I Neanderthal provavano compassione, lo dimostrano i reperti
I Neanderthal provavano compassione. L’immagine classica, diffusa nei secoli XIX e XX, che li dipingevano come creature irrazionali, ottuse e poco intelligenti, viene ora ribaltata.
Negli ultimi anni stanno emergendo aspetti molto interessanti circa le loro capacità artistiche, le abilità cognitive e l’alta preoccupazione per il benessere dei loro simili.
Sappiamo che circa 370.000 anni fa l’uomo moderno e l’Homo neanderthalensis si sono divisi da una stirpe comune. Quest’ultimo si estinse poi gradualmente. I Sapiens, invece, continuarono ad evolversi e a conquistare nuovi territori.
Siamo l’esempio di questo successo genetico ed evolutivo, non c’è dubbio, ma nel nostro DNA resta ancora un 2,6% dei nostri cugini neandertaliani.
Hanno dominato l’Europa dell’era glaciale e lo hanno fatto abilmente, fino a quando le condizioni climatiche lo hanno permesso. La comunità scientifica è ora impegnata a cancellare l’idea che fossero i nostri cugini “stupidi”.
La ricerca, d fatto, sta dimostrando proprio il contrario. Per esempio, lo studio condotto presso l’Università di Southampton, l’Università di Barcellona e l’Università di Alcalá de Henares (Spagna) indica dati rilevanti.
La datazione delle pitture rupestri di Cantabria, Estremadura e Andalusia dimostra che i Neanderthal furono i primi artisti del nostro mondo. Le pitture non erano opera dell’Homo sapiens e quindi è il momento di riscrivere la storia.
“I Neanderthal erano compassionevoli e si prendevano cura dei loro malati. Potrebbero anche aver avuto dei sentimenti che noi non proviamo”.
-Penny Spikins-
I Neanderthal provavano compassione
I Neanderthal conoscevano il senso della compassione. Inoltre, erano premurosi e preoccupati per la sopravvivenza della loro specie. Siamo consapevoli che fare un’affermazione del genere su due piedi può sollevare qualche dubbio. Soprattutto perché, in prima istanza, le informazioni che possono darci una collezione di ossa e teschi possono sembrare limitate.
Tuttavia, non è proprio così. Perché le ossa sono collocate in un ambiente, accompagnate da oggetti e testimonianze. Non bisogna dimenticare che per la paleontologia e l’antropologia nessun osso è muto; tutti raccontano una storia, tutti rivelano un momento del passato.
Esattamente quello che è successo nel sito di La Chapelle aux Saints, dove gli antropologi hanno trovato resti molto interessanti.
Appartenevano a un individuo di 40 anni, vissuto circa 60.000 anni fa. Era un Neanderthal, un soggetto molto vecchio se consideriamo l’aspettativa di vita dei nostri cugini genetici.
Gli studi condotti dalla dottoressa Penny Spikins, ricercatrice del Dipartimento di Archeologia dell’Università di York, hanno dimostrato quanto segue.
Il “vecchio”, il Neanderthal curato e accudito dal suo gruppo sociale
Gli antropologi hanno chiamato questo Neanderthal “il vecchio”. Un’analisi dei suoi resti ha rivelato quanto segue:
- Gli mancavano molti denti e soffriva di una grave malattia parodontale. Certamente aveva grandi difficoltà a mangiare e a masticare.
- Soffriva di artrite alla mascella.
- Aveva l’osteoartrosi in diverse vertebre e nelle spalle.
- Presentava una frattura alle costole e un problema degenerativo al piede destro.
- Aveva anche una grave degenerazione dell’anca, che deve avergli causato grande dolore e difficoltà di movimento.
Tuttavia, tutto questo non gli ha impedito di vivere a lungo, di essere alimentato, curato e aiutato a muoversi quando il gruppo si spostava. Infine, quando il vecchio morì, gli fu data una sepoltura molto accurata.
Questo non è l’unico caso. Disponiamo di reperti registrati che dimostrano ancora una volta che i Neanderthal avevano il senso della compassione. Gli individui che subivano gravi ferite durante la caccia o per cadute traumatiche venivano curati dal clan.
Pochi venivano abbandonati a se stessi, dimostrando che questa cultura era in grado di stringere forti legami e si preoccupava della sopravvivenza dei simili.
Uomo di Neanderthal ed emozioni
Le informazioni che gli scienziati ottengono ogni giorno dai fossili e dai ritrovamenti sono straordinarie. Le tecniche avanzano, si scoprono più siti e più reperti che aiutano a ricostruire il complesso puzzle della nostra evoluzione.
Così, uno dei grandi esperti del settore, José María Bermúdez de Castro, co-direttore del progetto Atapuerca, sottolinea qualcosa di importante.
È chiaro che nei reperti ossei, e in particolare nel cranio dei Neanderthal, non c’è alcun indizio sul fatto che i nostri cugini avessero emozioni e sentimenti. Non possiamo sapere se avessero un sistema limbico come il nostro, cioè quell’area del cervello che orchestra l’universo emotivo.
Tuttavia, non vedere qualcosa non significa che non sia esistito. Se teniamo conto della grande vicinanza genetica tra noi e i Neanderthal, c’è da aspettarsi che anche loro fossero capaci di provare gioia, paura, tristezza, sorpresa e anche, perché no, amore.
Conclusioni
Se c’è una cosa che ci rende umani, sono le emozioni e soprattutto la compassione. Questo era il sentimento che li muoveva quando si trattava di prendersi cura del clan, accudire gli anziani, garantire il benessere e la sopravvivenza ai feriti.
Alcuni reperti sembrano essere forme primitive di giocattoli. I bambini, gli anziani, i diversi membri del gruppo sociale, erano importanti per i nostri cugini genetici.
I Neanderthal non erano creature selvagge e irrazionali. Erano in grado di creare società collaborative, comprendevano l’arte e sperimentavano emozioni sociali come l’affetto, la compassione o la gioia.
È quindi il momento di cambiare la visione che abbiamo di loro, di ricordare che sono parte del nostro codice genetico e quindi della nostra storia.
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D. L. Hoffmann,, C. D. Standish, M. García-Diez, P. B. Pettitt, U-Th dating of carbonate crusts reveals Neandertal origin of Iberian cave art. Science 23 Feb 2018:Vol. 359, Issue 6378, pp. 912-915 DOI: 10.1126/science.aap7778