Obsolescenza programmata: manipolazione consumista
Nel 1901 venne installata una lampadina nella stazione dei pompieri di Livermore, in California (USA). La accesero e non la spensero più. Sono trascorsi più di 100 anni e la luce continua a illuminare come il primo giorno. Questa lampadina è uno degli esempi più singolari di un fenomeno denominato obsolescenza programmata.
Cos’ha di speciale questa lampadina? In realtà, niente. Assomiglia a quelle create da Thomas Edison nel 1881, che duravano 1500 ore. La lampadina centenaria è solo un modello perfezionato. La domanda scontata è perché prima alcune tecnologie sopportavano meglio il passare del tempo. Considerando che gli strumenti e la tecnologia presumibilmente avanzano, non sarebbe logico avere oggi lampadine migliori e non il contrario?
La faccenda diventa, tuttavia, più misteriosa se ci concentriamo su altri apparecchi moderni. Lo stesso accade con quasi tutti gli altri elettrodomestici. Perché? Nel 1924 fu siglato un patto che consacrò l’obsolescenza programmata nel mondo.
“Oltre a essere un’economia basata sull’eccesso e sullo spreco, il consumismo è, proprio per questo motivo, anche un’economia dell’inganno. Punta all’irrazionalità dei consumatori, e non a decisioni ben calibrate, prese a freddo; punta a risvegliare l’emozione consumista, e non a coltivare la ragione”.
-Zygmunt Bauman-
Cos’è l’obsolescenza programmata?
Si definisce obsolescenza programmata la pratica volta a limitare il ciclo vitale dei prodotti, artificialmente e deliberatamente. Ciò significa che gli oggetti vengono fabbricati in tal modo da diventare inutilizzabili dopo un certo periodo. Non è che non possano essere elaborati in altro modo, ma vengono prodotti appositamente così per produrre più consumo.
Se una persona acquista un articolo che dura per molto tempo, non avrà la necessità di sostituirlo prima che siano trascorsi moti anni. Al contrario, se l’apparecchio o l’articolo si consuma in un tempo relativamente breve, il consumatore dovrà sostituirlo periodicamente. In questo modo i produttori aumentano le vendite.
Le lampadine non sono l’unico esempio di obsolescenza programmata. Un caso esemplificativo è quello delle calze di nylon da donna. All’inizo duravano più di un anno. Oggi difficilmente possiamo indossarle più di due volte.
Il complotto e altre forme di obsolescenza
Il fatto è evidentemente imputabile a un gruppo di industriali riunitosi nel Natale del 1924 a Ginevra, In Svizzera. Il gruppo è conosciuto come “Cartello Phoebus”. Si sa che uno dei primi accordi fu quello di proibire una lampadina già brevettata che durava 100.000 ore. Allo stesso modo, siglarono un patto per imporre l’obsolescenza programmata anche ad altri prodotti.
Al giorno d’oggi sono tante le forme di obsolescenza programmata imperanti. Alcune di esse sono:
- Di funzione. Viene aumentata la funzionalità di un prodotto, affinché il consumatore acquisti tale modello.
- Di qualità. L’articolo viene programmato per smettere di funzionare correttamente dopo un determinato intervallo di tempo o uso.
- Di desiderio. Si interviene sulle mode e tendenze affinché un prodotto cessi di essere desiderato, migliorandone il disegno o incorporando dettagli che ci inducono ad “aggiornarci”.
Attualmente l’obsolescenza programmata è fortemente associata alle emozioni. Si pianifica deliberatamente l’aggiornamento continuo, soprattutto di dispositivi tecnologici. Con questo si crea il desiderio continuo di acquistare l’ultimo modello, anche se non offre grandi miglioramenti.
Riciclare è una forma di libertà
Sostanzialmente questo sistema di consumo ha il proposito di mantenere alto il volume delle vendite. L’obsolescenza programmata è una strategia per ottenerlo. La cosa grave è che attualmente la gente non si concentra più sulla qualità o sull’utilità dei prodotti. Governa un forte desiderio di comprare continuamente.
Quello che era una forma di manipolazione commerciale si è tramutato in un desiderio della gente. Le persone hanno interiorizzato l’obsolescenza programmata. Adesso vogliono disfarsi velocemente degli articoli usati e sostituirli con altri nuovi. Questo trasmette a molti una sensazione di soddisfazione, di controllo, di potere.
Contro queste forme di manipolazione, sempre più evidenti, è emersa la tendenza del riciclaggio. Questo approccio vuole coltivare una cultura del riutilizzo. L’obiettivo è non solo porre un limite al consumismo sfrenato, ma proteggere anche l’ambiente.
In fondo, il riciclaggio ha anche un impatto psicologico. Promuove un atteggiamento volto a riparare, invece di eliminare. Ammette il fatto che le cose possono essere imperfette e, anche così, utili e preziose. Questo, forse, può tradursi in un atteggiamento più costruttivo e umano, di fronte anche a molte realtà intangibili che si eliminano quando iniziano a dare problemi.