Percezione del colore: un'abilità straordinaria
La percezione del colore è un argomento interessante e complesso. Molti si chiedono se lo percepiamo tutti allo stesso modo. Chi non ha mai chiesto a un amico di che colore vede un dato oggetto?
Il sistema visivo percepisce due tipi di colori: i colori acromatici (bianco, nero e grigio) e quelli cromatici. Quando si parla di colore, si fa riferimento ai colori cromatici e il termine corretto è tonalità. Nonostante ciò, il concetto più diffuso e conosciuto è quello del colore.
La domanda fondamentale è: cosa determina il colore che percepiamo tramite lo stimolo visivo? In altre parole, perché vediamo i colori e come li vediamo? Diverse teorie hanno affrontato la percezione del colore nel corso della storia. In questo articolo presentiamo le più importanti.
La teoria percettiva di Thomas Young
Nel 1802, Thomas Young propose una delle prime teorie sulla visione dei colori: la teoria delle componenti o tricomatica, ampliata da Hermann von Helmholtz nel 1852. Secondo questa teoria, esistono tre diversi tipi di recettori del colore (coni), ognuno con una diversa sensibilità spettrale. Oltre a ciò, il colore di uno stimolo viene codificato dalla quantità e dalla proporzione di attività di quei recettori.
In seguito, Ewald Hering propose la teoria de il processo dell’avversario dei colori nel 1878. Hering postulò l’esistenza di due tipi di cellule nel sistema visivo destinate a codificare il colore e un altro tipo destinato a codificare la luminosità.
La sua ipotesi ruotava attorno al fatto che ogni tipo di cellula codifica la percezione di due colori complementari (coppie di colori che producono bianco o grigio se combinati nella stessa misura).
“Ogni persona ha il proprio colore, una tonalità la cui luce filtra solo lungo i contorni del corpo. Una specie di aureola. Come nelle figure in controluce.”
-Haruki Murakamii-
Su cosa si basa la teoria di Hering? I colori complementari non si presentano insieme. Nelle parole dell’autore, “non esistono tonalità come il blu-giallo o il verde-rossastro”. Un altro argomento su cui si basa la sua teoria è che l’immagine residua prodotta fissando il colore rosso è verde e viceversa. Così come l’immagine residua quando si guarda il colore giallo è blu e viceversa.
Per molti anni i ricercatori si sono avvicinati all’una o all’altra teoria, ma nel tempo è stato dimostrato che entrambi i meccanismi di codifica coesistono nel sistema visivo. Andiamo più a fondo.
Le prove che confermano entrambe le teorie
La teoria di Young fu confermata solo all’inizio degli anni ’70 grazie alla microspettrofotometria, una tecnica per misurare lo spettro di assorbimento dei fotopigmenti contenuti nei cono. Con l’aiuto di questo strumento è stata osservata l’esistenza di tre tipi di coni nella retina degli esseri viventi con una buona percezione dei colori.
Allo stesso tempo, è stato scoperto che ciascuno di questi coni contiene un fotopigmento diverso con il suo particolare spettro di assorbimento. Alcuni coni sono più sensibili alle lunghezze d’onda lunghe, altri alle onde medie e altri alle onde corte.
Rispetto alla teoria di Hering, Chatterjee e Callaway (2003) hanno verificato l’elaborazione opposta del colore a tutti i livelli del sistema retino-geniculo-striato. Grazie a ciò, hanno scoperto che alcune cellule rispondono in una direzione a un colore e nella direzione opposta al suo colore complementare.
La costanza del colore e la teoria Retinex
Le teorie precedenti non spiegano un aspetto fondamentale nella percezione del colore: la costanza. Questo concetto si riferisce al fatto che il colore che percepiamo di un oggetto non è semplicemente una funzione delle lunghezze d’onda che vengono riflesse.
Per esempio, quando vediamo il nostro soggiorno all’alba, la luce non è la stessa di quella di mezzogiorno. Le lunghezze d’onda cambiano, ma percepiamo lo stesso colore. La parete della nostra stanza può sembrare più o meno scura a seconda della luce, ma sappiamo che è sempre dello stesso colore.
La costanza del colore è pertanto “la tendenza di un oggetto a mantenere lo stesso colore nonostante i grandi cambiamenti nella lunghezza d’onda della luce che riflette (Pinel, 2012)”. In effetti, ci fornisce una funzione adattativa nella nostra capacità di distinguere alcuni oggetti dagli altri, poiché se non fosse così, il colore cambierebbe ogni volta che cambia l’illuminazione.
La teoria Retinex sulla percezione del colore
La teoria Retinex di Land (1977) sostiene che “il colore di un oggetto è determinato dal suo riflesso (ovvero la proporzione di luce di diverse lunghezze d’onda riflesse da una superficie)”.
Hurlbert e Wolf (2004), seguendo questa teoria, affermano che “il sistema visivo calcola il riflesso delle superfici. In questo modo, percepisce i colori confrontando la luce riflessa da superfici adiacenti o prossime in almeno tre diverse lunghezze d’onda (corta, media e lunga)”.
“Ci sono cose a colori che sorgono in me mentre dipingo, cose grandi e intense.”
-Vincent van Gogh-
In altre parole, il sistema visivo è in grado di calcolare le lunghezze d’onda riflesse da una superficie e percepire comunque lo stesso colore nonostante i cambiamenti dell’illuminazione. Non importa se un oggetto riceve più o meno luce, il suo colore non cambierà per noi.
Shapely e Hawken (2002) affermano che la teoria di Land è importante perché suggerisce l’esistenza di neuroni corticali coinvolti nella visione del colore, cioè nella sua percezione.
La scienza continua a studiare la percezione del colore
Nonostante i grandi progressi scientifici in termini di attività cerebrali, c’è ancora molto da scoprire sulla percezione del colore. Si tratta di un argomento molto attuale e su cui si sono fatte nuove scoperte negli ultimi anni. Le teorie si evolvono, per cui è possibile scartarne alcune, completarne altre e scoprirne di nuove.
“Cerco di usare i colori come parole che formano poesie, come note che formano musica.”
-Joan Miro-