Altered carbon: alterazione corpo e mente

Immaginate di trovarvi nel XXV secolo: in Altered Carbon l'umanità ha popolato l'intera galassia sotto la supervisione dell'ONU. Le divisioni di classe, razza e religione sussistono ancora, ma il progresso tecnologico ha dato una nuova definizione della vita.
Altered carbon: alterazione corpo e mente
Roberto Muelas Lobato

Scritto e verificato lo psicologo Roberto Muelas Lobato.

Ultimo aggiornamento: 05 gennaio, 2023

Immaginate di trovarvi nel XXV secolo: in Altered Carbon l’umanità ha popolato l’intera galassia sotto la supervisione dell’ONU. Le divisioni di classe, razza e religione sussistono ancora, ma il progresso tecnologico ha dato una nuova definizione della vita. Adesso la coscienza viene immagazzinata in dischi digitali impiantati alla base del cervello, facilmente trasferibili in un nuovo corpo, come se si trattasse di una custodia.

Questa definizione appartiene al mondo creato da Richard K. Morgan nel romanzo di fantascienza Altered carbon, che è diventato una serie per la piattaforma Netflix. In questo mondo immaginario sono tanti i dilemmi sul futuro dell’umanità.

Tra questi, ad esempio, la relazione tra la mente o l’anima e il corpo. In una società in cui la mente può essere “scaricata” su un disco digitale, come sarebbe la morte? Fa lo stesso abitare un corpo piuttosto che un altro? Quali conseguenze avrebbe l’immortalità? Questi sono solo alcuni dei quesiti che possono nascere mentre ci gustiamo il libro o la serie Altered carbon.

Realtà distopica

Le pile corticali di Altered carbon 

In questa distopia, l’identità umana (o coscienza) può essere trasferita in una pila corticale. Questa pila (o mezzo digitale) viene inserita nella colonna vertebrale, tra le vertebre cervicali. In essa vengono custodite la memoria e l’identità delle persone, che si aggiornano in automatico nel cervello.

Dall’altro lato, vi sono le custodie, ovvero i corpi. Essi possono essere naturali o sintetici, dunque creati artificialmente. Quando il corpo muore, la pila corticale può essere custodita senza limiti di tempo oppure inserita in un’altra custodia. Quando vengono immagazzinate, le identità vengono caricate in un contesto virtuale.

In questo scenario, la morte non viene percepita come la percepiamo noi: il fatto che il corpo muoia non significa che lo faccia anche l’identità, per cui uccidere un corpo non equivarrebbe a morire, visto che al defunto può essere restituita la vita in un’altra custodia. La “morte reale” avviene solo a seguito della distruzione della pila corticale. Riuscite a immaginare quali implicazioni avrebbe tutto ciò per chi crede che l’anima vada in Paradiso? E per coloro che credono alla migrazione dell’anima?

Il rapporto tra la mente e il corpo

Il filosofo Renato Cartesio ipotizzò un dualismo tra l’anima (la res cogitans) e il corpo (la res extensa). La sua ipotesi è fortemente presente in Altered carbon. Eppure questa distinzione non esiste nella realtà.

Il neurologo Antonio Damasio spiega nel suo libro L’Errore di Cartesio che la mente e il corpo sono un tutt’uno. Non si può imparare senza un corpo, né saremmo in grado di isolare una mente: questa, infatti, non può imparare niente da sola, perché ha bisogno del corpo. Come dice Damasio “il corpo offre un contenuto che fa parte ed è l’involucro delle normali attività mentali”.

Chiunque vivesse in questo mondo fittizio avrebbe pertanto bisogno di un corpo per essere cosciente. Eppure, essere in un corpo piuttosto che in un altro non è la stessa cosa. Cambiare corpo comporterebbe delle sensazioni molto strane.

In aggiunta a ciò, se le custodie differissero molto tra loro, il concetto di sé e l’identità personale cambierebbero drasticamente. Anche l’apprendimento subirebbe dei cambiamenti: le sensazioni percepibili attraverso i sensi non sarebbero più le stesse e, quindi, nemmeno le nostre interpretazioni di tali segnali. Infine, cambiare custodia significherebbe sottoporsi a un rischio maggiore di trauma.

Corpo custodia della mente in Altered carbon

Cosa comporta l’immortalità

Nella serie coloro che hanno vissuto molto a lungo -centinaia di anni- vengono chiamati i Mat. Si tratta di un’abbreviazione di Matusalemme, personaggio biblico che si dice sia vissuto nientemeno che 969 anni. Ma per quanto vivere così a lungo possa sembrare affascinante, un Mat del libro ci racconta che “c’era bisogno di un certo tipo di persone per proseguire, per voler proseguire, vita dopo vita, custodia dopo custodia. Esse dovevano essere diverse sin dal principio; non aveva importanza in cosa ti saresti trasformato nel corso dei secoli”.

Come ci dice il personaggio, dunque, essere Mat non è per tutti. Vivere a lungo implica vedere molte cose, belle e brutte. Vedere morire molti dei propri cari, persino i figli e i nipoti o addirittura i pronipoti. Riuscireste a sopportarlo? Oltretutto, le relazioni con coloro che hanno vissuto meno a lungo non saranno le stesse. “Se tu vivi a lungo, inizierai a trasmettere agli altri delle cose.

Ti sentirai troppo immerso in te stesso. E alla fine una persona inizia a sentirsi Dio. All’improvviso le persone più giovani, di trenta o di quarant’anni, non valgono più nulla. Hai visto nascere e morire molte civiltà, e inizi a sentire che queste non hanno niente a che vedere con te, e che niente ti importa davvero. E forse inizierai a calpestare quelle persone più giovani, come fossero fiori sotto i tuoi piedi”.


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