Sentirsi oppressi e non ricorrere alla violenza!
Per oppressione s’intende una condizione asimmetrica di sopraffazione da parte di una persona o di un gruppo di persone, spesso rafforzata da elementi ostili, come minacce o violenza reale. Ci si sente oppressi quando il proprio gruppo viene minacciato o aggredito da uno più potente. Sentirsi oppressi vuol dire ritenersi umiliati, insultati, meno avvantaggiati e si ha la sensazione che la legge non valga per tutti.
È sufficiente sentirsi oppressi per scatenare una reazione violenta? In uno primo momento, si pensava che la causa principale della violenza fosse proprio l’oppressione. Quest’idea si basa sulle teorie della frustrazione/aggressività e della deprivazione relativa, le quali sostengono che oppressione, frustrazione e umiliazione siano variabili che scatenano la violenza.
Sentirsi oppressi: l’ipotesi della frustrazione/aggressività
Una delle prime teorie per spiegare le cause della violenza è l’ipotesi della frustrazione/aggressività, secondo la quale l’aggressività è sempre risultato della frustrazione. Tuttavia, tale teoria non ha trovato riscontro nella realtà.
I dati rivelano che la frustrazione non porta inevitabilmente all’aggressività, ovvero le persone frustrate non necessariamente ricorrono alla violenza. A volte la frustrazione porta alla risoluzione del problema e altre volte la violenza non si manifesta a causa della frustrazione, ma dell’intolleranza o della disinformazione di chi vi ricorre.
Non è dunque ragionevole considerare la frustrazione come un fattore necessario e sufficiente a causare una reazione aggressiva. L’ipotesi è stata pertanto riformulata in modo da individuare la causa dell’aggressività solamente nella frustrazione frutto di minaccia. In questo senso, la frustrazione potrebbe fomentare l’ira e l’odio. A loro volta, questi stati emotivi genererebbero l’aggressività.
Questa nuova proposta, però, non sembra trovare sempre dimostrazione nella realtà. La frustrazione a seguito di una minaccia può facilitare l’aggressività, ma non determina il comportamento aggressivo.
La deprivazione relativa
Di fronte all’insuccesso riscosso dall’ipotesi della frustrazione/aggressività, si è diffusa la teoria della deprivazione relativa che concepisce la frustrazione come uno stato provocato, appunto, dalla deprivazione relativa.
Quest’ultima è una percezione distorta dei bisogni, ovvero ci convinciamo di essere privati di un nostro bisogno o diritto. Secondo questa teoria, le persone si ribellano quando non riescono più a sopportare le condizioni di disuguaglianza a cui sono costrette.
Con il tempo si è visto che la deprivazione relativa può favorire certi atteggiamenti di stampo violento, specialmente tra i membri di una classe sociale o un gruppo di oppressi. Non per questo, però, è da considerarsi sempre un fattore scatenante della violenza. È vero che la povertà e la disuguaglianza possono portare alla violenza, ma nella maggior parte dei casi questo non accade.
L’oppressione percepita
Sentirsi oppressi non è in sé una causa necessaria né sufficiente a scatenare una reazione violenta. Tuttavia, è una variabile cognitivo-emotiva che costituisce un potenziale fattore di rischio. L’oppressione non deve per forza essere reale, può essere anche percepita. Credere di essere minacciati da un altro gruppo può essere sufficiente a sentirsi oppressi. Il concetto di oppressione racchiude le precedenti teorie, quindi include i sentimenti negativi, come la frustrazione, e le sensazioni cognitive, come la deprivazione.
Anche se l’oppressione non necessariamente fa parte dell’insieme di fattori che possono generare comportamenti violenti, è comunque legata ad alcuni quadri clinici specifici, come l’ansia o la depressione. Inoltre, le persone che si sentono oppresse solitamente sviluppano un certo livello di stress emotivo, il che gioca un ruolo importante nella manifestazione della violenza.