Resistenza alla terapia: 4 tipologie
Con resistenza alla terapia si intendono comportamenti, cognizioni o emozioni manifestati dal paziente e che rappresentano un ostacolo ai cambiamenti. Nello specifico, il ventaglio di resistenze è ampio tanto quanto quello delle persone che ricorrono alla terapia.
D’altro canto, sebbene non tutti la manifestino, in alcuni momenti potremmo notare che il paziente appare stanco, rifiuta di informarci su determinati argomenti e non porta a termine i compiti concordati.
I diversi modelli e le correnti psicologiche prestano ognuno un tipo di attenzione diversa al problema in base alle varie forme di resistenza alla terapia. Eppure, ognuno di questi insiste sul bisogno di abbatterle, offrendo esse l’attenzione che meritano, mettendole in luce durante la seduta e domandando in modo assertivo al cliente quali difficoltà sta riscontrando.
Esistono delle tecniche adatte a qualunque tipo di terapia, e che possono essere utili a combattere la resistenza manifestata durante la seduta; in questo caso ci concentreremo su quelle che provengono dalla psicologia positiva.
Cosa è la psicologia positiva?
La psicologia positiva è una corrente psicologica che si concentra soprattutto sui punti di forza; non su ciò che ci rende fragili, bensì sulle nostre risorse e le nostre potenzialità. Sono in molti a ritenere che sia sorta nel 1998, promossa dal presidente dell’American psychological Association (APA), M. Seligman.
Lo scopo della psicologia positiva è quello di potenziare i punti di forza, la crescita e lo sviluppo umano. Nel contesto di questa corrente, si ricerca il benessere psicologico dell’individuo in merito ad aspetti come l’indipendenza e l’autonomia, i contesti favorevoli alla soddisfazione dei desideri e dei bisogni, lo sviluppo di potenzialità o gli scopi di vitale importanza.
Integrare azioni associate a questa corrente, indipendentemente dal quadro metodologico della terapia, si profila come utile non solo per affrontare le forme di resistenza, bensì anche per arricchire il cambiamento nel paziente e per potenziare le sue abilità.
Rete di pensieri negativi, intrusivi e ossessivi: la resistenza alla terapia
In un gran numero di patologie possiamo riscontrare pensieri ricorrenti che il paziente non è in grado di controllare. Quando in un contesto cognitivo-comportamentale fermare un pensiero o eliminare la spazzatura emotiva tramite l’autocontrollo non sembra essere di alcuna utilità, e allo scopo di mettere in atto una ristrutturazione cognitiva che conduca a un cambiamento più duraturo, esistono tecniche utili come:
- Tecniche che derivano dalla mindfulness: eseguire una contemplazione non valutativa delle esperienze, senza rimanere bloccati in esse, è utile quando i pensieri non possono essere controllati. Con la mindfulness non si cerca di eliminarli, bensì di indebolire l’identificazione del paziente con le proprie esperienze soggettive.
- Terapia del benessere (Well- Being Therapy): questa terapia punta a incrementare il benessere e l’efficacia personale, non solo ad attenuare i sintomi della resistenza alla terapia. Visto che i pensieri ossessivi tendono a essere negativi, aumentare il benessere può essere utile. Possono essere applicate tecniche davvero facili da attuare, come elencare a inizio seduta gli episodi della settimana in cui è prevalso il benessere, e non fare domande solo sui momenti di malessere.
- Tecniche narrative sugli avvenimenti positivi del passato: mettere per iscritto gli avvenimenti passati, su cui possono riversarsi i pensieri negativi. Questo potrebbe essere utile a risvegliare emozioni positive di un passato che può essere visto solo come negativo. Il compito può consistere nel produrre un elaborato scritto sui momenti più felici della vita e sulle emozioni che li hanno accompagnati.
Intendere la patologia come una dimensione associata al paziente
Molti pazienti iniziano la terapia sentendosi totalmente sopraffatti dalla patologia. E questo è talmente vero che per la maggior parte di loro è difficile non identificarsi con essa. Di solito questa sensazione è accompagnata dall’ansia. Le persone con disturbi dell’ansia tendono ad autodefinirsi secondo questa etichetta, senza separarsi da essa.
Pensano di aver sempre sofferto di ansia, di soffrirne adesso e in futuro. La depatologizzazione dell’ansia e di altri disturbi è importante per privarli di potere e far sì che il soggetto consideri altri aggettivi, molto più idonei, con i quali definirsi:
- Riconcettualizzazione del termine “ansia”: spiegare la funzione evolutiva dell’ansia è utile, in quanto essa non è di per sé negativa. Con ciò si vuole cercare di eliminare la valenza negativa del termine. Inoltre, è utile distinguere tra i vocaboli “stress” e “ansia”, essendo il primo un termine utilizzato in diversi contesti che non costituisce una patologia; il secondo termine equivale invece a una malattia. Si consiglia di far capire al paziente che non sono realtà così diverse.
- Modello di Potenziamento o di Competenza (Costa e López, 1986): fa leva sui punti di forza, sulle competenze e sulle abilità con le quali una persona può identificarsi. Questo aspetto è vantaggioso quando il paziente continua a percepire l’ansia come una patologia. Si consiglia di mostrargli ulteriori aggettivi con cui descrivere se stesso.
- Interventi basati sui punti di forza (Seligman, 2005), tra i quali si trovano temi da svolgere del tipo “Il tuo ricordo più bello”, ovvero mettere per iscritto i ricordi di un periodo in cui spiccavano le migliori caratteristiche del paziente e leggerli ogni sera, oppure “Visita di gratitudine”. L’obiettivo di quest’ultima tecnica è arricchire la cerchia sociale del paziente.
Anticipazione e ansia
Applicando nuovamente la resistenza ai disturbi dell’ansia, alcune volte la ristrutturazione cognitiva può diventare di difficile realizzazione.
Il dibattito socratico dei pensieri irrazionali può dunque essere abbinato a compiti utili al paziente per trovare l’aspetto positivo dei propri problemi, visto che l’anticipazione degli stessi tende a provocare particolare malessere in chi soffre di questo disturbo:
- Aprirsi al futuro: psicoeducazione nell’utilità dei problemi. Dibattito sui benefici di accogliere la vita a braccia aperte, con curiosità e interesse.
- L’impronta vitale e il progresso: cercare le tracce che quelle esperienze negative e positive che hanno segnato l’individuo e decidere se conservarle.
Attribuzione del cambiamento terapeutico al trattamento
Le persone che iniziano una terapia psicologica dopo essersi già sottoposte a trattamento possono attribuire qualunque cambiamento positivo al precedente trattamento.
Visto che non è possibile sospendere il trattamento all’improvviso, e che a volte è controproducente, si cerca di rendere la persona consapevole di tutto lo spettro di cambiamenti positivi verificatisi, abbinando ciò al dibattito socratico, capace di smontare questa convinzione.
Si possono utilizzare grafici che raccolgano i punteggi dello stato d’animo che probabilmente saranno esponenziali. Inoltre, è possibile evidenziare i segnali di miglioramento e di guarigione che di solito vengono trascurati durante le sedute.
Conclusioni sulle forme di resistenza alla terapia
Questi compiti e tecniche rientrano nel ventaglio di opzioni su cui il terapista può contare per contrastare le forme di resistenza alla terapia, piuttosto che ignorarle o non prestare esse la dovuta attenzione (una cosa davvero poco consigliabile).
È possibile ricorrere anche ad altri tipi di intervento positivo, sempre allo scopo di potenziare e depatologizzare, grandi pilastri della psicologia positiva.