Errori del terapeuta: i 5 più frequenti

Le abilità del terapeuta possono essere decisive per avviare il cambiamento durante la seduta. Nel presente articolo parleremo di alcuni errori frequenti, e del perché conviene risolverli prima che interferiscano sull'efficacia dell'intervento.
Errori del terapeuta: i 5 più frequenti

Ultimo aggiornamento: 30 maggio, 2020

I fattori che influiscono sullo sviluppo e sui risultati di un percorso di psicoterapia sono diversi, e tra questi troviamo anche gli errori del terapeuta. C’è un’idea fortemente condivisa: il successo della terapia ricade sulla spalle del paziente. Tuttavia, prendere questa affermazione alla lettera può essere un grave errore, visto che sono diverse le variabili in gioco sulle quali il paziente ha poco o nessun controllo.

I fattori che spiegano il cambiamento terapeutico sono: il supporto sociale e la forza dell’Io del paziente (vale a dire, il cambiamento extra-terapeutico), le tecniche pratiche applicate durante la terapia, l’effetto placebo o le aspettative e la relazione paziente-terapeuta (sulla quale gli errori di quest’ultimo possono avere un grande impatto).

Oltre al cambiamento extra-terapeutico, il rapporto che esiste tra il professionista e il paziente è un fattore di un certo peso nell’attuazione del cambiamento.

Diventa quindi importante parlare di particolari errori del terapeuta che potrebbero attentare alla collaborazione, un fattore che rappresenta circa il 40% del cambiamento affrontato dal paziente in psicoterapia (Corbella e Botella, 2004).

Questa lista si basa su un capitolo del manuale Studyguide for Introduction to Psychotherapy (Introduzione alla Psicoterapia), di Pipes e Davenport (2004). In questo capitolo vengono elencati alcuni errori tipici commessi dal terapeuta. Vediamone alcuni.

Terapeuta che parla a un giovane paziente

5 errori del terapeuta

Risolvere il problema prima di averlo compreso

Questo è uno degli errori più frequenti commessi dal terapeuta. Sebbene alcune terapie, come la psicanalisi, cerchino una comprensione molto approfondita delle problematiche dei clienti e investano tempo e sforzo nella comprensione di tale narrativa, ciò non è comune a tutti gli approcci terapeutici.

Molti infatti vedono la semplice realizzazione delle sedute come sinonimo di qualità. Meno tempo si impiega per concludere una terapia, migliore sarà il terapeuta.

Alcuni psicologi, dunque, fanno affidamento a informazioni superficiali, annotando appena le problematiche e intervenendo senza valutare altre aree che a primo impatto sembrano irrilevanti.

Quando un paziente si presenta con uno stato d’animo negativo, ad esempio a causa di un brutto voto, elaboriamo una valutazione e pianifichiamo un intervento, tenendo conto del suo perfezionismo, dei pensieri irrazionali di cui vorrebbe disfarsi, delle tecniche di gestione delle emozioni quando necessario, ma possiamo tralasciare fattori importanti.

Può darsi che il paziente soffra di un disturbo del comportamento alimentare di cui non avevamo tenuto conto perché il cibo non sembrava un argomento problematico. Può anche darsi che quella volta in cui il paziente ci aveva detto che le sue abitudini alimentari cambiano a seguito di risultati insoddisfacenti, abbiamo pensato che fosse una conseguenza dei voti negativi.

Un intervento che non sia preceduto da una corretta valutazione è condannato a fallire. Non c’è nulla di male nell’investire del tempo in questa fase, senza lasciarsi trascinare dall’ansia derivata dal non iniziare subito l’intervento.

Comportamenti inappropriati

Nonostante quanto si possa pensare, gli interventi verbali e non verbali del terapeuta in seduta devono avere un valore funzionale. Per questo motivo, sebbene l’umore, la loquacità, il sarcasmo, le battute, ecc, siano utili a stabilire una relazione più profonda, si raccomanda cautela.

Questi interventi vanno pianificati con un obiettivo, ovvero permettere il confronto, placare l’ansia del paziente, ridicolizzarla o stimolarlo a esprimere le sue idee per raggiungere l’insight, e così via.

Il terapeuta deve tenere sotto controllo anche la risata mentre rinforza un intervento del cliente. Bisogna esaminare il contenuto della battuta, visto che l’obiettivo della stessa tende a essere quello di ridicolizzare un aspetto in particolare.

Va considerato quale aspetto, come si relaziona alla problematica del cliente e, soprattutto, se si vuole rinforzare l’associazione di quella battuta in merito a un determinato argomento. Se il paziente non riesce a prendere nulla sul serio, ha problemi di gestione dell’ira e in un certo momento scherza con un atteggiamento rabbioso e il terapeuta ride, rinforzerà l’idea che quegli attacchi di ira sono di poco conto.

Lo stesso vale per quanto riguarda il tentativo del terapeuta di tenere a bada la propria ansia tramite la risata. Se si mostra insicuro e se il paziente è problematico, il professionista potrebbe ridere nel tentativo di calmarsi, ma il messaggio che passa è che quanto detto dal paziente lo diverte. Questo può confondere e non far sentire il paziente sicuro all’interno dell’alleanza terapeutica. 

Spingere il paziente verso il fallimento, uno degli errori del terapeuta

Cambiamenti straordinari e ottenuti in breve tempo sono lontani dall’essere la norma. Tuttavia, l’entusiasmo o la fretta del professionista possono spingere la terapia in questa direzione, quando non è possibile. Che sia inducendo il paziente a incrementare i suoi contatti sociali, a vivere nuove esperienze, a compiere azioni a primo impatto vantaggiose…

Dimenticare o trattare con superficialità aspetti che potrebbero sembrare semplici è uno degli orrori più frequenti del terapeuta. Forse il paziente non si sente pronto ad allargare la sua cerchia di amicizie parlando con persone nuove. Di conseguenza, tali incontri possono andare male, potrebbe non disporre delle abilità necessarie a mantenere viva una conversazione a determinati livelli o essere incapace di controllare l’ansia in determinati contesti.

L’assenza di risultati, spesso, non è responsabilità del paziente, ma del terapeuta. È importante procedere in modo intelligente e adattando la durata della terapia, assicurandosi che tutti i compiti e le raccomandazioni messi in pratica siano costruiti a seconda dei bisogni del cliente. È fondamentale tenere conto dei suoi ritmi.

Provare a essere amico del paziente

Il terapeuta non ha investito anni di formazione in psicoterapia per diventare una persona che ascolta e dà consigli. Molti professionisti concordano dunque nell’affermare che non si deve essere amici del paziente. Non fa bene alla relazione terapeutica, rende difficile il confronto, i compiti assegnati in terapia vengono considerati opzionali. Il paziente, inoltre, può arrabbiarsi a causa delle aspettative derivanti dal vedere il terapista come amico. Si tratta di uno degli errori del terapeuta più difficili da risolvere.

Si consiglia, pertanto, di evitare azioni che portino il paziente a pensare che il terapeuta cerca di essere più che un professionista. Ad esempio, non commentare l’aspetto del paziente a meno che non faccia parte della terapia, non prestare mai soldi, non dare consigli su cosa dovrebbe fare o meno e, ovviamente, non vedere il cliente al di fuori della terapia.

Errori del terapeuta in seduta che appoggia la mano sulla spalla della paziente

Approcci carenti negli interventi: errori del terapeuta

Esistono diversi interventi che possono causare l’allontanamento dei pazienti, distorcere i messaggi o provocare la sensazione di sentirsi inutili. Se i pazienti si sentono così e se questa sensazione permane durante la terapia, la terapia sarà inefficace. Non bisogna dimenticare gli effetti iatrogeni della terapia per il paziente. Questo significa che il terapista non critica né colpevolizza, atteggiamento che probabilmente è stato adottato in passato dagli amici del paziente, e al professionista non interessa fare parte di questo vasto gruppo.

Anche in assenza di una critica diretta, il paziente potrebbe sentirsi giudicato dall’impazienza del terapeuta o se questi lo giudica disinteressato a cambiare o sostiene che il suo comportamento è stato negligente.

È rischioso e controproducente essere così espliciti. Abbracciarlo e cercare di capire ciò che dice, così come approfondire le sue emozioni, offre molti più vantaggi rispetto a fargli sapere che non aveva ragione.

Infine, si consiglia anche di evitare determinate frasi che potrebbero mettere il paziente sulla difensiva: “Lamentarsi non cambierà le cose”, “Sei una persona che si mette sulla difensiva” oppure “Provi pena per te stesso”. Concentrarsi sulle difficoltà manifestate dal cliente, più che sul correggere i suoi valori, renderà la terapia meno difficile. Proteggere l’alleanza terapeutica è un obiettivo importante per evitare che emozioni come l’entusiasmo, l’ignoranza o l’ego provochino un allontanamento del paziente.


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  • Coberlla, S. y Botella, L. (2004). Investigación en psicoterapia. Procesos, resultados y factores comunes. Madrid: Visión Net.
  • Pipes, R. y Davenport, D. (2004). Introducción a la Psicoterapia. El saber clínico compartido. Bilbao: Desclée de Brower.

Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.