Antipatia: perché proviamo questo sentimento?

Perché proviamo antipatia per qualcuno che conosciamo appena? Attraverso vari studi, la psicologia cerca di rispondere a questa domanda.
Antipatia: perché proviamo questo sentimento?

Ultimo aggiornamento: 12 febbraio, 2023

Il termine antipatia deriva dal greco e si riferisce a un sentimento di opposizione: anti significa “contro” e pathos, “come ci si sente”. I dizionari della lingua italiana definiscono l’antipatia come un “sentimento di repulsione o avversione istintiva verso persone o cose”.

In psicologia, l’antipatia è intesa come un sentimento di avversione. Un rifiuto che può essere conscio o inconscio e come tale viene studiato nell’ambito dei pregiudizi o atteggiamenti di rifiuto verso altre persone e verso gruppi di persone.

Perché proviamo antipatia? Cosa ci porta ad avere dei pregiudizi nei confronti degli altri? Lo scopriremo in questo articolo. Prima però vi parleremo dei pregiudizi e dell’antipatia inconscia.

Un esempio di antipatia inconscia

Può succedere che a livello conscio una persona non provi avversione verso un altro gruppo di persone, ma a livello inconscio il suo comportamento rivela una certa avversione. Un esempio in tal senso è il concetto di “razzismo avversivo”.

Gaertner ha scoperto che in alcuni casi un individuo può essere razzista, ma non lo percepisce a livello cosciente. Nei suoi studi sugli americani che si consideravano liberali e senza pregiudizi, ha scoperto che in alcune circostanze questi stessi individui finivano per discriminare i neri senza rendersene conto.

In questo modo, ha dimostrato che una persona può avere dei pregiudizi nei confronti degli altri e tuttavia non essere in grado di identificarli.

Antipatia. Uomo che parla con un amico di colore.

Alcune cause dell’antipatia

Adesso che sappiamo che si può provare antipatia senza esserne consapevoli, andiamo a vedere quali sono i principali fattori che determinano questo sentimento.

1. Fattori cognitivi

Per costruire i pregiudizi, si utilizzano le stesse procedure di categorizzazione cognitiva che ci guidano nell’elaborazione delle informazioni.

Tutti effettuiamo una serie di azioni mentali autonome e automatiche che classificano, in base a diverse categorie, le persone che conosciamo (colore della pelle, sesso, età, istruzione, ecc.). È una sorta di categorizzazione o classificazione che ci aiuta a fare attribuzioni e generare aspettative.

In relazione a questa tendenza cognitiva molto comune, vari studi dimostrano che si tende a favorire (consciamente o inconsciamente) le persone dei gruppi a cui apparteniamo e non quelle che appartengono ad altri gruppi.

Allo stesso modo, tendiamo a credere (contro molte prove evidenti) che i gruppi a cui non apparteniamo abbiano tratti più omogenei rispetto ai gruppi a cui apparteniamo. L’esempio tipico è quello dell’uomo che afferma che tutte le donne guidano male.

2. Tratti della personalità

Alcuni autori sostengono che certe persone tendono a fare maggiore uso dei pregiudizi. Oggi abbiamo le prove che ci sono individui con una propensione più marcata a sostenere qualsiasi decisione di un’autorità politica, indipendentemente dal fatto che tale autorità sia di destra o di sinistra.

Il Dottor Altemeyer sostiene che si è più soggetti a questo tipo di pregiudizio a seguito delle proprie esperienze di apprendimento. Nello specifico, essere stati educati all’idea che l’autorità ha sempre ragione.

Inoltre, è molto probabile che queste persone abbiano ricevuto un’educazione da cerchie molto ristrette in cui questa idea è condivisa da tutti. Pertanto, avviene un’assimilazioni di concetti senza metterne in discussione i contenuti.

3. La percezione dei gruppi

I pregiudizi sono legati al modo in cui percepiamo gli altri gruppi di persone. Ad esempio, possiamo pensare negativamente di gruppi che competono con il gruppo a cui apparteniamo.

In generale, i pregiudizi emergono quando un gruppo sociale si sente minacciato da altri gruppi che, in modo reale o simbolico, rivendicano i loro valori. Può anche essere un modo per riaffermare una posizione.

Per esempio, etichettando gli altri come bugiardi, mettiamo in evidenza l’onestà, che può essere uno dei valori principali del nostro gruppo.

Identificarci con un gruppo (qualunque esso sia) migliora la bontà degli aggettivi che utilizziamo per descriverlo. Questo è uno dei motivi per cui le aziende fanno di tutto per convincere i dipendenti a identificarsi con esse.

I responsabili delle risorse umane tendono a vedere di buon occhio il lavoratore che posta nei propri profili pubblici la sua appartenenza all’azienda. Questo sarebbe un segnale che il lavoratore è orgoglioso di far parte di quella azienda e che è disposto a sacrificarti per essa.

Si sa anche che tendiamo a disumanizzare (poco o molto) i membri di altri gruppi. Inoltre, tendiamo ad attribuire emozioni più sofisticate e “umane” ai gruppi a cui apparteniamo.

4. Il contesto

Le ricerche rivelano che alcuni comportamenti pregiudizievoli si verificano in determinate circostanze, ma non in altre. Quindi, in certi contesti sarebbe più facile essere più o meno simpatici.

Ad esempio, ci sono persone molto aperte e socievoli quando dialogano con una sola persona, ma tendono a tacere o a prendere le distanze quando il resto degli interlocutori forma un gruppo.

Amiche che hanno una discussione.

Antipatia, è possibile intervenire a livello cosciente?

Antipatia e pregiudizi possono avere radici diverse e crescere grazie a diversi nutrienti. Una variabile che modula questo fenomeno è il nostro sistema di categorizzazione, quel modo automatico di posizionare gli altri nei nostri schemi o associarli a caratteristiche diverse individuando in essi determinati tratti.

Per esempio, associamo il colore della pelle ad una maggiore o minore cultura o a maggiori o minori aspirazioni. Questi processi mentali sono molto influenzati dall’educazione ricevuta e dallo spirito critico che abbiamo sviluppato.

In molte occasioni, l’attività del nostro cervello rende difficile essere neutrali, imparziali e obiettivi. La buona notizia è che possiamo intervenire a livello cosciente su questi processi come quando controlliamo il flusso dell’aria che entra nei nostri polmoni.


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