Il piccolo Albert, il bambino perduto della psicologia

L'esperimento del piccolo Albert ha suscitato numerose polemiche. Tra le critiche, alcune riguardano la vera identità e la sorte del bambino che fu sottomesso a situazioni di terrore per provare che la mente umana può essere condizionata. Ancora oggi i dubbi al riguardo sono molti.
Il piccolo Albert, il bambino perduto della psicologia
Sergio De Dios González

Revisionato e approvato da lo psicologo Sergio De Dios González.

Ultimo aggiornamento: 22 marzo, 2023

La storia del piccolo Albert è una fra le più confuse e controverse della psicologia, frutto della mente del famosissimo John B. Watson, considerato il padre del comportamentismo. Tale corrente, in linea generale, sostiene che il comportamento degli esseri umani si modella in funzione di stimoli e risposte.

Secondo il comportamentismo, il comportamento dell’uomo può essere modellato o “addestrato”. A differenza di altre correnti, secondo i comportamentisti la felicità di una persona anziana in Cina è esattamente uguale a quella di un neonato in Messico. Non importa cosa succede dentro ciascuno di noi, quello che conta è la condotta osservabile.

Per provare la sua ipotesi, John Watson realizzò una serie di esperimenti. Il più famoso è quello del piccolo Albert, un bambino di 9 mesi di età, la cui sorte a seguito dei test di Watson non fu mai nota. Alcuni ricercatori si sono dati però da fare per scoprire cosa accadde davvero ad Albert, portando alla luce interessanti sorprese.

Non sarò soddisfatto fin quando non disporrò di un laboratorio in cui poter crescere un bambino dalla sua nascita fino ai 3 o 4 anni di vita sotto continua osservazione.”

-John B. Watson-

Fotografia di John Watson

L’esperimento del piccolo Albert

Prima di approfondire le conseguenze di questo esperimento, ricordiamo a grandi somme in cosa consistette. Secondo quanto Watson afferma nelle sue annotazioni, il bimbo era figlio della balia di un orfanotrofio. Fu scelto per l’esperimento per il suo carattere tranquillo e indifferente di fronte agli stimoli esterni.

Lo scopo di Watson era quello di esporre il bambino a diversi stimoli: una scimmia, un topo bianco, un foglio di carta che bruciava, e via dicendo. Quando al bambino vennero presentati questi oggetti ed esseri viventi, si mostrò attento, ma indifferente sul piano emotivo. L’unica emozione espressa era un po’ di curiosità.

In seguito, Watson introdusse uno timolo aggiuntivo. Ogni volta che appariva il topolino bianco, batteva un martello per riprodurre un frastuono che spaventasse il piccolo. In questo modo, il bambino iniziò ad associare il suono al topo e dopo un po’ cominciò ad avere paura dell’animale. Più avanti generalizzò il suo timore verso i conigli ed altri animali con la pelliccia.

Cosa ne fu del piccolo Albert?

L’esperimento del piccolo Albert permise a Watson di provare come la condotta di un essere vivente può essere modellata attraverso gli stimoli. Nei suoi appunti scrisse che l’esperimento terminò quando il bambino venne adottato. Tuttavia, non si seppe mai se il sentimento di paura indotto rimase o sparì a seguito dell’esperimento.

Con il tempo, alcuni ricercatori si interessarono alla sorte del piccolo Albert. Una delle persone interessate alla verità fu lo psicologo Hall Beck. A partire dagli appunti di Watson, dai censimenti e da altri documenti, credette di aver trovato il ragazzo pubblicando nel 2009 le sue conclusioni.

Secondo la sua ricerca, Albert si chiamava in realtà Douglas Merritte, un bambino che soffriva di idrocefalia fin dalla nascita e che morì a sei anni. Le sue conclusioni ribaltarono completamente gli studi di Watson e fecero passare il suo esperimento come mostruoso per essersi approfittato di un bambino invalido solo per provare la sua teoria.

Neonato che piange

Altre ipotesi e tanti dubbi

Un altro psicologo, Russell A. Powell, dell’Università Gran McEwan (Canada), mise in dubbio le conclusioni di Beck. A seguito della sua ricerca terminata nel 2012, sostenne che il piccolo Albert si chiamava in realtà William Albert Barger, era un bambino cresciuto in salute e morto a 88 anni di età, con una certa repulsione verso gli animali.

Sia le ipotesi di Beck sia quelle di Powell sono molto solide, ma non concludenti. Per finire, nel giugno del 2014 il ricercatore Tom Bartlett pubblicò un nuovo articolo nel quale giungeva alla conclusione secondo la quale l’esperimento coinvolse in realtà due bambini.

Come è chiaro, il tema di fondo riguarda il dibattito sulla validità del comportamentismo, scuola molto criticata per il suo essere piuttosto riduttiva. A questo va aggiunta una certa antipatia per la figura di John Watson. L’uomo fu ripudiato per aver divorziato dalla moglie per unirsi a Rosalie Rayner, studentessa che lavorò come sua segretaria.

A seguito di questo episodio, John Watson venne radiato e perse i suoi titoli accademici. Watson restò insieme alla sua assistente con la quale ebbe due figli, educati secondo la scuola comportamentista. Entrambi tentarono il suicidio una volta adulti e il maggiore, William, ci riuscì. Negli Anni ’50 gli furono restituiti i titoli accademici poiché aveva spostato il centro del suo interesse verso un nuovo ambito: la pubblicità.


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  • Pérez-Delgado, E., Gil, F. T., & Garrido, A. P. (1991). La nueva imagen de John Broadus Watson en la historiografía contemporánea. Anuario de psicología/The UB Journal of psychology, (51), 67-88.

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