Adattamento autodistruttivo: abituarsi al dolore

A volte normalizziamo la sofferenza convincendoci che non esista via d'uscita. Accettare di soffrire, anche quando una soluzione è possibile, ci dilania. Quindi, perché lo facciamo?
Adattamento autodistruttivo: abituarsi al dolore
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 10 dicembre, 2022

Quando ci pungiamo con la spina di una rosa, ci facciamo male, eppure a volte la lasciamo sotto pelle per un bel po’. Sappiamo che è lì, ma provoca un dolore diverso, tanto che potremmo persino sopportarlo, fino a quando non decidiamo di toglierla. Nei rapporti umani talvolta capita lo stesso, e la situazione sfocia in una condizione nota come adattamento autodistruttivo.

Consideriamo normale la sofferenza in modi sorprendenti e insospettabili. La maggior parte di noi non sa fino a che punto arrivi la nostra innata capacità di adattamento. Lo vediamo spesso negli ambienti di lavoro dove alcune persone possono occupare per decenni un’occupazione pur vedendosi negare diritti o subendo molestie o mobbing.

Stringiamo i denti per lo stipendio mensile? A volte dietro questo atteggiamento c’è di più. Possiamo continuare a eseguire un lavoro umiliante convinti che “ci tocchi farlo” o perché “tutti i lavori sono brutti”. Attraverso queste verbalizzazioni e auto-giustificazioni, ci si abitua a ignorare il peso della frattura psicologica.

L’adattamento autodistruttivo va oltre il mero masochismo e cela una serie di realtà che vale la pena di conoscere.

Adattamento autodistruttivo, quando soffrire diventa “normale”

Il fenomeno dell’adattamento autodistruttivo è oggetto di studio in psicologia da diversi anni. Si tratta di un fenomeno inspiegabile se osservato dall’esterno. I comportamenti autodistruttivi e non regolati potrebbero essere compresi solo da un punto di vista: ottenere qualcosa in cambio.

È il caso delle dipendenze, come l’abuso di alcol o droghe. Sono dannosi, eppure si riceve piacere in cambio. Lo stesso accade con pratiche come l’autolesionismo, o cutting. In questo caso, il dolore fisico funge da valvola di sfogo per il dolore emotivo.

Quale spiegazione dare, invece, per chi trascina per anni un rapporto di coppia infelice? Perché, anche se traditi in modo seriale, non vogliamo spezzare il legame? Quali benefici otteniamo quando ci sentiamo umiliati sul posto di lavoro? Approfondiamo a seguire le possibili cause.

La personalità autodistruttiva

Per comprendere la cause che a volte conducono a un adattamento autodistruttivo, partiamo dalla base: la personalità. Sebbene possa sorprenderci, esiste un profilo più orientato verso situazioni lesive, al punto da considerarle normali.

È stato Theodore Millon, psicologo statunitense e pioniere nella ricerca sulle personalità, a introdurre per la prima volta questo termine.

  • La personalità autodistruttiva instaura ripetutamente lo stesso tipo di relazione tossica.
  • Si muove in modo volontario tra persone che la tradiscono e la deludono.
  • Normalizza il maltrattamento perché i suoi legami sono orientati verso la dipendenza assoluta. Per Millon, l’adattamento autodistruttivo è spesso un disturbo borderline della personalità.

Personalità masochista

L’adattamento autodistruttivo è tipico anche della personalità masochista. In questo caso rientra in una precisa categoria patologica: il disturbo di personalità autodistruttivo o masochista. Uno studio condotto da Otto Kernberg, definisce le caratteristiche di questa personalità:

  • Si svaluta costantemente.
  • Non tiene conto dei propri bisogni.
  • Non cerca di partecipare ad attività piacevoli.
  • Si sacrifica all’estremo per aiutare gli altri.
  • Tende a normalizzare (persino a cercare) esperienze di dolore e sofferenza.
  • Rifiuta l’aiuto degli altri e tende a rifuggire da chiunque la tratti con rispetto.

Quando si è conosciuto solo sofferenza

Vedere qualcuno che sopporta, fino a limiti inauditi, la sofferenza non può che lasciarci turbati. Ciononostante, prima di giudicare, occorre capire.

Immaginate una persona che ha subito violenze fisiche e psicologiche durante l’infanzia. Fin da bambino ha capito che a volte l’amore è accompagnato dall’umiliazione e che chi ama fa piangere e soffrire. Un’esperienza simile spiega senz’altro perché molte persone sopportino il dolore senza reagire.

Uomo triste alla finestra.

L’adattamento autodistruttivo e la paura del cambiamento

“Che ne sarà di me se lascio mio marito, dove andrò a stare?”. “Se mi licenzio, che altre vie d’uscita mi restano?”. La resistenza al cambiamento è un fattore a cui non prestiamo la dovuta attenzione. Talvolta è così radicata da limitare il nostro potenziale e il nostro benessere, al punto da diventare patologica.

Ci riferiamo a quelle situazioni in cui la paura di cambiare è più terrificante dell’esperienza che si potrebbe vivere. L’adattamento autodistruttivo tende a normalizzare così tanto il dolore e l’umiliazione da non far intravedere nessun’altra possibilità o modo di vivere. In questi casi, affidarsi a una buona rete di sostegno.

Spezzare la “ragnatela” dell’adattamento autodistruttivo richiede la capacità di nutrire la nostra autostima e di stabilire una distanza da cui percepire quello che ci sta accadendo. Avere una persona che ci aiuti è fondamentale, ma tutto dipende da noi. Dalla nostra decisione, dalla convinzione di non meritare una vita in cui si è costretti a sopportare l’intollerabile.


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  • Millon, T. (1995) Disorders of personality: DSM-IV and beyond. Nueva York: Wiley.
  • Ghent, E. (1990) Masochism, submission, surrender – Masochism as a perversion of surrender. Contemporary Psychoanalysis; 26: 108-136

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