Teoria del frame e manipolazione comunicativa
La teoria del frame racchiude una serie di concetti che provengono dalla sociologia e dalle scienze della comunicazione. Si propone di spiegare perché l’essere umano rivolga la propria attenzione a certi aspetti della realtà piuttosto che ad altri. In altre parole, perché la maggior parte di noi tende a interpretare la realtà in un determinato modo.
Applicata alla comunicazione, la teoria del frame ci mette in guardia sulla realtà offerta dai mass media, realtà che viene sottoposta previamente a un processo di “framing”. Questo significa che l’approccio alla notizia tende a privilegiare alcuni aspetti e minimizzarne altri.
“Quando non facciamo nostri gli strumenti del giudizio per seguire semplicemente le nostre speranze, diventiamo terreno per i semi della manipolazione politica.”
-Stephen Jay Gould-
Quella che pensiamo sia realtà, quindi, è solo una parte di essa: è ciò che si trova all’interno del frame, in italiano “cornice”, precedentemente approntata. Così facendo, la nostra attenzione e il nostro interesse vengono indirizzati in modo deliberato verso aspetti precisi. Lo sguardo della società viene educato a vedere le cose in un certo modo.
Precursori della teoria del frame
Uno dei primi a parlare di frame o framing fu lo psicologo Gregory Bateson nel 1955. Definì queste etichette come strumenti mentali che ci consentono di stabilire delle differenze.
Detto in altro modo, etichettare serve a determinare i confini degli oggetti e a distinguerli dagli altri. Sappiamo che una matita è una matita e non un termometro grazie a specifiche caratteristiche che li differenziano.
Nel 1974 il sociologo Ervin Goffman riprese l’argomento sottolineando che l’aspetto cruciale non è la realtà in sé, ma il modo in cui il soggetto la interpreta. Recepiamo un’informazione a seconda del contesto in cui ci viene presentata.
Ad esempio, posso creare l’etichetta “individuo pericoloso“; tutto quello che vi faccio rientrare, vi appartenga o meno, sarà visto come indesiderabile. Se in questo frame ci inserisco un giovane rasta, chi non conosce nulla di questo movimento lo recepirà come pericoloso. È l’etichetta a determinare il modo in cui interpretiamo l’oggetto.
Barbara Tuchman trasportò questo concetto nell’ambito della comunicazione dei mass media. Nel 1978 ci avvisava che le notizie si basano sul principio dell’etichetta. Questa viene decisa dal mezzo di comunicazione e dal giornalista e modella il modo in cui la società vede la realtà; non è la realtà stessa.
I processi all’interno dei media
Secondo la teoria del frame, l’esercizio portato a capo dai media comprende diversi processi:
- Selezionare determinati aspetti della realtà.
- Dare maggiore rilevanza a tali aspetti all’interno della notizia o del testo.
- Definire un problema associato a questi aspetti.
- Proporre un’interpretazione che indichi la causa del problema.
- Fornire una valutazione morale del problema, suggerire soluzioni o consigliare alcune linee d’azione.
La teoria del frame prevede, inoltre, fasi diverse del processo:
- Frame dell’emittente. In questa fase l’emittente stabilisce i criteri secondo cui il pubblico dovrà essere informato. Tiene conto degli interessi dell’emittente in termini personali e istituzionali.
- Frame della notizia: cosa viene detto e in che modo. In questa fase l’emittente decide in quale parte della notizia vuole mettere l’accento, quali sono i limiti della notizia e quale significato darvi.
- Frame del ricevente. È il modo in cui i frame precedenti interagiscono con le strutture mentali del destinatario. In un modo o nell’altro, l’obiettivo è agire in accordo con essi.
La manipolazione comunicativa
È fondamentale capire in che modo la realtà ci viene presentata dai media e che questa non è la realtà in se stessa. Dobbiamo essere coscienti di quanto è salutare essere critici nei confronti delle informazioni che riceviamo.
L’intervento degli Stati Uniti in Iraq nel 2003 rappresenta un buon esempio di questo fenomeno. Prima del conflitto, i media fecero circolare la notizia dell’esistenza di un sito di armi chimiche per la distruzione di massa. L’arrivo delle truppe americane fu presentato come un atto eroico. Il mondo intero seguì in televisione l’abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad.
Cosa prova questa fotografia? Che migliaia di persone erano contro il regime di Hussein, certo. Ma quelle migliaia non erano l’intero Iraq. L’impressione che abbiamo ricevuto, invece, era di consenso totale del popolo.
Con il tempo abbiamo saputo che il presunto arsenale chimico non era mai esistito e che in Iraq alcuni settori erano decisamente contrari all’intervento esterno.
Nonostante ciò, è probabile che alcuni di noi abbiano mantenuto la versione iniziale della notizia, facendo proprio il frame progettato dai media.