American Horror Story: Cult, fobie e manipolazione

American Horror Story: Cult, fobie e manipolazione
Leah Padalino

Scritto e verificato la critica cinematografica Leah Padalino.

Ultimo aggiornamento: 11 ottobre, 2022

Per chi non lo sapesse, American Horror Story è una serie statunitense creata da Ryan Murphy e Brad Falchuk. A differenza della maggior parte delle serie TV, in American Horror Story ogni stagione si presenta con una storia distinta, svincolata da quelle anteriori, e con una trama propria.

Il tema di fondo resta, però, simile fino alla quinta stagione. Gli attori sono più o meno gli stessi e svolgono ruoli diversi da una stagione all’altra.

Si tratta di una serie che lascia un certo grado di liberà allo spettatore: questi può decidere in quale ordine guardare le stagioni scegliendo persino di saltarne una, se non lo interessa. Ad ogni modo, per i fan più sfegatati è interessante guardare la serie completa seguendola anno dopo anno, per scoprire tutte le piccole connessioni tra le varie stagioni.

American Horror Story: tra realtà e finzione

Come indica il nome stesso, American Horror Story riprende storie reali e fittizie della cultura popolare nordamericana, tutte accomunate dal tema dell’horror. I riferimenti culturali e storici sono molti. Ad esempio:

  • Riferimenti cinematografici: la quarta stagione si intitola Freak Show e fa allusione al film Freaks (1932).
  • Riferimenti al folklore popolare statunitense: il personaggio Piggy Man che appare nelle stagioni Murder House e Roanoke.
  • Riferimenti ad antiche leggende, come quella della colonia scomparsa di Roanoke.
  • Riferimenti a crimini noti come l’omicidio della Dalia Nera, ad oggi ancora irrisolto e fonte d’ispirazione per numerosi film e serie.
  • Personificazione di serial killer come Aileen Wuornos, John Wayne Gacy e il killer dello Zodiaco.

L’anno scorso abbiamo assistito a una stagione piuttosto diversa con un cast diverso dal solito, sebbene con due veterani quali Evan Peters e Sarah Paulson.

Locandina American Horror Story

American Horror Story: Cult

American Horror Story ci ha abituati alla presenza di eventi soprannaturali, anime in cerca di vendetta, case incantate… La settima e ultima stagione, tuttavia, non presenta elementi paranormali – è chiaro che la sorella Jude (Jessica Lange in Asylum) non si sbagliava quando disse la famosa frase “tutti i mostri sono umani”.

In questa stagione assistiamo infatti al degrado dell’umanità, al lato più agghiacciante dell’uomo. Tutto ha inizio in un’atmosfera complessa proprio il giorno delle elezioni americane, quando Trump vinse diventando presidente degli Stati Uniti. Come implicano le premesse, la politica sarà una delle chiavi di lettura della stagione.

Già l’introduzione ci avverte che siamo di fronte a una stagione diversa, preannunciandosi la seconda dell’intera serie ad allontanarsi dalla sintonia di base (la prima volta è stata con Freak Show, altra stagione dove il paranormale ha avuto poca importanza). L’introduzione della settima stagione è davvero particolare, con allusioni alla tripofobia, a pagliacci e maschere di Hillary Clinton e Donald Trump.

I pericoli della paura e della manipolazione

Sebbene si tratti di una stagione polemica che ha ricevuto molte critiche, riteniamo sia anche una delle più riflessive, poiché mette in luce il tema della manipolazione mediatica. È possibile identificare in questa stagione un parallelismo tra la nostra società e un circo di pagliacci.

Le nostre paure e fobie, talvolta, diventano il nostro peggior nemico, fenomeno che vediamo chiaramente nel personaggio di Ally (Sarah Paulson). La serie inizia con un focus sulle sue fobie (tripofobia e coulrofobia) e nel modo in cui influenzano la sua vita quotidiana, la sua donna e suo figlio. Ma in American Horror Story nulla è mai come sembra, e gli eventi possono spesso prendere svolte improvvise e inaspettate.

Il personaggio di Kai Anderson (Evan Peters), al centro dell’azione, sarà dipinto all’inizio come un giovane intelligente, con una grande capacità manipolativa e con idee politiche radicali che lo porteranno a fondare una sorta di setta. Pian piano lo spettatore scopre come questo personaggio utilizzi le paure e le insicurezze altrui per raggiungere i suoi obiettivi.

 “Quando temiamo qualcuno, è perché a questo qualcuno abbiamo concesso del potere su di noi.”

-Hermann Hesse-

American horror story cult jesus

Si assiste così a una sorprendente evoluzione dei personaggi: ciascuno di essi va incontro a numerosi cambiamenti con l’avanzare della stagione, soprattutto i già citati Kai e Ally. Quando uno recupera il coraggio, sembra che l’altro lo perda; quando uno è vulnerabile, l’altro è forte…

American Horror Story: Cult ci presenta il tema dei pericoli legati alle sette e l’influenza dei loro leader, tracciandone con estrema abilità le personalità e mostrando la facilità con cui mietono vittime tra le persone più insicure e vulnerabili. All’interno di una setta i membri non vengono chiamati con il loro vero nome, ma con dei soprannomi.

È in questo modo che Kai spoglia i suoi adetti della propria identità: ogni cosa può prendere una svolta inaspettata e qualsiasi persona, in un momento dato e sotto qualsiasi circostanza, può mostrarsi più vulnerabile e restare coinvolta in una situazione di manipolazione dalla quale è difficile uscire.

Costruire un leader

L’ambiente di culto su cui si costruisce la stagione è profondamente rafforzato dalle costanti allusioni ad altri noti leader di sette, alcuni promotori dei suicidi di massa più numerosi della storia, come Jim Jones e il suo “drinking the Kool-Aid”, Marshall Applewhite e la sua setta Heaven’s gate o David Koresh, leader dei Davidiani.

Tra tutti spicca, però, Charles Manson, conosciuto per la sua setta “Manson Family” e per aver organizzato uno dei delitti più famosi della storia: l’omicidio di Sharon Tate, moglie incinta del direttore Roman Polanski. Omicidio ricreato in quest’ultima stagione e che lascia lo spettatore senza parole.

American horror story stagione 7 kai

Kai farà da narratore per le storie di questi noti leader e ne prenderà le vesti. Kai vede in essi grandi uomini della storia dalle grandi idee, e per questo li idealizza e li imita, rimanendo però molto critico e analizzando i motivi del loro fallimento. Il suo obiettivo, infatti, è quello di forgiarne un’immagine perfezionata: ne è ispirato ma tenta di superarli, perfezionarli.

“La paura vi libererà dai vostri desideri, dalle vostre ambizioni e dai vostri bisogni di merda!”

-Kai Anderson, AHS: Cult-

La personalità di Kai non viene rafforzata soltanto dall’immagine di altri leader, bensì dalla sua esperienza personale. Tramite alcuni flashback, riviviamo alcuni momenti critici della sua vita , intuendo che forse, dietro al narcisista che è adesso, un giorno c’era una persona che ha sofferto e vittima. Questo ci porta inevitabilmente a fare una riflessione: ciascuno sceglie come affrontare le avversità, ciascuno sceglie come affrontare le sue paure e superarle. In American Horror Story: Cult vengono presentate due maniere distinte di farlo attraverso i personaggi di Kai e Ally.

Kai si rivela un misogino narcisista che mette in ombra le donne della sua setta – la rivalità uomo-donna raggiunge la massima potenza con la comparsa di un mondo opposto alla misoginia, con il riscatto di Valerie Solanas, il suo SCUM Manifesto e il suo tentativo di uccidere Andy Warhol.

La stagione non è priva della violenza alla quale ci avevano abituato i precedenti episodi, ma la prospettiva è diversa: ci mostra l’aspetto peggiore dell’umanità per farci riflettere sulla manipolazione che viviamo ogni giorno tramite i mezzi di comunicazione e i sistemi politici attuali, specialmente quello statunitense.

“Non c’è nulla di più pericoloso di un uomo umiliato”

-Kai Anderson, AHS: Cult-


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