Rasagilina per trattare il Parkinson

La rasagilina è uno dei farmaci più usati contro il morbo di Parkinson. In questo articolo parleremo dei suoi effetti, la sua farmacocinetica e le sue controindicazioni.
Rasagilina per trattare il Parkinson

Ultimo aggiornamento: 23 ottobre, 2019

Il morbo di Parkinson è una delle malattie neurodegenerative più frequenti. La rasagilina, commercializzata come Azilect, è un farmaco molto efficace usato per il trattamento di questo disturbo. È legata alla selegilina ed è stato dimostrato che è in grado di migliorare i sintomi motori con solo una somministrazione giornaliera.

Secondo la sua scheda tecnica, è indicata per il trattamento del morbo di Parkinson sia in monoterapia che in terapia coadiuvante, in combinazione con levodopa. Di norma è più efficace se usata come unico farmaco nelle prime fasi della malattia e in combinazione quando il Parkinson è già avanzato.

Inizialmente migliora la capacità motoria del paziente, poi agisce sulla rigidità, la bradicinesia e il tremore tipici della fase più avanzata. La sua efficacia e sicurezza sono state ampiamente dimostrate tramite diversi studi.

Come abbiamo detto, viene commercializzata anche con il marchio Azilect. Bisogna somministrare per via orale una dose di 1 mg, una volta al giorno, con o senza levodopa. Non richiede l’aggiustamento della posologia e può essere presa prima o dopo i pasti. Può essere assunta anche in combinazione con altri antiparkinsoniani.

Pillole di rasagilina

Meccanismo di azione della rasagilina

La rasagilina è un inibitore selettivo irreversibile della monoammino ossidasi-B (MAO-B). Questo enzima catalizza l’ossidazione delle monoammine e la degradazione dei neurotrasmettitori, come la dopamina. La rasagilina, dunque, blocca il metabolismo della dopamina, prolungando la sua azione nello spazio sinaptico e aumentando la sua concentrazione nei segmenti nigrostriatali del cervello, migliorando le capacità motorie.

Ha anche un effetto neuroprotettivo molto potente. Questo effetto è indipendente dal suo meccanismo di azione principale e sembra essere dovuto a un metabolita: l’aminoindano, anch’esso con attività antiparkinsoniana. Agisce sulle vie di trasmissione del segnale intracellulari con la apoptosi.

Sebbene chimicamente sia simile alla selegilina, differisce da questa in quanto non si metabolizza dando origine a derivati dell’anfetamina. Di conseguenza, presenta un minor rischio di effetti avversi cardiovascolari. Alcuni studi dimostrano che è più potente; spesso però è anche più costosa.

Effetti secondari

In generale, la rasagilina presenta un profilo di tolleranza molto buono. I suoi effetti avversi non sono gravi né acuti. Secondo gli studi realizzati, non sono stati osservati elevati casi di interruzione del trattamento a seguito di tali effetti. Le reazioni avverse di questo farmaco, inoltre, dipendono da come viene somministrato. Le più frequenti quando viene assunta in monoterapia sono:

  • Febbre o sindrome influenzale.
  • Depressione.
  • Cefalea.
  • Congiuntivite.
  • Rinite.
  • Dermatiti.
  • Dolori muscolo-scheletrici e cervicali.
  • Malessere.
Donna con mal di testa

Quando viene somministrata in associazione a levodopa, le reazioni avverse più frequenti sono:

  • Discinesia o movimenti anomali e involontari.
  • Ipotensione ortostatica.
  • Perdita di peso.
  • Inappetenza.
  • Disturbi gastrointenstinali come dolori addominali, stitichezza, nausea o vomito.

La rasagilina non deve essere assunta in associazione a farmaci antidepressivi, per evitare reazioni avverse gravi. Queste sono state osservate in combinazione con la fluoxetina o fluboxamina. In questo senso, non si deve combinare la somministrazione di rasagilina con i farmaci dei seguenti gruppi:

Inoltre non deve essere somministrata insieme a decongestionanti o antitussivi come il destrometorfano. Nel trattamento del Prakinson con rasagilina, pertanto, si devono evitare i mucolitici, che contengono questi principi attivi.

Deve essere somministrata con cautela nei soggetti con insufficienza o patologia epatica. È opportuno monitorare la funzionalità di questo organo durante il trattamento in quanto il farmaco ha un rapido assorbimento e viene metabolizzato dal fegato mediante il citocromo P450.


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