La mia malattia cronica è "invisibile", non "immaginaria"
Viviamo in una società in cui le malattie croniche continuano ad essere invisibili. Stiamo parlando di realtà difficili, come la fibromialgia, che da molti sono considerate frutto di un dolore immaginario con cui le persone giustificano le assenze sul lavoro. Bisogna cambiare mentalità: non c’è bisogno di una ferita evidente perché il dolore sia autentico.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le malattie croniche socialmente invisibili rappresentano quasi l’80% dei disturbi attuali. Parliamo, ad esempio, delle malattie mentali, del cancro, del lupus, del diabete, dell’emicrania, dei reumatismi, della fibromialgia… Patologie debilitanti per chi ne soffre e che obbliga le persone ad affrontare una società troppo abituata a giudicare senza conoscere.
Vivere con una malattia cronica significa fare un viaggio lento e solitario. La prima tappa di questo percorso è la ricerca di una diagnosi definitiva per “tutto quello che mi sta capitando”. Non è facile. Di fatto, possono passare anni prima che una persona riesca a trovare un nome per quello che ha. Poi, dopo aver identificato la malattia, arriva la parte senza dubbio più complessa: trovare la dignità, una qualità di vita con il dolore come compagno di viaggio.
Se a questo si aggiunge l’incomprensione sociale e la mancanza di sensibilità, possiamo ben capire perché alla malattia originaria si unisca la depressione. D’altra parte, non dimentichiamo che buona parte dei pazienti con malattie croniche sono solo bambini.
È un tema importante e di grande attualità su cui vale la pena riflettere.
Ho una malattia cronica che non vedi, ma che è reale
Molte persone affette da una malattia cronica sentono, a volte, la necessità di avere addosso un cartello. Un manifesto a chiare lettere che spieghi cosa hanno, in modo che tutti gli altri capiscano. Per comprendere meglio questa realtà, facciamo un esempio.
Maria ha 20 anni e va all’università in macchina. Parcheggia sul posto riservato ai disabili. Poi, apre l’ombrello ed entra in aula. Un giorno vede la sua foto condivisa sui social network. La gente la prende in giro perché è eccentrica, perché passeggia con un ombrello. Viene insultata perché ha la “faccia tosta” di parcheggiare sul posto per i disabili: due gambe, due braccia, due occhi e un viso carino.
Qualche giorno dopo, Maria si vede obbligata a parlare con i compagni di università: ha il lupus. Il sole attiva la sua malattia, inoltre ha due protesi alle anche. La sua malattia non è visibile agli occhi degli altri, ma c’è e le sta cambiando la vita, impedendole di essere più forte, più coraggiosa.
Ora, come può Maria continuare a vivere la sua vita senza descrivere il suo dolore, senza sopportare gli sguardi pieni di scetticismo o compassione?
Maria non vuole spiegare in ogni momento cosa le sta succedendo. Non desidera un trattamento speciale, vuole solo rispetto, comprensione. Essere normale in un mondo in cui la diversità viene mercificata. Perché “se uno è malato, la sua malattia deve vedersi ed essere segnalata”.
Le malattie invisibili e il mondo emotivo
Il grado di invalidità di ogni malattia cronica varia da persona a persona. C’è chi ha maggiore autonomia e chi, invece, riesce a svolgere le normali funzioni a seconda della giornata. In quest’ultimo caso, la persona vivrà alcuni momenti in cui si sente intrappolata nella malattia e altri in cui, senza sapere perché, si sente più libera.
Esiste un’organizzazione senza scopo di lucro chiamata Invisible Disabilities Association (IDA). La sua funzione è quella di educare e connettere la persona con una “malattia invisibile” con l’ambiente più prossimo e con la società. Una cosa che viene chiarita dall’associazione è che vivere con una patologia cronica comporta dei problemi, anche nell’ambito familiare o scolastico.
Molti pazienti adolescenti, ad esempio, vengono spesso rimproverati da chi li circonda perché si pensa che usino la malattia per non portare a termine i loro doveri. La loro stanchezza non è pigrizia. Il loro dolore non è una scusa per non andare a scuola o non fare i compiti. Situazioni di questo tipo possono allontanare la persona in questione dalla sua realtà fino a renderla quasi invisibile.
L’importanza di essere emotivamente forti
Nessuno ha scelto di avere l’emicrania, il lupus, il disturbo bipolare… Invece di arrendersi di fronte a ciò che la vita ha offerto, le persone con malattie invisibili hanno solo una scelta: accettare, lottare, essere assertive, alzarsi ogni giorno nonostante il dolore o la paura.
- Una malattia cronica non ha solo sintomi, ma anche conseguenze. Una di queste, è accettare di essere giudicati in un certo momento della vita. Bisogna quindi prepararsi con adeguate strategie per affrontare la situazione.
- Non dobbiamo farci problemi nel dire ciò che ci affligge, nel definire la nostra malattia. Bisogna rendere visibile l’invisibile in modo che chi ci sta attorno ne sia consapevole. Ci saranno giorni in cui riusciamo a fare qualsiasi cosa e altri no. Ma continuiamo ad essere noi stessi.
- Dobbiamo essere pronti a difendere i nostri diritti. Sia a livello lavorativo sia nel caso di bambini che partecipano a centri ricreativi.
- Neurologi, reumatologi e psichiatri danno un consiglio fondamentale: il movimento. Bisogna muoversi nella vita e alzarsi ogni giorno. Anche se il dolore ci paralizza, bisogna ricordare una cosa: se ci fermiamo, arrivano il buio, le emozioni negative e lo sconforto…
In conclusione, una cosa da avere ben chiara è che i pazienti affetti da malattie croniche socialmente invisibili non hanno bisogno di compassione e nemmeno di un trattamento di favore. Chiedono solo empatia, considerazione e rispetto. Perché a volte le cose più intense, meravigliose o devastanti, come possono essere l’amore o il dolore, sono invisibili agli occhi.
Non li vediamo, ma ci sono.