Avvertenze sul fumo: curioso effetto
Da tempo e in quasi tutto il mondo vengono realizzate campagne di sensibilizzazione sugli effetti del fumo. Una delle strategie utilizzate è quella di stampare avvertenze sul fumo sulle confezioni delle sigarette.
Tali avvisi hanno attraversato sostanzialmente due fasi. All’inizio era semplicemente scritta una nota del tipo: “Il fumo nuoce alla salute” o “Le sigarette provocano il cancro”. In un secondo momento, è diventato chiaro che queste affermazioni erano state ignorate dalla maggior parte dei fumatori.
Verificando ciò, si è pensato che le immagini potessero essere molto più convincenti per i fumatori. Da quel momento in poi, le avvertenze sul fumo sono state accompagnate da fotografie con immagini forti che mostrano lo stato di diversi organi affetti da cancro.
Si tratta senza dubbio di immagini che fanno paura. Ed era proprio questo l’intento: suscitare paura. Eppure, non ci sono riusciti, perché?
Avvertenze sul fumo e terrore
Sebbene la paura sia molto potente, al punto da motivare innumerevoli azioni negli esseri umani, la verità è che nel caso dei fumatori non ha avuto l’effetto desiderato.
Da uno studio, è emerso che i più indifferenti a questi messaggi sono proprio coloro i quali fumano di più: gli uomini di età compresa tra i 21 e i 25 anni.
Tuttavia, lo stesso studio rileva che le immagini raccapriccianti di polmoni in decomposizione o lingue quasi distrutte sono trascurate dal 60% dei consumatori di sigarette. Quello che fanno quasi tutti è semplicemente non guardare le fotografie o non soffermarsi su di esse.
Praticamente tutti i fumatori sanno che il tabacco nuoce alla loro salute, eppure proteggere la salute sembra non essere tra le loro priorità.
Il fumo è molto più di una cattiva abitudine: è una dipendenza ed è anche legata alle difficoltà di gestione dell’ansia. Ne consegue che le avvertenze sul fumo e le sue conseguenze future non li convince a smettere.
L’effetto paradosso delle avvertenze sul fumo
In uno studio di neuromarketing con risonanza magnetica funzionale, condotto da Martin Lindstrom e dalla dott.ssa Gemma Calvert, nel 2007, è stato dimostrato che le immagini sulle conseguenze del fumo stimolano il nucleus accumbens. Quest’area cerebrale si attiva quando il corpo desidera qualcosa di molto forte.
In altre parole, le avvertenze sul fumo hanno un effetto paradossale: stimolano il desiderio di fumare, invece di ridurlo. A coloro i quali hanno partecipato allo studio è stato chiesto se trovassero credibili le avvertenze sul fumo e la maggior parte ha risposto di sì. È stato anche chiesto loro se i messaggi li hanno motivati a smettere di fumare e la maggior parte ha risposto di sì.
Nonostante ciò, la risonanza magnetica indicava l’opposto a livello cerebrale. Dopo aver analizzato attentamente i dati, i ricercatori hanno concluso che queste immagini generano una dose significativa di ansia nei fumatori. Questo, a sua volta, fa desiderare loro una sigaretta.
I messaggi che funzionano
Se molte persone fumano, è proprio perché non trovano un altro modo per gestire l’ansia, dunque non è una buona idea generare più ansia per convincerle a smettere. Gli studiosi, di fatto, hanno osservato che alcuni messaggi aggiuntivi hanno accresciuto l’interesse di molti a smettere di fumare.
Le avvertenze sul fumo associate ai danni che possono essere causati a terzi hanno una maggiore influenza sul desiderio di smettere di fumare. Quando si sottolineavano gli effetti del fumo passivo sugli altri o sull’ambiente, era presente anche l’effetto ansia, ma accompagnato da una serie di riflessioni sull’importanza di smettere di fumare.
Conclusioni
I risultati citati mostrano che ricorrere alla colpa come strumento di punizione non è efficace in comportamenti complessi, come una dipendenza.
Se i meccanismi interni che portano una persona a “danneggiarsi consapevolmente” vengono ignorati, gli avvertimenti terrificanti sono di scarsa o nulla utilità.
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Crespo, A., Cabestrero, R., Barrio, A., & Hernández, O. (2008). Atención visual y advertencias sanitarias antitabaco: hacia una nueva era en la comunicación de riesgos para la salud. Infocop (38), 54-56.