Evoluzione del trattamento dei problemi mentali

Evoluzione del trattamento dei problemi mentali
Adriana Díez

Scritto e verificato la psicologa Adriana Díez.

Ultimo aggiornamento: 02 gennaio, 2023

Allo stesso modo in cui la tecnologia avanza e la scienza scopre nuovi processi per renderci la vita più facile, la psicologia non è da meno e il trattamento dei problemi mentali è cambiato nel corso del tempo.

Inizialmente, la psicologia trattava i problemi di salute mentale con la terapia di prima generazione, che consisteva nell’impiegare i meccanismi di apprendimento e “disapprendimento”, vale a dire di condotta azione-reazione. Lo stimolo e la nostra esperienza di apprendimento determinavano la nostra risposta.

D’altro canto, le risposte si rinforzavano o diventavano più probabili con le ripetizioni forzate. Ogni condotta che veniva appresa in fretta prevedeva un premio e si scalava di una posizione nel proprio repertorio di risposte. D’altro canto, l’estinzione di una risposta si verificava quando questa smetteva di essere premiata e tale estinzione si produceva prima se la risposta veniva punita.

Questa prima generazione servì per comprendere uno dei nostri meccanismi di apprendimento più primitivi: il condizionamento. Logicamente, uno dei rami che più si è evoluto sotto questo paradigma è stata la psicologia dell’educazione, che trovò in queste idee un modo semplice per articolare un modello di insegnamento basato sul premio e sulla punizione. Servì anche per capire le varie associazioni più o meno forti che creiamo tra i vari stimoli.

Mano con cervello

Evoluzione del trattamento dei problemi mentali

Terapie di seconda generazione

Con il passare del tempo e degli anni, il trattamento dei problemi mentali si è evoluto e sono comparse le cosiddette terapie di seconda generazione. In cosa consistevano?

Ci si rese conto che non sempre si agiva per associazione di stimoli e risposta, ma che tra queste due mediava qualcosa, ma cosa? Il cervello, le emozioni, la cognizione, i desideri, l’essenza individuale.

È per questo che il nostro modo di pensare assume tanta importanza nelle terapie di seconda generazione. Siamo ciò che impariamo, ma anche ciò che costruiamo a partire da ciò che impariamo. In questa concezione smettiamo di essere passivi e diventiamo attivi, in modo tale che il nostro margine di attuazione si moltiplica.

La cognizione ci permette di affrontare il mondo in un modo o in un altro. Vale a dire, la realtà è importante, ma lo è ancora di più il modo in cui percepiamo quella realtà e l’interpretazione che ne facciamo. Nelle terapie di seconda generazione, si inizia a lavorare sull’atteggiamento, sulle emozioni e sui desideri.

Capire che siamo molto più che macchine che rispondono in funzione di ciò che abbiamo appreso ha permesso di concentrarsi sullo studio della mente di per sé: un intento serio per comprendere cosa provoca la comparsa di alcuni disturbi o perché sperimentiamo alcuni fenomeni paradossali: ad esempio, perché un colpo di fortuna fa sentire una persona triste.

Questo nuovo modo di comprendere il nostro comportamento ha permesso di fare un passo avanti verso un problema che oggigiorno continua a preoccuparci: la mediazione. Allora era facile sapere che distanza separava due luoghi, ma non era facile stabilire il grado di ansia che poteva sperimentare una persona.

Terapie di terza generazione

In epoca più avanzata, e modificandosi anche il metodo di lavoro, non tutti i problemi di salute mentale avevano una soluzione soddisfacente, sorsero dunque le terapie di terza generazione.

Queste terapie intendevano che non era il modo di risolvere il problema a non andare bene, ma la nostra relazione con esso. Per questo motivo, si cominciò a lavorare cercando di integrare le difficoltà, senza provare a risolverle direttamente. L’obbiettivo da raggiungere era fare in modo che i problemi che non avevano soluzione o che non presentavano una soluzione istantanea rimanessero presenti, senza occupare o danneggiare la vita del soggetto. Tra queste troviamo le terapie più recenti, le più affermate e che crescono con più vigore, come la Mindfulness, le terapie di accettazione, etc.

Donna nel mare

Tuttavia, lo studio scientifico della loro efficacia è molto complicato. Questo fa sì che le terapie di terza generazione vengano professate da psicologi seri, ma anche da ciarlatani e persone prive di formazione alcuna. Per tale ragione, suscitano un certo rifiuto in alcuni settori della psicologia accademica.

Abbiamo fatto un piccolo ripasso sulle tre generazioni di terapie psicologiche. Le diverse varietà riguardanti la condotta, i pensieri e le emozioni ci hanno apportato diversi punti di vista, che senza dubbio ci arricchiscono.

Conoscendo meglio come è cambiato il trattamento dei problemi mentali e come si è evoluto il metodo di lavoro in psicologia, è facile intuirne la vastità. Compresa in maniera corretta, inoltre, questa eterogeneità dei punti di vista risulta senz’altro arricchente per lo psicologo, che ottiene da ogni generazione diversi strumenti a cui poter ricorrere durante la terapia.


Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.