Imre Kertész, biografia di un sopravvissuto
Imre Kertész è stato il cittadino ungherese più famoso dell’ultimo secolo, in quanto l’unico nel suo paese ad aver ottenuto un Premio Nobel. Tuttavia, la sua patria non ha riconosciuto né sostenuto il suo talento, tutto il contrario. L’Ungheria ha rappresentato un duro ostacolo per questo impressionante scrittore che, tuttavia, ha fatto della sua disgrazia un’opera magistrale della letteratura.
La fama universale di Imre Kertész si deve al suo romanzo Essere senza destino, considerata l’opera letteraria più importante sull’olocausto nazista. Il romanzo è stato tradotto in più di 20 lingue e, nel 2005, il regista ungherese Lajos Koltai ne ha tratto anche un film, di cui lo stesso Kertész curò il copione. Bisogna sottolineare che Kertész si rifiutava di chiamare olocausto quel genocidio, infatti riteneva che fosse un modo di sacralizzarlo, invece di denunciarne l’essenza.
L’opera di Imre Kertész va molto oltre la denuncia delle atrocità che segnarono un prima e un dopo nel mondo. Il suo lavoro ha come obiettivo, piuttosto, quello di mettere in evidenza che la Seconda Guerra Mondiale è stata una rottura prevedibile con i più alti valori della vecchia Europa. E ci riesce attraverso una prosa divertente, ironica e commovente. La sua vita vera, tuttavia, è uguale o più scioccante del romanzo. Vale a dire che, come sostenuto spesso, a volte la realtà supera la finzione.
“Se la libertà esiste, allora non esiste un destino, il che significa che noi stessi siamo il destino.”
-Imre Kertész-
Imre Kertész, i primi anni
Esperienze dolorose, che iniziarono fin dalla giovane età, segnarono la vita di Imre Kertész. Nacque il 9 dicembre 1929 a Budapest (Ungheria). Proveniva da una famiglia di ebrei non praticanti che godevano di una buona condizione economica. All’età di 5 anni, i suoi genitori si separarono. In seguito, andò in collegio dove effettuò gli studi primari.
Nel 1940, iniziò la scuola media, in concomitanza delle prime fasi della Seconda Guerra Mondiale. Poiché l’antisemitismo si stava già affermando in importanti settori europei, mandarono il giovane Kertész in uno spazio riservato a soli ebrei. In questo modo, trascorse i primi anni della scuola media avvertendo il peso della discriminazione.
Nel 1944, i nazisti deportarono Kertész nel campo di concentramento di Auschwitz. All’epoca, aveva soltanto 14 anni. Si narra che non all’inizio non comprese il significato di quel trasferimento. I nazisti costrinsero i giovani ebrei a fare una lunga fila prima di distribuirli. Imre Kertész parlava un po’ di tedesco e capì che i soldati si riferivano a lui dicendo che poteva avere 16 anni. Quando gli chiesero l’età, senza sapere perché, lui rispose che era quella la sua età. Quella piccola bugia, quell’impulso che lo portò a mentire ai soldati, gli salvò la vita poiché i più piccoli furono mandati nelle camere a gas.
Un’impronta indelebile
Tra il 1944 e il 1945, Imre Kertész fu ad Auschwitz e a Buchenland, da dove fu liberato dopo la vittoria degli Alleati. L’aspetto più sconcertante della sua esperienza è che fu ridotto alla misera condizione di prigioniero di un campo di concentramento, senza che la sua famiglia, né lui stesso, fossero in realtà ebrei praticanti. Quando la guerra finì, tornò nella sua terra natale, ma nessuno dei suoi familiari era sopravvissuto.
In seguito, iniziò a lavorare come giornalista e terminò gli studi. Tuttavia, lavorò per diversi anni in una fabbrica. In Ungheria iniziava il regime stalinista e, ancora una volta, le discriminazioni erano all’ordine del giorno. Venne etichettato come “borghese” per via della provenienza benestante della famiglia, dunque il regime lo guardava con sospetto e precauzione. Alla fine, riuscì a svolgere lavori da traduttore e questo gli permise di disporre di risorse per sopravvivere senza problemi.
Kertész scrisse commedie, testi pubblicitari e altri testi minori, ma è sempre stato uno scrittore appassionato. Nel 1975 pubblicò il suo grande romanzo Essere senza destino, nonostante non ebbe il minimo impatto nel suo paese d’origine. Per 20 anni, Kertész visse in un appartamento di 25 metri quadrati e scrisse in un minuscolo angolo della cucina. A volte, lo faceva anche nel café Luxor che frequentava. In quegli anni, arrivò a dire: “sarò sempre uno scrittore ungherese mediocre, ignorato e frainteso.”
Negli anni ’90, alcuni editori tedeschi lo riscoprirono e apprezzarono il grande valore delle sue opere. Successivamente, il suo riconoscimento aumentò con l’ottenimento di vari premi internazionali. Dopo la caduta del regime comunista in Ungheria, Imre Kertész diventò più prolifico e ottenne maggiori comodità. Nel 2002, vinse il Premio Nobel per la Letteratura, premio che compensò, almeno in parte, tutta la sua sofferenza. È morto il 31 marzo 2016 a Budapest.
Una piccola bugia salvò e cambiò la vita di Imre Kertész. In un brevissimo istante, la nostra vita può prendere una svolta del tutto inaspettata. Quando ascoltiamo racconti di sopravvissuti all’olocausto, ci sorprende che abbiano potute sopportare tali atrocità.
Imre Kertész non solo sopravvisse all’olocausto, ma dovette nuovamente affrontare le difficoltà sotto un altro regime. Lo scrittore è stato sempre giudicato per la sua origine, indipendentemente da chi vi fosse al potere. Non ebbe vita facile nemmeno durante le sue prime esperienze da scrittore, ma non si arrese e utilizzò l’arma più potente che conosceva: la parola.
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- Larrosa, J. (2009). Veinte minutos en la fila. Sobre experiencia, relato y subjetividad en Imre Kertész. Actualidades pedagógicas, (54), 55-68.