Rimanere in silenzio, quando non parlare fa male

“Di questo non si parla!”. Questa è un'espressione che a volte percepiamo come un'imposizione. Ma quali sono le sue conseguenze?
Rimanere in silenzio, quando non parlare fa male
María Alejandra Castro Arbeláez

Scritto e verificato la psicologa María Alejandra Castro Arbeláez.

Ultimo aggiornamento: 02 gennaio, 2023

È molto comune trovarsi in situazioni in cui sentiamo di dover rimanere in silenzio. A volte ci viene detto chiaramente: “Non parlarne!”; altre volte lo intuiamo dalle circostanze. Quando abbiamo recepito il messaggio, sta a noi capire come comportarci.

Ci sono delle volte in cui ci auto-inibiamo e non esprimiamo il nostro pensiero, anche se nessuno ci ha detto: “Di questo non si parla”. Oggi vogliamo approfondire questo argomento. Scopriremo perché rimanere in silenzio può farci male e quali strumenti possiamo utilizzare per evitare di trovarci in una situazione del genere.

“I segreti e il divieto di parlare possono portarci ad avere delle interazioni dannose con noi stessi, con gli altri e con l’ambiente che ci circonda.”

Donna con un fiore in mano

Perché dobbiamo rimanere in silenzio?

Può succedere in diverse situazioni. A volte ci vietano di parlare, giustificando questa imposizione dicendoci: “Ma cosa ne penseranno gli altri?”. Altre, ci impediscono di parlare di un argomento senza darci una spiegazione. Può capitare anche che alcuni fatti debbano essere celati a uno o a più membri della famiglia. Oppure non sappiamo come esprimere il nostro pensiero con le parole e come farci capire dagli altri.

Spesso, anche se facciamo finta che alcuni problemi non esistano, in realtà esistono. Di conseguenza, possiamo avere dei pensieri, provare dei sentimenti e assumere dei comportamenti che potremmo definire “particolari”. Questo accade perché ognuno di noi percepisce e comunica le cose in modo diverso. Anche se non ci esprimiamo utilizzando il linguaggio verbale, lo facciamo attraverso il linguaggio non verbale.

Non tutte le persone che ci dicono di non parlare di qualcosa lo fanno con cattive intenzioni. Talvolta, inconsciamente, ci comunicano qualcosa che non vogliono, senza però volerci ferire. In altri casi, invece, il nostro interlocutore vuole ferirci e dunque ci costringe a rimanere in silenzio. Altri ancora lo fanno per proteggerci senza sapere che in realtà ci stanno facendo del male.

Perché rimanere in silenzio fa male?

Il silenzio può farci star male perché non permette al cervello di esprimersi limitando i nostri pensieri al dialogo interiore. Tutti abbiamo provato la sensazione di esplodere perché siamo stati troppo tempo in silenzio senza aver avuto la possibilità di esprimerci.

Quando una persona non ci permette di parlare di certe cose, sta limitando la nostra libertà. In alcuni momenti potrebbe essere necessario rimanere in silenzio, soprattutto se la persona in questione sta affrontando un periodo difficile. Ma se ci viene sempre impedito di parlare non riusciremo ad aiutarla e non faremo altro che aumentare i suoi problemi.

Altre volte, invece, siamo noi che per paura rimaniamo in silenzio. Soprattutto quando abbiamo vissuto un’esperienza dolorosa o imbarazzante. Tuttavia, è importante parlare delle nostre emozioni represse in modo da poterle esprimerle e vivere il momento come una sorta di apprendistato. In caso contrario, continueremo ad alimentare quello che ci fa soffrire.

Capita di tenere nascoste alcune situazioni per non creare ulteriori problemi. Tuttavia, non sempre si tratta della scelta migliore. La persona in questione potrebbe scoprirli in altro modo o potrebbe non essere stata capace di superare alcuni problemi perché inconsapevole di quello che stava accadendo.

Ragazza pensierosa in silenzio

Strategie per affrontare l’incapacità di esprimersi

Esistono diverse strategie per affrontare l’incapacità di esprimersi. Vediamone alcune:

  • Esprimere ciò che si sente. Non bisogna farlo necessariamente attraverso la parola. Per esempio, si può utilizzare l’arte, l’esercizio fisico o la meditazione. Questi sono tutti mezzi attraverso i quali possiamo entrare in connessione con le nostre emozioni.
  • Cercare aiuto. Potete rivolgervi a un professionista come uno psicologo oppure parlare con una persona cara. Non dovete vergognarvi se vi sentite oppressi, sopraffatti o se avete vissuto delle esperienze dolorose.
  • Essere resilienti. Come si può andare avanti? Bisogna superare i problemi e dare un altro significato alle esperienze che vi hanno fatto soffrire. Ad esempio, pensate a quello che vi è accaduto come un’opportunità per conoscere aspetti nuovi di voi stessi.
  • Stabilire dei limiti. Se qualcosa ci fa stare male, è importante che gli altri lo sappiano. È un modo per proteggere noi stessi e per far sapere gli altri cosa ci preoccupa.

Oltre a ciò, se pensiamo che qualcuno stia evitando di dirci qualcosa, dobbiamo invitarlo a condividere i suoi problemi con noi. In questo modo, diminuiremo le sue difficoltà e lo aiuteremo a mettere in atto una serie di meccanismi psicologici che lo porteranno ad affrontare i suoi problemi (strategia di coping).

Rimanere in silenzio ha conseguenze molto importanti, che sono state trattate dai vari rami della psicologia attraverso la terapia sistemica. Anche diversi studi e ricerche si sono concentrati su questo aspetto. La studiosa Ludmila da Silva Cateva in un suo articolo riflette sul “non detto” e su ciò che “censuriamo” mettendo in relazione queste scelte con la fiducia e il dolore. In modo particolare analizza le reazioni delle vittime di violenza diretta o indiretta e quelle delle generazioni che la violenza non l’hanno mai vissuta.

Ogni problema di cui non si parla può causare una grande sofferenza. È possibile esprimere le proprie difficoltà in vari modi. Le persone che, direttamente o indirettamente, impongono di rimanere in silenzio non sempre vogliono ferire, ma potrebbero farlo. È dunque importante parlare in modo assertivo di quello che proviamo e ciò richiede determinate strategie, abilità e un certo atteggiamento.


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  • Catela, L.F.S: (2000). De eso no se habla. Cuestiones metodológicas sobre los límites y el silencio en entrevistas familiares de desaparecidos políticos. Historia, antropología y fuentes orales, pp. 69-75.
  • Werba, A. (2002). Transmisión entre generaciones. Los secretos y los duelos ancestrales. Psicoanálisis de la Asociación Psicoanalítica de Buenos Aires, 24, 295-313.

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