogni volta che non raggiungono il “punto normativo” che stabilisce la fine di un progetto. Parliamo di autostime precipitate, praticamente sotto le scarpe. Parliamo di persone tristi.
Comunque sia, perché? Perché qualcuno non può abbandonare un progetto quando capisce che è soddisfatto del risultato che ha raggiunto e non fa del male a nessuno? Per caso chiediamo a un’ape di continuare a stare sullo stesso fiore quando ha preso tutto il nettare di cui aveva bisogno?
Per fortuna, però, questo panorama sta cambiando. Le persone che hanno partecipato in molti progetti diversi, che hanno cambiato molti posti di lavoro e che possiedono una grande varietà di passioni sono sempre più valorizzate. Lo sono perché hanno tre qualità:
- Sono capaci di sfruttare le intersezioni: conoscendo due campi sono capaci di sviluppare progetti o apportare dei contributi che gli specializzati non potrebbero mai fare. Parliamo di persone appassionate di matematica e di calcio che hanno fatto un’analisi statistica di ciò che succede nel campo da gioco… o delle persone appassionate di biologia e di letteratura che hanno reso questa scienza più accessibile alla società attraverso i libri di divulgazione. Parliamo di persone specializzate nella robotica e con una chiara vocazione nella cura delle persone che, grazie a questa sinergia, hanno saputo mettere la tecnologia al servizio di quelli che la necessitano di più.
- Sono in grado di imparare molto velocemente: dato che hanno dovuto cambiare molti settori, hanno anche dovuto vivere molti inizi. Pertanto, hanno molta esperienza per quanto riguarda l’immersione nello sconosciuto e superare quella tensione superficiale che emerge quando facciamo un cambiamento.
- Sono in grado di adattarsi molto velocemente. La rivista Fast Company definisce l’adattabilità come l’abilità più importante per lo sviluppo, per prosperare nel XXI secolo. Le persone con molte abilità, dunque, hanno una grande capacità di adattamento. Inserendosi sempre in un campo che non è il loro, difficilmente si trovano in uno spazio dove sono a proprio agio. In qualche modo, con tutti questi cambiamenti hanno creato delle strategie per minimizzare l’impatto o l’incertezza di tali mutamenti. Spesso mentre altre persone si sentono a disagio, loro si muovono come dei pesci nell’acqua.
Non sappiamo con certezza se l’abilità più importante per avere successo nel secolo in cui viviamo sia la capacità di adattamento o meno, ciò che è evidente, però, è il valore che le aziende attribuiscono sempre di più allo spirito di iniziativa. Cercano persone che sappiano fare o che siano disposte ad apprendere. È certo che la specializzazione continua ad avere il suo peso, ma inizia ad essere visto di buon occhio il fatto anche avere esperienza in vari campi, in quanto sono delle fonti di idee per il settore di interesse e per lo sviluppo dell’azienda.