Crisi suicida o autolesionista: intervento

L'intervento nelle crisi suicide o autolesioniste è uno dei più delicati. La pressione che il terapeuta può sentire in questi casi è grande. In questo articolo parliamo delle prime sessioni, quando la possibilità che il paziente commetta il suicidio è maggiore.
Crisi suicida o autolesionista: intervento

Ultimo aggiornamento: 05 luglio, 2021

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indica che il suicidio è la principale causa di morte violenta in tutto il mondo; persino superiore agli omicidi e alle morti dovute alla guerra. Dal 2016 in molti paesi europei il numero di suicidi è raddoppiato rispetto a quello dei decessi per incidenti stradali. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di dedicare questo articolo a come intervenire nella crisi suicida o autolesionista.

Il suicidio è anche la seconda causa di morte innaturale tra i 15 e i 25 anni. Pare proprio che questo gesto, e tutta la psicopatologia che lo accompagna, debba essere considerato un’epidemia che non smette di minacciare la salute pubblica e il benessere delle persone.

Nel campo della psicoterapia, l’intervento nella crisi suicida o autolesionista è fondamentale sin dalla prima seduta.

Gli innumerevoli miti e i pregiudizi sul suicidio e la paura di un ipotetico – e anche empiricamente confutato – “effetto boomerang”, fanno sì che il suicidio raramente appaia sui titoli dei giornali e dei telegiornali. In seguito a ciò, le conoscenze di molta gente sull’argomento sono scarse e superficiali.

Cadere nel mito durante un intervento in una crisi suicida è un errore che deve essere corretto, sia per l’impatto che può avere sul paziente che sulla prognosi successiva.

La crisi suicida e la prima seduta

È importante sottolineare che parlare di suicidio non aumenta le possibilità che la persona intraprenda questa strada. Non bisogna aver paura di porre domande specifiche su eventuali pensieri suicidi o sui comportamenti autolesionisti.

Strumenti di valutazione come il BDI-II (Beck, Steer, Brown, Sanz & Vázquez, 2011), di fatto, pongono domande esplicite non solo sull’intento suicida; provano anche a stabilire il livello di rischio.

Per i terapeuti, pertanto, il BDI-II si configura come uno strumento di misurazione standardizzato, grazie al quale è possibile valutare liberamente, senza timore di rafforzare queste idee.

La valutazione deve essere esaustiva. Deve prendere in considerazione fattori come il sostegno sociale e ambientale, la presenza di eventuali patologie mediche, la storia pregressa e familiare di psicopatologia, eventuali precedenti tentativi di suicidio ed esplorazione dell’atto suicida (metodo utilizzato, pianificazione, intenzionalità… ).

A partire da questi elementi, è possibile valutare la necessità di un ricovero ospedaliero. Tuttavia, a volte il ricovero non sempre è possibile o i tentativi di suicidio non sono così urgenti. Quindi bisognerà analizzare la situazione in una sessione di 50 minuti e motivare il suo follow-up.

Comportamenti alternativi e controllo stimolante

L’intervento in una crisi suicida deve tenere conto del numero di sessioni di psicoterapia. La terapia psicologica solitamente viene organizzata attraverso degli appuntamenti settimanali.

Se durante la prima sessione, lo psicoterapeuta si rende conto che il paziente mostra idee suicide, bisognerà riprogrammare e aumentare le sessioni ad almeno due a settimana. In questo modo, il paziente dovrà affrontare solo due o tre giorni senza supporto terapeutico.

Allo stesso modo, non bisogna pretendere che il paziente possieda delle strategie di coping che può sviluppare nei momenti di crisi suicida. Fino a quando non si raggiunge questo livello con un maggiore grado di autonomia, sarebbe opportuno lavorare sulla relazione terapeutica due giorni alla settimana, introducendo dei compiti da svolgere.

In una prima seduta non è possibile pretendere una corretta gestione emotiva da parte del paziente. Pertanto, l’obiettivo non è impedire i pensieri suicidi o autolesionisti, ma stilare una lista di comportamenti alternativi da mettere in pratica quando aumenta il malessere.

Questi tipi di comportamento possono essere: fare la doccia, ascoltare un po’ di musica, leggere, fare una passeggiata, parlare con un amico o una persona cara di qualcosa di diverso, etc.

Anche se sembrano azioni banali, costringere la persona a uscire di casa e stabilire un controllo degli stimoli con comportamenti incompatibili con il suicidio —come parlare con un amico— può essere decisivo quando si tratta di impedire alla persona di compiere delle azioni autolesioniste.

È importante stilare l’elenco di questi comportamenti alternativi durante la prima seduta e, la volta successiva, verificare se sono stati messi in pratica. Se il cliente fa riferimento a una crisi suicida in cui non ha utilizzato queste alternative, sarebbe interessante valutarne il motivo.

Trovare una ragione per vivere di fronte a una crisi suicida

Dopo la prima seduta, è necessario procedere con una ristrutturazione cognitiva, per individuare una ragione per cui valga la pena vivere.

Tuttavia, dato che la prima seduta sarà insufficiente per instaurare un dialogo adeguato ed efficace, si può proporre un semplice elenco, possibilmente con fotografie, che motivino dei comportamenti alternativi al suicidio.

Lo scopo dell’elenco dei motivi per vivere è fare in modo che il cliente lo abbia sempre a portata di mano per usarlo nei momenti critici. Ovvero, quando i pensieri negativi prendono il sopravvento e i lati positivi della vita vengono dimenticati.

Questa e altre misure devono essere sempre accompagnate da una valutazione ben pianificata, che dia al terapeuta indizi sulla quantità e la qualità dei possibili elementi da includere nella lista.

Per facilitare l’uso di questo metodo, ci sono delle applicazioni come Prevensuic, con strumenti come “Motivi per vivere” o “Foto della mia vita” che possono essere rilevanti durante la sessione.

Contratto di non suicidio: è valido?

Il contratto di non suicidio tra il paziente e il terapeuta è valido fino alla seduta successiva. Ad esempio, il cliente deve impegnarsi a non suicidarsi nei 3 giorni successivi, quando cioè avrà luogo la sessione successiva. A quel punto, il contratto verrà firmato nuovamente per rinnovarne la validità.

La firma del contratto verrà diluita con il passare delle sedute, e magari, nel frattempo, i pensieri suicidi saranno sempre meno ricorrenti.

Fin dalla prima seduta, quindi, possono essere svolte delle attività che forniscano al paziente delle risorse contro l’ideazione suicida. Stilare degli elenchi per valutare la crisi suicida dimostra che questa viene presa sul serio e può dare inizio ad una proficua collaborazione terapeutica.

Questa connessione sarà centrale per lo sviluppo della terapia e per il miglioramento dell’umore del cliente. I compiti svolti nelle sessioni successive dovranno essere più specifici e incisivi.

Tuttavia, offrire dei comportamenti alternativi, firmare un contratto di non suicidio e usare gli strumenti della psicologia positiva sono azioni molto efficaci per aiutare una persona che vede il suicidio come l’unica opzione.


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  • Chiclana, C. y Giner, L. (2011). Protocolo diagnóstico del paciente con riesgo de suicidio. Protocolos de práctica asistencial, 10(85), 5777- 5781.

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