La timidezza e il motivo per cui desideriamo essere invisibili

Alcuni di noi sono così, timidi, chiusi, quelli che preferiscono guardare il mondo da lontano invece di parteciparvi. A cosa dobbiamo questo modo di essere? È a causa della nostra educazione o ci sono fattori genetici?
La timidezza e il motivo per cui desideriamo essere invisibili
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 18 novembre, 2022

La persona timida si accorge molto presto del suo tratto di personalità. Perché se c’è qualcosa che si scopre da piccolissimi è che è che le situazioni che per altri bambini sono normali e divertenti, per altri sono minacciose. Al punto da aver bisogno di nascondersi, di rifugiarsi dietro la barriera di quegli universi sociali che causano disagio e angoscia. Ora… La timidezza è davvero qualcosa di problematico o patologico?

La prima cosa che dovremmo sapere è che abbiamo a che fare con un tratto della personalità che ha vari gradi.

Ci sono persone che mostrano una certa timidezza nel loro comportamento, mentre altre vedono le loro vite come totalmente limitate. Siamo però di fronte a un tipo di profilo in cui è comune vivere l’ansia e la sofferenza sociale.

È importante sottolineare questo termine, “sofferenza”, perché è l’elemento che differenzia un introverso da un timido . La paura del rifiuto, il terrore di prendere in giro se stessi e la paura di essere esposti agli altri. Sono dimensioni molto limitanti causate da un senso di autocoscienza molto critico ed estenuante che provoca un disagio silenzioso ma ricorrente.

È molto probabile che coloro che si identificano con questo profilo non si sentano sempre bene con se stessi. Il mondo sembra appartenere agli estroversi, a coloro che non conoscono la paura e osano parlare ad alta voce. Perché succede? Perché alcune persone nascono eternamente autocoscienti e altre conquistano ogni stadio con la loro frizzante estroversione?

“Molte persone sono chiuse in se stesse come scatole, ma si aprirebbero, aprendosi meravigliosamente, se tu fossi interessato a loro.”

Silvia Plath

Ragazzo annoiato sul divano
La persona timida non sempre si sente bene con se stessa perché è consapevole di perdere opportunità (incontrare persone, trovare determinati lavori, ecc.)

Gli alberi timidi e le radici dove crescono

Il termine “timidezza” fu usato per la prima volta nel 18° secolo e nel Regno Unito per riferirsi a cavalli inclini a spaventarsi. Tuttavia, come possiamo immaginare, le persone che soffocano per la vergogna e l’insicurezza sono sempre state lì, dietro una finestra, lontano dalla folla, a guardare la vita che scorre da una distanza di sicurezza.

In natura, per quanto ci possa sembrare sorprendente, ci sono i cosiddetti alberi timidi. Ci sono foreste molto rigogliose, come quelle tropicali, dove si può osservare un fenomeno sorprendente. Nessun ramo di un albero ne tocca un altro, tanto che quando guardiamo in alto troviamo una suggestiva struttura geometrica separata da venature comprese tra 10 e 50 cm.

Questo spettacolo deve avere un senso ecologico, ma la verità è che non è ancora del tutto chiaro. Forse è per evitare malattie, per permettere il passaggio della luce o per evitare che l’attrito del vento le faccia urtare a vicenda. Secondo gli esperti, è come se ci fosse una determinazione genetica per evitare tale contatto e formare quella fantastica chioma venata.

Succede la stessa cosa nella natura umana? In qualche modo, tutti coloro che affrontano quotidianamente le proprie fobie sociali e le paure del rifiuto si pongono la stessa domanda: perché sono timido? Cosa mi ha fatto essere così?

La persona introversa si sente bene con se stessa, ama la sua personalità e, quando vuole, socializza senza problemi. La persona timida, invece, vorrebbe esporsi a più di una situazione sociale, ma si sente incapace e in preda alla vergogna e all’insicurezza.

1. Più che i geni, l’ambiente conta

Gran parte della popolazione crede che i bambini timidi vengano già al mondo con quel temperamento inibito. Tuttavia questo non è del tutto vero. Per cominciare, diremo che buona parte degli studi su questo tratto della personalità provengono da ricerche con gemelli identici.

L’Università del Colorado a Boulder, ad esempio, ha svolto un lavoro straordinario nel 2012 esaminando questo problema. Sappiamo che, in effetti, la timidezza ha un fattore scatenante genetico, ma questa variabile non è conclusiva o definitiva al 100%. Perché, secondo i ricercatori, l’ambiente è più importante dei geni nello sviluppo di un modello di personalità timido e inibito. A volte, pur essendo gemelli, ognuno sviluppa un carattere.

Una cosa ben nota a tutti è che, quando un bambino raggiunge i 18-20 mesi di vita, inizia a capire gli standard sociali. È allora quando quella linea viene superata che li renderà più sicuri di sé o li installerà nel regno della timidezza. Le prime esperienze che abbiamo con il nostro ambiente sociale dall’età di due anni, scolpiranno buona parte del nostro carattere.

2. I caregiver influenzano anche lo sviluppo della timidezza

Quando qualcuno chiede: “perché sono timido?”, è conveniente guardarsi indietro e pensare alla propria infanzia. In quell’ambiente e substrato psicosociale che, come timidi alberi, diffondiamo le nostre radici per crescere e svilupparci. Chiediamoci, ad esempio, come è stata la nostra educazione e quali dinamiche mettono in pratica i nostri genitori.

È fondamentale sapere che spesso, anche se un bambino ha il gene della timidezza e il suo temperamento oscilla verso quel polo, un ambiente sociale dinamico, aperto, solidale e sicuro smorza questa caratteristica. Se invece si cresce in una famiglia autoritaria, critica, poco affettiva e severa, è molto probabile che questa timidezza si stabilisca nel bambino e lo accompagni fino all’età adulta.

Si consideri, ad esempio, quel bambino che sta entrando nell’adolescenza ed è dominato dalle sue insicurezze e dalla paura di essere rifiutato quando inizia il liceo. Se ha genitori che sanno come coltivare in lui le capacità di sicurezza personale e lo guidano a razionalizzare le sue paure e migliorare i suoi punti di forza, quel bambino ridurrà la sua ansia sociale.

Un’educazione e un’educazione sensibile, sicura, stimolante e capace per favorire una buona autostima nel bambino, possono attutire lo sviluppo della timidezza e del gene che è in lui presente.

Donna che fa terapia psicologica chiedendosi perché sono timido
La terapia cognitivo comportamentale può aiutarci a superare la timidezza e le fobie sociali.

3. La timidezza è interiorizzazione e paura eccessiva

Oltre ai geni e al background familiare, c’è un terzo elemento che alimenta le radici della timidezza, ed è l’eccessiva paura. Lavori di ricerca come quelli condotti dalla dott.ssa Nancy Eisenberg evidenziano che questa personalità è correlata a un’interiorizzazione delle emozioni negative. È qualcosa che si manifesta già nell’infanzia e che, se non affrontato, si intensifica.

I bambini timidi vogliono essere coinvolti in situazioni sociali, giocare con i loro coetanei, sperimentare e aprirsi al mondo. Lo vogliono con tutte le loro forze, ma non possono. Perché la paura sociale li supera e inibisce ogni approccio e contatto con le nuove situazioni e con le persone.

La paura di essere giudicati, criticati, la paura di sbagliare, di esporsi e di vergognarsi si interiorizzano intensamente in loro. E soffrono, hanno difficoltà a non avere uno strumento per far fronte alla paura. Pertanto, quando in età adulta ci chiediamo “perché sono timido” è bene guardarsi dentro e prendere una decisione.

Se crediamo che la vita ci sfugga a causa delle nostre paure, se stiamo perdendo opportunità di lavoro e vorremmo conoscere più persone, facciamolo.

È necessario razionalizzare tutte quelle emozioni negative che ci attanagliano e ci tagliano le ali. Esistono tecniche psicologiche che ci permetteranno di gestire la timidezza e l’ansia sociale. Non esitiamo a fare quel passo se ne abbiamo bisogno.


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