Terapia transdiagnostica di Norton
Nell’ultimo decennio la psicologia clinica è stata teatro di diversi progressi scientifici nel campo dell’intervento terapeutico. Uno di questi riguarda il trattamento dei disturbi psicologici attraverso la terapia transdiagnostica.
Di solito i terapisti apprendono e applicano un approccio specifico per ogni psicopatologia. Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato che applicare un approccio comune a diversi disturbi della stessa categoria potrebbe essere più efficace e anche più utile (terapia transdiagnostica).
Una terapia transdiagnostica si concentra sul nucleo comune che si cela dietro disturbi di vario tipo. Ad esempio, i disturbi d’ansia, il panico, le fobie o l’ansia generalizzata condividono una serie di caratteristiche proprie della loro entità. Tali caratteristiche possono essere i pensieri minacciosi, l’iperattività fisiologica o le condotte elusive o i comportamenti di sicurezza.
Ha senso allora applicare una terapia cognitivo-comportamentale concreta per un disturbo specifico? Secondo il gruppo di Norton dell’Università di Houston (Norton, Hayes e Hope, 2004; Norton e Hope, 2005) non sarebbe necessario.
Dopo il loro primo saggio clinico sulla terapia cognitivo-comportamentale transdiagnostica su un gruppo eterogeneo di pazienti con diversi disturbi di ansia e depressione, il gruppo di ricerca mise in evidenza non solo un miglioramento dell’ansia, ma anche della diagnosi secondaria comorbida, che non aveva a che fare con l’ansia, come ad esempio la depressione.
La combinazione è risultata più efficace della TCC combinata ad altri trattamenti del disturbo d’ansia, come l’allenamento al rilassamento secondo Peter Norton, professore associato di psicologia clinica e direttore della Clinica sui disturbi d’ansia dell’Università di Houston (UH).
In cosa consiste la terapia transdiagnostica per l’ansia?
Nella terapia transdiagnostica il terapista deve essere in grado di trovare il nucleo comune ai diversi disturbi d’ansia.
Poco importa che soffriate di attacchi di panico, di aracnofobia o di disturbi ossessivo-compulsivi. In questa terapia ci si dimentica delle etichette così specifiche per dire che il paziente soffre di ansia, a prescindere dalla concreta manifestazione di quest’ultima.
Questa patologia dal nucleo in comune da cui parte Norton viene definita, in sostanza, dalla struttura del modello tripartito di affetto, ansia e depressione. (Clark e Watson, 1991)
Secondo Clark e Watson, il modello tripartito sulla depressione e l’ansia suggerisce che queste ultime possiedono componenti in comune tra loro (affetto negativo generalizzato) e specifici (anedonia e iperattivazione fisiologica).
Norton prese spunto da questi punti di riferimento per affermare che l’affetto negativo potrebbe essere considerato un componente psicopatologico nucleare dell’ansia e della depressione. Secondo questo modello teorico, i processi e i componenti del trattamento non si sono basati sulle diverse manifestazione dell’ansia che avrebbero potuto richiedere diversi trattamenti.
Gli ingredienti nucleari utilizzati nel protocollo cognitivo comportamentale transdiagnostico sono stati:
Psicoeducazione
Si spiegherà ai pazienti quali sono le manifestazioni d’ansia generale, come sorgono e come si mantengono. Seguendo il modello tripartito, verranno loro date informazioni sull’effetto negativo, comune ad ansia e depressione.
I pazienti devono capire che saper gestire questa emotività, allontanandosi dalle distinzioni artificiali, può generare – e lo fa- un miglioramento delle comorbilità in ogni paziente.
La comorbilità può essere definita come l’insieme di quelle patologie che spesso vengono associate a un problema principale. L’ansia e la depressione sono un esempio. Nella maggior parte dei casi, infatti, vanno così di pari passo da risultare indistinguibili. Un modo per riconciliarle è spiegarle sulla base dell’affetto negativo.
Ristrutturazione cognitiva
Partiamo dal presupposto che nella maggior parte dei pazienti ansiosi convivono una serie di pensieri automatici negativi di carattere minaccioso. Sappiamo già che l’ansia è la risposta all’intuizione di un potenziale pericolo.
Evidentemente, nei disturbi d’ansia la sua funzionalità cambia: i pensieri assumono dimensioni esagerate e mancano di senso della realtà. Con un buon allenamento di ristrutturazione cognitiva, i pazienti sono in grado di identificare i propri pensieri sui pericoli futuri e modificarli mediante il dialogo socratico, trasformandoli in pensieri più in linea con la realtà.
In momenti di panico è comune individuare pensieri come “Mi verrà un attacco di panico”, “Sto diventando pazzo”. Ma simili idee possono manifestarsi anche in disturbi di ansia generalizzata: “E se mia figlia venisse stuprata mentre è fuori?”
L’obiettivo è aiutare il paziente a concentrarsi sulla realtà, con i dati di cui dispone, e a non anticipare situazioni future, non ancora successe e che qualora si verificassero non lo farebbero nel modo in cui lui pensa.
Esposizione con prevenzione della risposta
Viene utilizzata come strumento di esposizione per gli stimoli temuti. Il format può essere dal vivo, immaginazione o intercettiva, ovvero come mezzo per esporsi a sensazioni interne che si verificano spesso nel disturbo da panico.
Con l’esposizione, non solo raggiungiamo l’abitudine fisiologica all’ansia, ma anche gli stimoli che provocano ansia. Anche il paziente, usando la prevenzione di risposta, smette di mettere in atto condotte evasive. Queste possono essere: le compulsioni nel disturbo ossessivo-compulsivo, le verifiche continue nell’ambito del disturbo d’ansia generalizzata o prendere un ansiolitico nel disturbo da panico.
Conclusioni sulla terapia transdiagnostica
La terapia transdiagnostica sta offrendo buoni risultati. Secondo Norton, i pazienti miglioravano più che con un trattamento standard. Inoltre, il trattamento aveva un grande impatto sulla diagnosi secondaria. Di conseguenza, due terzi delle comorbilità venivano meno, rispetto a quanto succede, invece, lavorando con una terapia specifica. Con quest’ultima, solo il 40% trova sollievo nei casi di comorbilità.
Si è dedotto che non è solo un approccio efficace, ma anche efficiente per i pazienti nel complesso, così come anche per il terapista, che può raggruppare un insieme di persone con le stesse problematiche, ottenendo un enorme risparmio di tempo.
La prospettiva psicopatologica transdiagnostica rende possibile la comprensione dei disturbi mentali da una prospettiva più dimensionale, a partire dalla convergenza di diversi processi psicologici comuni a un insieme di disturbi. Il trattamento, a sua volta è più olistico e integrale.
E le altre emozioni?
Possiamo anche concludere, come proposta per future revisioni, dicendo che finora è stato sottovalutato il ruolo di altre emozioni come il dispiacere. Studi recenti hanno messo in evidenza che, come capita con l’affetto negativo, l’anedonia o la paura giocano un ruolo importante in alcuni disturbi associati all’ansia, soprattutto le fobie e il DOC.
Sebbene ancora non sia stato definito in che misura il dispiacere faccia parte del fattore generale di affettività negativa (o fattore generale di distress) tutto sembra indicare che potrebbe essere associato a una dimensione transdiagnostica generica di sensibilità al dispiacere, che potrebbe essere inserita eziologicamente in un gruppo di disturbi mentali.
Ovviamente, la TCC dovrà prevedere la modifica di tale costrutto secondo i nuovi protocolli transdiagnostici. Tuttavia, a oggi i risultati fanno ben sperare, dato che riguardano non solo pazienti adulti, ma anche bambini e adolescenti (su cui è ancora più difficile eseguire una diagnosi specifica).
Tutte le fonti citate sono state esaminate a fondo dal nostro team per garantirne la qualità, l'affidabilità, l'attualità e la validità. La bibliografia di questo articolo è stata considerata affidabile e di precisione accademica o scientifica.
- Norton, P. J. (2012). Group cognitive-behavioral therapy of anxiety: A transdiagnostic treatment manual. New York: Guilford.
- Sandín, B.; Chorot, P.; Valiente, R. (2012). Transdiagnostico: Nueva frontera en psicología clínica. Revista de Psicopatología y Psicología Clínica. Vol. 17, N.º 3, pp. 185-203.