Essere intelligenti, cosa significa?

Cosa ci rende intelligenti? Curiosando nella storia del pensiero, troveremo tante risposte. Vi proponiamo un viaggio "intelligente", dall'antica Grecia ai giorni nostri.
Essere intelligenti, cosa significa?
Sergio De Dios González

Scritto e verificato lo psicologo Sergio De Dios González.

Ultimo aggiornamento: 07 marzo, 2023

L’intelligenza è una delle questioni più dibattute dagli psicologi. Le teorie al riguardo, di fatto, hanno ispirato buona parte delle metodologie in altre branche della psicologia. Il principale rompicapo è stata forse la quantificazione dell’intelligenza. Stabilire se un individuo lo è o meno diventa una sfida impossibile se non non sappiamo che cosa significa essere intelligenti o cosa ci rende tali.

Le definizioni di intelligenza sono molteplici; il numero delle voci offerte dai principali motori di ricerca è impressionante. Per alcuni, l’intelligenza è l’arte di risolvere problemi, per altri è l’arte di proporli o di saper prendere buone decisioni.

In definitiva, molte “arti” ci ricordano che l’intelligenza di per sé, senza la produzione di elementi di valore, seppur potenziale, ha poco senso. Cosa significa dunque essere intelligenti? Cerchiamo di mettere in ordine le idee.

Bambino travestito da Einstein.

Einstein era più intelligente di Mozart?

Fare questa domanda significa in qualche modo contrapporre i melomani con gli appassionati di fisica. Perché? Perché significa “concedere il dubbio” dell’intelligenza a chi mostra la capacita di farci emozionare o soffrire.

D’altra parte, sono in molti a pensare che dovremmo affrontare il concetto di intelligenza da un punto di vista sociale; dal nostro bisogno di entrare in relazione e dai vantaggi che possiamo ottenere (per noi stessi, per l’ambiente più prossimo o per la società) se agiamo bene in tal senso.

Se, per esempio, guardiamo ai primati, ci accorgeremo che il complesso ambiente sociale ne ha stimolato la capacità di ingannare o di mettere in atto comportamenti che potremmo qualificare come altruistici.

Esiste persino un dibattito aperto sulla teoria della mente e sull’esistenza di un senso del sé come individuo separato dagli altri membri del gruppo (Gallup, 1982, Hause, MacNeilage & Ware, 1996).

Quando parliamo di intelligenza, di solito ci riferiamo alle capacità cognitive. All’essere capaci di apprendere, ricordare e usare nuove informazioni, risolvere problemi e adattarci a situazioni nuove.

Teorie sull’intelligenza e test: cosa significa essere intelligenti

Parlando di teorie sull’intelligenza, troviamo agli esordi nomi illustri come Charles Spearman o Francis Galton. Tuttavia, tra tutti, si distingue la figura di Binet. Il suo lavoro si sviluppò in ambito accademico e il suo interesse per lo studio dell’intelligenza era volto a migliorare il sistema educativo, era rivolto in particolare ai bambini che mostravano maggiori difficoltà di apprendimento.

Insieme al collega Theodore Simon, Binet progettò un test per misurare le capacità cognitive dei bambini. Crearono singoli moduli, divisi per fasce di età. Per esempio, un bambino di tre anni dovrebbe essere in grado di indicare bocca e occhi, un bambino di nove anni di disporre i mesi dell’anno in ordine e un ragazzino di dodici di trovare sessanta parole in tre minuti. Il loro modello di valutazione è diventato il primo “test del QI“.

Test, occhiali e matita.

Cosa significa essere intelligenti?

Aristotele è passato alla storia grazie alle sue innovazioni nel mondo del pensiero. Forse una delle più importanti è il suo metodo dialettico per produrre conoscenza; parliamo della maieutica. Chi vuole farne uso deve mettere in campo un’abilità molto speciale: l’arte di formulare domande.

Seguendo questa traccia, ci rendiamo conto che la scienza fa un passo avanti ogni volta che è in grado di porsi domande importanti prima di ottenere una risposta pertinente. Così che, forse, il sintomo primario di intelligenza è legato alla capacità di generare domande.

D’altra parte, i più tradizionali considerano “intelligente” chi riesce a risolvere problemi di logica. La matematica, facilitando l’astrazione e isolando alcune variabili culturali, è stata forse la strada più battuta per testare l’intelligenza. In questo senso, probabilmente, la teoria moderna più stimolante e comprensiva è stata quella di Gardner.

La teoria di Gardner

Secondo questa teoria, l’essere umano elabora le informazioni attraverso vari “canali” indipendenti. Gardner ha quindi identificato 8 tipi comuni di intelligenza:

  1. Matematico-logica.
  2. Visivo-spaziale.
  3. Ritmo-musicale.
  4. Verbale-linguistica.
  5. Corporeo-cinestesica.
  6. Interpersonale.
  7. Intrapersonale.
  8. Naturalistica.

Questa idea è molto interessante e apartire da essa è nata la corrente che si occupa di adattare l’insegnamento alle diverse abilità allo scopo di migliorare l’apprendimento.

Dal canto suo, la psicologia positiva ha ampliato la risposta alla domanda “cosa significa essere intelligenti?” mettendo in rilevo il valore dell’intelligenza emotiva. Questa corrente si oppone all’idea che le emozioni, o l’emotività e l’intuizione associata, siano nemiche dell’intelligenza.

Non solo, sostiene che una persona intelligente è capace di gestire le proprie emozioni in modo corretto, di ascoltare quanto esse hanno da dire e di scegliere il modo migliore per canalizzarne l’energia.


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