Teorie sulla fame: perché mangiamo?

Le diverse teorie sulla fame prevedono diverse risposte alla domanda "perché mangiamo?".
Teorie sulla fame: perché mangiamo?
Francisco Javier Molas López

Scritto e verificato lo psicologo Francisco Javier Molas López.

Ultimo aggiornamento: 03 febbraio, 2023

Arriva mezzogiorno e cominciamo ad avere fame. Passano i minuti e la sensazione diventa via via più acuta. Abbiamo bisogno di mettere qualcosa nello stomaco! Ma siamo troppo occupati e non possiamo. Sono le due e all’improvviso ci rendiamo conto di non avere più fame. Quante volte abbiamo sentito dire “mi è passato l’appetito”? Senza dubbio le diverse teorie sulla fame prevedono diverse risposte alla domanda “perché mangiamo?”.

La risposta sembrerebbe ovvia: perché abbiamo fame. Ma è davvero questo il motivo? In parte sì, e allora perché a volte ci passa la fame? Perché quando abbiamo davanti il nostro piatto preferito mangiamo più di quanto abbiamo bisogno? “Non ho più fame, ma a questo non resisto” e così mangiamo fino a scoppiare.

A seguire presentiamo le teorie sulla fame più significative. Quelle che spiegano il nostro comportamento alimentare e che ci offrono una risposta alle domande precedenti.

Teorie sulla fame

Ipotesi del set point

La teoria del set point, o valore di riferimento, attribuisce la fame alla mancanza di energia. Quando mangiamo, perciò, ristabiliamo il nostro ottimale livello energetico, chiamato anche set point energetico.

Secondo questa ipotesi, mangiamo fino a sentirci sazi, momento in cui smettiamo di mangiare perché si è ristabilito il nostro set point. Ovvero l’atto di mangiare ha compiuto la sua funzione, quindi non ripeteremo questa azione fino a quando il nostro corpo non brucerà abbastanza energia da riportarci sotto questo valore di riferimento.

Il sistema del set point è composto da tre meccanismi:

  • Meccanismo regolatore: imposta il valore di riferimento.
  • Rivelatore: identifica le deviazioni da questo valore.
  • D’azione: scatta per eliminare le deviazioni.
Ragazza mangia gli spaghetti

Tutti i sistemi di set point (Wenning, 1999) sono sistemi di feedback negativo, cioè il riscontro che deriva da un cambiamento in una certa direzione produce effetti compensatori in direzione opposta. Questi sistemi si trovano di solito nei mammiferi e il loro scopo è quello di mantenere l’omeostasi.

Se questa teoria fosse esauriente, una volta raggiunto il nostro valore di riferimento, dovremmo smettere di mangiare. Ma non è sempre così, vero? Proseguiamo allora il nostro viaggio attraversi le teorie sulla fame.

Teoria glucostatica

A metà del secolo scorso, diversi ricercatori pensavano che l’assunzione di cibo avvenisse allo scopo di mantenere i giusti livelli di zucchero nel sangue. Tale teoria è nota come glucostatica. Mangiamo, cioè, quando i livelli di glucosio nel sangue si abbassano e smettiamo di farlo una volta ristabiliti i valori normali.

Teoria lipostatica

Un’altra ipotesi dello stesso periodo è la teoria lipostatica. Secondo questo sistema, ognuno di noi ha un valore di riferimento di grasso corporeo. Il comportamento a tavola, quindi, sarebbe motivato dal bisogno di ristabilire questo punto.

Limiti delle teorie del set point

Il primo limite con cui questa teoria deve fare i conti è il fatto che non considera l’importanza del sapore del cibo, dell’apprendimento e dei fattori sociali. Entrano in gioco i piatti che amiamo e le cene conviviali. Immaginate di avere davanti il vostro piatto preferito e un piatto che non vi attrae in modo particolare. Cosa succede? Probabilmente prenderete meno dal piatto che non vi entusiasma, mentre dal primo mangerete fino a sazietà e oltre. Certo: possiamo mangiare anche senza avere fame. In questo modo il consumo di cibo non è più controllato dalle cosiddette deviazioni del set point.

Lowe (1993) affermava che più della metà degli americani presenta già un notevole eccesso di depositi di grasso quando si mette a tavola. Questo vale anche per chi è in sovrappeso e non smette di mangiare. Basta questo a indicare che le teorie del set point sono incomplete.

Per di più, se queste ipotesi fossero precise, l’essere umano non sarebbe sopravvissuto fino ai giorni nostri. Pinel, Assanand e Lehman (2000) sostengono che “le teorie del set point sulla fame e sull’assunzione di cibo non sono in accordo con le pressioni evolutive di base relative a tale assunzione così come le conosciamo”.

I ricercatori spiegano che i nostri antenati avevano bisogno di mangiare una grande quantità di cibo in previsione dei periodi di carestia. In questo modo, immagazzinavano calorie sotto forma di grasso corporeo. Se la teoria del set point fosse rigida, avrebbero dovuto smettere di mangiare una volta ristabilita la deviazione e quando il cibo finiva, non avrebbero avuto riserve caloriche.

Teorie della fame e ragazza che mangia un panino

Teoria dell’incentivo positivo

Secondo questa la teoria “ciò che in genere spinge gli esseri umani e gli animali a mangiare non è una carenza di energia, ma il piacere anticipato di ciò che ci attende”(Toates, 1981). Questo piacere è chiamato valore dell’incentivo positivo.

“Uno stomaco vuoto è un cattivo consigliere.”

-Albert Einstein-

L’ipotesi è che le diverse pressioni subite nel corso della storia per mancanza di alimenti ci hanno portato a desiderare il cibo. A provocare la fame, quindi, non è tanto la mancanza di energia, quanto la presenza di un cibo appetitoso o la prospettiva di poterlo mangiare.

L’appetito che avvertiamo dipende dall’interazione di diversi fattori:

  • Sapore.
  • Ciò che sappiamo sugli effetti di quel cibo specifico.
  • Il tempo trascorso dall’ultima volta che lo abbiamo mangiato.
  • Il tipo e la quantità di cibo già presente nell’intestino.
  • La presenza o meno di un’altra persona.
  • I livelli di glucosio nel sangue.

Teorie sulla fame: non tutto è come sembra

Con questo ripasso delle principali teorie sulla fame abbiamo potuto osservare che è difficile dare una risposta alla domanda “perché mangiamo?”. Un gesto così abituale e quotidiano non è facile da spiegare dal momento che non mangiamo solo quando abbiamo fame, ma anche per il piacere che ci fa provare il cibo.

D’altro canto, lo psicologo Jaime Silva (2007) sottolinea che anche le emozioni e gli stati d’animo influenzano il consumo di alimenti. Secondo Silva “da una parte, siamo condizionati dall’umore e dalle emozioni. Ma anche il cibo può modificare le emozioni e lo stato d’animo”. Ancora una volta vediamo che le teorie precedenti non coprono tutte le spiegazioni sul consumo del cibo.

“La vita è una combinazione di pasta e magia.”

-Federico Fellini-

Silva afferma che “l’influenza delle emozioni sul cibo comprende la disinibizione o la restrizione del cibo, invece il cibo ha l’effetto di modulare gli stati d’animo”.

Quante volte mangiamo per calmare la nostra ansia? Quante volte abbiamo perso l’appetito per lo stesso motivo? Senza dubbio c’è ancora molta strada da percorrere per arricchire la letteratura scientifica relativa alle teorie sulla fame.


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  • Manuale di psicologia generale a cura di Luciano Mecacci. Giunti Editore, 2001
  • Steven J. Barnes, John P. J. Pinel. Psicobiologia, a cura di: A. Facoetti, M. Ferrara, P. Marangolo. Edra Editore, 2018
  • Mayer, J. (1996). Glucostatic mechanism of regulation of food intake. Obesity Research. https://doi.org/10.1002/j.1550-8528.1996.tb00260.x

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