La sorprendente lettera di una figlia adolescente

La sorprendente lettera di una figlia adolescente

Ultimo aggiornamento: 02 agosto, 2017

Sì, per via di alcune manie sono la tipica adolescente. Ho 15 anni e scrivo un diario. Quello che stai leggendo oggi è solo una parte di questo diario che, ovviamente, chiudo con un lucchetto e nascondo in un posto segreto in modo che nessuno possa trovarlo. Spero tu non riesca a trovarlo quando riordini le mie cose, credendo finalmente di mettere fine al caos nella mia stanza dove io mi sento a mio agio.

Se lo trovassi, sarebbe un buon motivo, il migliore senza dubbio, per pensare che tu sia una madre orribile. Iperprotettiva, saputella, che non vuol sentire ragioni. Inoltre, credo che non faresti altro che alimentare le tue paure, quelle paure per cui tante notti non riesci a dormire e mi aspetti sveglia. Perché nella mia mente io contemplo opzioni che tu escluderesti a priori.

Quando ero piccola, chiedevo il perché di qualsiasi cosa. Ora, per un’adolescente come me, le domande sono più incerte, hanno a che vedere con la mia interiorità e ho smesso di fartele perché credo che tu non abbia le risposte, almeno le mie risposte. Per questo preferiscono parlare con le mie amiche, con loro condivido la complicità del non sapere, l’emozione di ogni nuova scoperta. Se tornassi indietro di 30 anni, mi capiresti.

Quando cresciamo, dimentichiamo

È una cosa dei grandi che mi stupisce sempre. Dimenticano in fretta di aver fatto anche loro delle pazzie, di essersi innamorati per la prima volta, di aver fatto finta di essere ammalati per saltare la scuola o di aver spostato le lancette dell’orologio per non far capire di essere tornati dopo il coprifuoco.

La battaglia per l’indipendenza, per trovare un equilibrio tra le aspettative altrui e i propri desideri è il prezzo da pagare a seconda della situazione a breve e lungo termine. Com’eri tu quando eri un’adolescente?

Se sono sopravvissuti i geni con questa tendenza, è probabile che la tradizione si ripeta, che ognuno giochi il suo ruolo. Che tu abbia le tue aspettative e che io non le soddisfi, che questo sia il primo esercizio di tanti altri più difficili che di sicuro verranno e che io dovrò affrontare. Credo che se ci spiegassero la teoria di Darwin in questi termini, un numero minore di persone al mondo si chiederebbe cosa diavolo ha detto quel tizio per essere considerato così importante.

Sai, da piccola, in questo esercizio di egocentrismo tipico dei bambini, pensavo che il mondo fosse un grande teatro e che le persone che non vedevo si preparassero e studiassero il copione che poi avrebbero messo in scena davanti a me.

Per verificare questo pensiero, ho tentato spesso di essere imprevedibile. Anche se mi piacevano i dolci, li rifiutavo per vedere come si sarebbero comportati gli altri vedendomi così imprevedibile. Avevo intenzione di mettere fine a quella specie di Grande Fratello, di costringerlo a confessare nella disperazione di aver rotto tutti i suoi schemi.

In questo gioco di coerenza e incoerenza mi sono persa molte volte, più di una al giorno e con questo ho detto tutto. Ecco spiegati i miei sbalzi di umore, le mie resistenze e le mie accettazioni. Ecco perché relativizzo tutto e mi sento confusa per via di questa sensazione che non ci sia nulla di sicuro a cui aggrapparsi.

Niente di infallibile e niente su cui abbia il controllo assoluto, perché anche le migliori amiche possono deluderti e ti possono bocciare agli esami anche se hai studiato tanto. Si può invocare la fortuna, ma è più capricciosa della pioggia estiva in un cielo senza nuvole.

Cosa devo fare per essere abbastanza brava?

Il compito più difficile del diventare grandi ha a che vedere con una domanda che racchiude tutta la mia impotenza e quella delle mie amiche. Non so cosa devo fare per andare bene, per essere accettata. Per sentirmi amata e rispettata.

Questo dubbio ha trasformato me e le mie amiche. Il primo requisito è forse quello di avere un corpo perfetto, quando esso si sviluppa in maniera anarchica e di fatto fa ciò che gli pare. Puoi voler essere alta e magra e per questo ti rimpinzi di yogurt, ma se la genetica ha deciso di no, è no. Ecco perché cominci a chiederti perché diavolo hanno inventato la tortura dei tacchi. Per non sembrare diversa, indipendentemente da ciò che sono.

Inizi a capire che è complicato guadagnarti il rispetto di qualcuno quando sei bassa, così come quando i tuoi compagni decidono che hai qualche chilo di troppo o troppo pochi. Un criterio si adatta perfettamente alle curve delle donne negli annunci pubblicitari: né troppe né poche, il giusto.

Persone che prima ti conoscevano e riconoscevano, ora iniziano a trattarti come se avessi la peste e lo fanno in maniera così radicale e frequente da convincerti che sia davvero così. Che c’è qualcosa in te che non va bene, che non funziona. Quello che fai per sistemare la situazione, inoltre, sembra metterti ancora più al centro dell’attenzione. Una grande verità: hai la grazia di una papera e Dio non ti ha fatta per indossare i tacchi.

Vorresti sapere se qualcuno sa come cavolo compensare quello che la natura non ti ha dato o ti ha dato in abbondanza, ma hai già visto come le tue amiche ti hanno deluso e in quel momento sopporteresti qualsiasi cosa pur di non mostrarti vulnerabile, pur di non dare alcun indizio che faccia pensare che le loro prese in giro abbiano effetto. Se c’è una cosa che ti rimane da fare, è dare un’immagine sicura di te. Un atteggiamento che serve per “andare bene”, non solo essere sicura, ma anche sembrarlo. In questo modo, dai l’idea che non te ne freghi nulla.

Oltre ad avere questo profilo, richiesto agli adolescenti per “entrare nella vita vera”, mi sono resa conto di dover ottenere anche voti alti a scuola. Così eri contenta. Dovevo anche fare finta di impegnarmi, di fare fatica. Ma non troppo. Diligente sì, ma anche furba.

In classe gli studenti che prendono brutti voti sono mal visti, a meno che il gruppo non interpreti che sia per iniziativa propria e non per mancanza di capacità. Se pensano che tu sia stupida, è finita. Inizierai a far parte del mondo in cui conti meno di zero. Un luogo in cui è facilissimo entrare, ma difficilissimo uscire.

In questo senso, il 7 e l’8 sono i voti migliori, va bene anche non alzare troppo la mano per intervenire e non rispondere in maniera troppo zelante alla domanda del professore. Conviene anche riflettere su ciò che dici e non svelare tutte le tue carte, per non dire qualcosa di cui possano poi servirsi i compagni più “in”. Influencer, li chiamano adesso.

Una volta in classe il prof ci ha parlato di una campana famosa, la campana di Gauss. Molte distribuzioni normali hanno la forma di questa curva nella quale la densità è maggiore in mezzo alla curva e minore agli estremi.

Mi è sembrata una cosa molto naturale, perché stare alle estremità è sempre pericoloso. Non manifestare emozioni o esternarle troppo, non arrabbiarti mai o farlo sempre. Quindi, se vuoi essere un adolescente tranquillo, la cosa migliore è stare in mezzo alla campana, dove è facile confondersi tra le persone. Un camuffamento per cui è perfetto quel vestito di cui sembra non ci importi nulla.

Qui termina la pagina del mio diario, che ho perso per caso, è ovvio 🙂 Mi vergognavo a dirtelo in faccia. Per questo te l’ho scritto in una pagina che lascio in mezzo ai calzini. Come un foglio perduto nel bel mezzo dell’ordine che cerchi di impormi, perché tu capisca quanto io faccia fatica a trovare il mio di ordine. Un’impresa che non è facile, ma che allo stesso tempo è appassionante.

Ah, ovviamente ti voglio bene, anche se non te lo dico mai…


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