Ossessione per il successo: epidemia del XXI secolo?

Viviamo in una società costantemente ossessionata dal successo. Ma fino a che punto il concetto di successo è naturale o culturale?
Ossessione per il successo: epidemia del XXI secolo?
Francisco Javier Molas López

Scritto e verificato lo psicologo Francisco Javier Molas López.

Ultimo aggiornamento: 18 febbraio, 2023

Nutriamo una tale ossessione per il successo al punto che sembra definire il nostro valore personale. Se qualcuno non ha l’obiettivo di guadagnare tanto o di avere un lavoro “invidiabile”, si sente chiedere: “E quindi, qual è la tua aspirazione?”. Come se il successo, tradotto in denaro, dovesse essere la colonna portante della vita di ognuno di noi, in ogni momento.

Quante volte abbiamo incontrato qualcuno che ha più successo di noi? In quante occasioni abbiamo paragonato la nostra auto a un’altra più nuova? O la nostra casa a una più grande?

Perché vogliamo sempre di più? Perché a volte ci aggrappiamo a questa aspirazione anche se siamo coscienti del dolore che riceveremo in cambio? Ma la vera domanda è: raggiungere il massimo successo è insito nell’essere umano o è una condizione imposta dalla società?

L’ossessione per il successo: naturale o culturale?

Fin da bambini veniamo bombardati con messaggi che parlano del piano di vita ideale. Ci viene imposta una determinata ideologia che spesso ci impedisce di vedere altri punti di vista. Se ci insegnano a pensare che avere successo significa avere tanti soldi, non possiamo fare altro che credere che l’obiettivo dell’essere umano sia accumulare denaro.

Se ci insegnano che avere successo significa trattare bene gli altri, il nostro obiettivo sarà essere brave persone. Ecco come l’influenza sociale gioca un ruolo fondamentale nelle nostre aspirazioni sociali e personali.

Non esiste una legge naturale che afferma che l’essere umano debba accumulare tanti soldi o avere tante proprietà. L’ossessione per il successo è un’imposizione sociale e culturale. Molti, però, on se ne rendono conto.

Da sempre nella società prevalgono esigenze surreali e irragionevoli. Se fin da piccoli associamo il successo all’avere il lavoro migliore, è probabile che per noi sia quella l’idea di successo.

“Tra tutte le qualità che provocano felicità sono profondamente convinto che l’amore altruista sia la più efficace.”

-Mathieu Ricard-

Bambino con aereo di cartone.

L’ossessione per il successo e la frustrazione

Le epidemie più diffuse nel XXI secolo sono la depressione e l’ansia. Nel 2016 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha affermato che più di 350 milioni di persone soffrono di depressione. E nel 2012 ha dichiarato che l’aspetto più preoccupante è che “tra 20 anni, la depressione sarà la malattia che colpirà di più gli essere umani, superando il cancro e le malattie cardiovascolari”.

Ciò avrà forse a che fare con l’ossessione per il successo? Assolutamente sì. Voler raggiungere a tutti i costi mete irreali ci rende frustrati nel momento in cui non ci riusciamo. Molte persone affermano che la propria vita è un fallimento perché non hanno un buon lavoro, hanno un’auto “normale” e vivono in una casa “non tanto grande”.

È evidente che non apprezzano ciò che hanno, sebbene siano più ricche della maggior parte della popolazione mondiale. È come se camminassero guardando il cielo piuttosto che guardare l’orizzonte o la terra. Un po’ alla volta, tuttavia, ci stiamo avvicinando a un concetto del successo più sano: essere felici qui e ora.

Apprezzare ciò che abbiamo e dirigerci verso una direzione moralmente corretta è molto più ammirevole che il desiderio e l’ansia di accumulare beni materiali e prestigio. Se osserviamo meglio chi ha l’ossessione per il successo, ci accorgeremo che soffre più di tutti.

Al contrario, chi ha a cuore gli altri e gioisce di ciò che possiede è più felice. Essere felici con ciò che si ha non significa accontentarsi, bensì saper apprezzare ciò che si ha nel  momento presente.

“Non è ricco colui che possiede di più, ma colui che necessita meno.”

Donna sorridente che annusa un fiore.

Diogene e Alessandro Magno

La storia racconta che Alessandro Magno volesse incontrare Diogene, il quale viveva in una botte, una delle poche cose che possedeva. Alcuni lo consideravano un pelandrone, altri un saggio. Quando Alessandro Magno si recò a rendergli visita, sperando che si congratulasse con lui, intavolarono una conversazione.

Alessandro si rivolse a Diogene, che si trovava disteso al sole, dicendo: “Chiedimi ciò che vuoi. Posso darti qualunque cosa desideri, anche quelle che gli uomini più ricchi di Atene non avrebbero mai il coraggio di sognare”.

Diogene aveva la possibilità di cambiare la propria vita radicalmente, di andare a vivere in un palazzo, di avere una grande fortuna. Ma la sua risposta non fu quella che tutti ci aspetteremmo. Diogene rispose “Certo. Non sarò io a impedirti di dimostrarmi il tuo affetto. Ti chiedo di spostarti dal sole. Essere toccato dai suoi raggi, in questo momento, è il mio più grande desiderio. Non mi serve altro, e solo tu puoi darmi questa gioia”.

Si dice che Alessandro affermò: “Se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene”. Questo aneddoto riflette quanto siano culturali alcuni bisogni. Per Diogene, il successo era starsene tranquillo a godersi il sole; per Alessandro Magno era l’ambizione smisurata di conquistare sempre più terre.

Dall’ossessione per il successo alla compassione

Matthieu Ricard, dottore in biologia molecolare e monaco buddista, è stato soprannominato “l’uomo più felice del mondo”. Ricard afferma che “la compassione, l’intenzione di eliminare le sofferenze degli altri e le cause della sofferenza, insieme all’altruismo, al desiderio di far star bene gli altri, è l’unico concetto unificante che ci permette di trovare la nostra strada in questo labirinto di preoccupazioni complesse“.

Ricard usa “labirinto di preoccupazioni” come sinonimo del mondo in cui viviamo e che, in qualche modo, abbiamo creato. E sostiene che la compassione dà senso alla nostra esistenza. Quindi, invece di guardare solo al nostro successo, la felicità e gran parte del senso della vita dipendono dall’attenzione verso gli interessi degli altri.

Aggiunge che “la felicità non è solo un susseguirsi  di esperienze piacevoli. È un modo di essere che si raggiunge coltivando una serie di qualità umane fondamentali, come la compassione, la libertà interiore, la pace interiore, la resilienza, etc”.

E ci svela anche il segreto per sviluppare queste qualità: “ognuna di queste qualità si può coltivare attraverso l’allenamento mentale e l’altruismo”.

Tutta la felicità nel mondo deriva dal pensare agli altri. Tutte le sofferenze nel mondo derivano dal pensare solo a se stessi.

-Shantideva-


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