Artemisia Gentileschi, biografia di una pittrice barocca

Artemisia Gentileschi è stata una grande pittrice del periodo barocco. Di padre pittore e fortemente influenzata da Caravaggio, la Gentileschi è una delle donne tra le più note della storia dell'arte.
Artemisia Gentileschi, biografia di una pittrice barocca
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 16 febbraio, 2023

Artemisia Gentileschi fu una pittrice barocca del XVI secolo. Come per molte altre donne nella storia dell’arte, il suo nome cadde nell’oblio per diversi anni.

Storici e collezionisti attribuirono le opere della Gentileschi ad artisti uomini. E, in fondo, anche la vita e l’opera di Artemisia Gentileschi esemplificano il forte maschilismo del XVI secolo.

Attualmente, la Gentileschi è riconosciuta come pittrice del primo barocco italiano. Le sue opere mostrano il carattere e le pennellate dell’epoca e una profondità dei personaggi davvero unica.

In questo articolo cercheremo di rendere omaggio a questa donna dimenticata dalla storia, ma che rivendica senza dubbio un posto importante.

Infanzia e gioventù di Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi nacque l’8 luglio del 1593 a Roma, in quello che al tempo era noto come Stato della Chiesa. Fu una pittrice di talento, figlia primogenita di Prudentia Montone, che morì quando Artemisia aveva 12 anni, e di Orazio Gentileschi, noto pittore.

Suo padre fu uno dei principali sostenitori del rivoluzionario pittore barocco noto come Caravaggio. L’artista fu anch’ella una delle principali sostenitrici della seconda generazione dei caravaggeschi.

Artemisia mostro fin da subito le sue enormi doti per l’arte, e fu iniziata alla pittura da suo padre. Orazio Gentileschi era amico di Caravaggio, il pittore più ribelle e provocatorio della scena artistica romana dell’epoca.

Caravaggio e Orazio vennero persino accusati di aver disegnato, in una strada di Roma, un graffito diffamatorio contro un altro pittore. Durante il processo, Orazio raccontò l’aneddoto di quando Caravaggio si recò a casa sua per chiedergli in prestito delle ali d’angelo.

Questo dettaglio ci fa dedurre che il grande artista abbia mantenuto una stretta relazione con la famiglia Gentileschi, per cui è molto probabile che Artemisia lo abbia conosciuto.

Dipinto di donna con piuma

Essendo allieva di suo padre e del paesaggista Agostino Tassi, i lavori di Artemisia sono difficili da distinguere da quelli di questi due pittori. Inizialmente, Artemisia Gentileschi adottò uno stile pittorico molto simile all’interpretazione caravaggesca e un po’ troppo lirica di suo padre.

La sua prima opera conosciuta è Susanna e i vecchioni (1610), realizzata da lei, ma attribuita al padre. Dipinse anche due versioni di uno studio del Caravaggio (mai realizzato da suo padre), Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613 circa ; 1620 circa).

Artemisia Gentileschi, vittima di abuso

Nel 1611, Orazio venne incaricato di decorare il Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma, insieme al pittore Agostino Tassi. Con l’intenzione di agevolare Artemisia, che allora aveva 17 anni, nel perfezionamento della tecnica pittorica, Orazio ingaggiò Tassi per aiutarla.

Questo diede a Tassi la possibilità di trovarsi spesso solo con Artemisia e durante una delle lezioni di pittura abusò di lei. Dopo lo stupro, Artemisia iniziò una relazione con l’uomo credendo che si sarebbero sposati.

Tuttavia, poco tempo dopo, Tassi si rifiutò di sposarla. Orazio prese la decisione, inusuale per l’epoca, di denunciarlo per stupro, avviando un processo che durò ben sette mesi.

Artemisia era vergine al momento dello stupro e il processo rivelò altri dettagli sconcertanti, come le diverse accuse nei confronti di Tassi sull’assassinio della prima moglie.

Come parte di un procedimento giudiziario, Artemisia dovette sottoporsi a un esame ginecologico per dimostrare di aver perso la verginità al momento dello stupro. Inoltre, fu costretta a testimoniare sotto tortura al fine di dimostrare la veridicità delle sue dichiarazioni.

Per un artista, queste esperienze avrebbero potuto essere devastanti, ma per fortuna Artemisia non riportò danni permanenti alle dita. La sua testimonianza appassionata, nella quale sostenne che avrebbe potuto uccidere Tassi dopo lo stupro, fornisce una serie di indizi sul suo carattere inusuale per l’epoca e la sua determinazione.

Tassi fu infine dichiarato colpevole e punito con l’esilio. La sentenza, tuttavia, non venne mai applicata in quanto ricevette la protezione del Papa, in virtù delle sue qualità artistiche.

Molti dei successivi dipinti di Artemisia Gentileschi mostrano scene di donne aggredite da uomini o donne in posizioni di potere e in cerca di vendetta.

Artemisia Gentileschi a Firenze sotto la protezione dei Medici

Un mese dopo la fine del processo, Orazio Gentileschi combinò il matrimonio di Artemisia con l’artista Pierantonio Stiattesi. In seguito, la coppia si trasferì a Firenze, città natale di Stiattesi.

A Firenze, Artemisia ricevette una delle sue prime e importanti commissioni, un affresco in Casa Buonarroti. Il nipote del pittore aveva trasformato la casa di Michelangelo in un monumento e museo.

Nel 1616, fu la prima donna a essere ammessa all’Accademia di Disegno di Firenze. Ciò le permise di poter acquistare il materiale senza il permesso del marito e di firmare i propri contratti.  Ottenne anche il sostegno del Granduca di Toscana, Cosimo II de Medici, dal quale ricevette diverse commissioni molto remunerative.

Nella città toscana iniziò a sviluppare il suo stile personale. A differenza di molti altri artisti del Seicento, Artemisia Gentileschi si specializzò nella pittura storica invece che nelle nature morte e nei ritratti.

Nel 1618, ebbero una figlia, Prudentia, che prese il nome della defunta madre. Più o meno in questo periodo, Artemisia iniziò una storia d’amore appassionata con un nobile fiorentino di nome Francesco Maria di Niccolò Maringhi.

La storia di questo amore è documentata in una serie di lettere inviate da Artemisia a Maringhi, scoperte dall’accademico Francesco Solinas nel 2011. In un modo non propriamente convenzionale, il marito di Artemisia venne a conoscenza del fatto e usò le lettere d’amore della moglie per ricattare e ottenere denaro da Maringhi.

“Mostrerò alla Vostra Illustre Signoria ciò che una donna è capace di fare.”

-Artemisia Gentileschi-

Il nobile Maringhi fu parzialmente responsabile del mantenimento finanziario della coppia. Le finanze erano infatti una preoccupazione frequente a causa della cattiva gestione del denaro da parte di Stiattesi.

Ritorno a Roma, ritorno al Caravaggio

I problemi finanziari, senza dimenticare i pettegolezzi riguardo gli amori di Artemisia, causarono seri contrasti nella coppia e, nel 1621, Artemisia fece ritorno a Roma senza il marito. Nella città eterna, tornò alle influenze e alle innovazioni del Caravaggio e lavorò con molti dei suoi seguaci, tra cui il pittore Simon Vouet.

Tuttavia, a Roma non ottenne il successo sperato, motivo per cui verso la fine del decennio si trasferì per un periodo a Venezia, probabilmente alla ricerca di nuove commissioni.

I colori utilizzati da Artemisia Gentileschi erano più brillanti di quelli usati dal padre. Tuttavia, continuò a impiegare il chiaroscuro, reso popolare da Caravaggio, sebbene suo padre avesse abbandonato questo stile già da molto tempo.  

Dipinto di donna che guarda in alto

Alla corte inglese: gli ultimi anni

Intorno al 1630, si trasferì a Napoli e nel 1638 giunse a Londra, dove lavorò con suo padre per il re Carlo I.

Padre e figlia lavorarono ai dipinti sul soffitto della Sala Grande nella casa della regina Enrichetta Maria, moglie di Carlo I, a Greenwich. Dopo la morte di suo padre nel 1639, rimase a Londra ancora per diversi anni.

Nel periodo londinese, Artemisia dipinse alcune delle sue opere più famose, tra cui il suo Autoritratto come allegoria della Pittura (1638). Secondo il biografo Baldinucci (che aggiunse la sua vita alla biografia del padre), l’artista dipinse molti ritratti superando in fretta la fama del padre.

Più tardi, probabilmente intorno al 1640 o al 1641, si stabilì a Napoli, dove dipinse diverse versioni della storia di Davide e Betsabea, ma non si sa molto degli ultimi anni della sua vita. L’ultima lettera conservata risale al 1650 e, da quanto scritto, risulta fosse impegnata attivamente nel lavoro in quel periodo.

La data della morte è incerta; alcune prove suggeriscono, infatti, che lavorasse ancora a Napoli nel 1654. Si ipotizza dunque che possa essere morta a causa della peste che devasto la città nel 1656.

L’eredità di Artemisia Gentileschi

Il contributo artistico di Artemisia Gentileschi ha una storia controversa e complessa. Sebbene fosse molto rispettata e conosciuta in vita, dopo la morte fu quasi completamente dimenticata dai resoconti storico-artistici del tempo.

Ciò è dovuto in parte al fatto che il suo stile era simile a quello del padre e molte delle sue opere furono erroneamente attribuite a Orazio Gentileschi. L’opera di Artemisia è stata riscoperta solo all’inizio del 1900 ed è stata particolarmente difesa dallo studioso del Caravaggio, Roberto Longhi.

“Finché avrò vita, sarò io ad avere il controllo della mia esistenza.”

-Artemisia Gentileschi-

I resoconti accademici e popolari sulla vita e le opere di Artemisia Gentileschi, tuttavia, erano appesantiti da interpretazioni romanzate e troppo sessualizzate. In un certo senso, ciò si dovette anche alla diffusione di un romanzo scandalistico sulla sua figura, pubblicato dalla moglie di Longhi, Anna Banti, nel 1947.

Negli anni ’70 e ’80 alcune storiche dell’arte femministe, come Mary Garrard e Linda Nochlin,  riabilitarono la figura dell’artista. Le studiose si concentrarono soprattutto sulle importanti conquiste artistiche ottenute e sull’influenza che Artemisa ebbe nella storia dell’arte, piuttosto che sulla sua biografia.


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