Inclusione forzata: è davvero un problema?

Negli ultimi anni i produttori per il piccolo e il grande schermo cercano di includere una vasta gamma di personaggi. Questo impegno, tuttavia, non sempre si concretizza in modo positivo.
Inclusione forzata: è davvero un problema?
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 08 agosto, 2023

Per inclusione forzata intendiamo l’obbligo di rappresentare nei vari media artistici e culturali la diversità sociale della popolazione. In altre parole, persone con diverso colore della pelle, identità sessuale o esigenze diverse dalla norma.

Tale fenomeno si traduce nel mondo del cinema e della televisione con una rappresentazione del tutto alterata delle caratteristiche di personaggi noti al fine di incorporare narrazioni diverse. E ciò, talvolta, non è conforme a realtà logiche o storiche, come la rappresentazione di Ana Boleyn con la pelle nera.

Siamo di fronte a una realtà iniziata qualche anno fa e oggi presente in gran parte dei contenuti che consumiamo. Disney e Netflix, per esempio, richiedono la comparsa di personaggi sempre più diversi nelle scene.

Ne sono testimonianza film d’animazione di successo come Coco o Encanto, o serie come Atypical, The Good Doctor o Bridgerton. È evidente, dunque, che al giorno d’oggi sono richiesti standard di inclusione e diversità razziale.

Ma cosa accadrebbe se non rappresentassimo ogni categoria di persone in spazi tradizionalmente occupati da personaggi bianchi ed eterosessuali?

Inclusione forzata è un termine usato spesso dalle persone infastidite dai tentativi del mondo del cinema e della televisione di mostrare altri personaggi, fino a poco tempo fa messi a tacere.

Anno luce e inclusione forzata.
I film Pixar sono sempre  più attenti alla diversità razziale e sessuale dei loro personaggi.

Inclusione forzata: pro e contro

Il termine “inclusione forzata” è tradizionalmente usato da coloro i quali si sentono infastiditi dal cambiamento nelle narrazioni tradizionali.

Per esempio, è facile notare che le donne stanno guadagnando terreno nel mondo del cinema. I ruoli sono cambiati, le donne non hanno più bisogno di essere salvate.

Attori o personaggi di colore, latinoamericani o asiatici sono sempre più presenti davanti e dietro la telecamera. Lo stesso accade con la diversità sessuale. Loki, ad esempio, è il primo personaggio Marvel apertamente bisessuale.

Ed ecco la controversa prima di Lightyear – La vera storia di Buzz, già censurata in 14 paesi, che mostra il primo bacio tra due persone dello stesso sesso. Alcuni le considerano semplici strategie di marketing.

Altri parlano di mentalità progressista che cerca di combattere ogni ingiustizia, reale o no, che finalmente prevale negli ultimi anni. Comunque sia, un fatto è ovvio: si desidera dare visibilità è offrire riconoscimento a chi, fino a poco tempo fa, non aveva una presenza nella sfera pubblica.

L’inclusione come strategia per porre fine alla discriminazione

L’Annenberg Inclusion Initiative è un ente americano che annualmente analizza il livello di inclusione nei film di maggiore incasso. Queste analisi vengono effettuate dal 2007. Ebbene, nell’ultimo report è stato possibile notare che il 41% dei personaggi principali o co-protagonisti nel 2021 erano donne.

Il 32% apparteneva a una razza o etnia storicamente esclusa. Sebbene questi dati siano positivi, in alcuni ambiti non si registrano progressi. Dopo i 45 anni è improbabile che una donna ottenga un ruolo da protagonista se non ha una carriera lunga e nota (come Meryl Streep o Frances McDormand). Le donne di colore, inoltre, hanno ancora più difficoltà.

Vale a dire, nonostante gli evidenti progressi, alcuni gruppi sono ancora penalizzati rispetto a quelli di rappresentanza. Non ci troviamo, dunque, di fronte a un fenomeno di inclusione forzata, bensì di inclusione necessaria per offrire voce e presenza a chi di solito non vediamo sul grande e piccolo schermo.

Fino a non molto tempo fa le grandi case di produzione avevano un trend ben preciso: scegliere protagonisti caucasici, giovani ed eterosessuali. Le minoranze apparivano solo per rappresentare gli stereotipi (latini che vendono droga, comunità nere socialmente svantaggiate, ecc.). Per fortuna, tutto ciò sta cambiando.

Inclusione forzata o quando la diversità è travisata

Il termine “inclusione forzata” è usato in modo dispregiativo per criticare il tentativo di rappresentare l’intera diversità sociale. Tuttavia, non possiamo chiudere gli occhi su un fatto innegabile: nel concretizzare il desiderio di inclusione, a volte si commettono errori.

Un esempio di ciò è stato vedere l’attrice di colore Jodie Turner-Smith nel ruolo di Anna Bolena. Il fenomeno dell’inclusione forzata è reale quando i fatti storici sono distorti dal mero desiderio di dare voce alla diversità razziale.

Un altro esempio è il film premio Oscar Green Book(2018). Molti spettatori di colore si sono sentiti offesi dalla produzione che mette in scena, ancora una volta, un protagonista bianco agire come il salvatore dell’uomo di colore.

Green Book.
Tradizionalmente, gli attori di colore hanno interpretato ruoli secondari.

Tokenismo, un fenomeno da riformulare

Intendiamo il tokenismo come il falso tentativo di promuovere l’inclusione di categorie discriminate stereotipandole ancora di più. Il film Green Book già citato ne è un esempio.

Proprio il tokenismo porta spesso all’inclusione forzata. Dare voce e presenza ai diversi gruppi che formano la nostra società implica creare personaggi a tutto tondo e non solo stereotipati.

Molte volte vediamo produzioni i cui personaggi e le loro narrazioni sono così forzati e stereotipati da non favorirli. Non vogliamo “personaggi accessori” come il protagonista bianco che ha amici neri oppure omosessuali..

L’inclusione va ben oltre questa immagine; significa rappresentare i diversi gruppi con ruoli ben definiti e principali, non solo secondari, estremamente vulnerabili o poco inseriti nella società.


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