Amo mio figlio, ma non la maternità

Amo mio figlio, ma non la maternità

Ultimo aggiornamento: 14 febbraio, 2017

Parlare della maternità continua ad essere un tabù difficile da superare, soprattutto quando le opinioni a proposito sono contraddittorie. Nonostante ciò, la sociologa israeliana Orna Donath ha deciso di condurre alcune ricerche a proposito e ha esposto i risultati ottenuti nel suo Regretting motherhood: sociopolitical analysis, un saggio accademico che ha fatto scandalo quando è stato diffuso in paesi come la Germania o la Francia, lì dove la maternità è venerata e sostenuta dalle istituzioni con una grande quantità di aiuti sociali ed economici.

Purtroppo è normale che uno studio che parla del pentimento dell’essere madri riceva subito delle critiche, senza prendere in considerazione il fatto che possa essere un’analisi molto significativa. Anche se ha un titolo alquanto controverso, le esperienze che racconta non lo sono poi molto, non a caso molte delle storie sono state ampiamente accettate e comprese. Storie di madri che spiegano la propria esperienza e nelle quali si vedono riflesse molte altre donne.

Lo studio analizza il modo in cui una madre vive l’intera esperienza della maternità, o una parte di essa, in modo negativo, il che rappresenta un impatto inaspettato e poco desiderato del suo nuovo ruolo nella vita. Amano e si prendono cura dei loro figli ma, per diverse cause, la maternità, l’esperienza che circonda l’atto di crescere un figlio, si è rivelata poco soddisfacente e, in alcuni casi, per molte di loro, anche frustrante.

Il tema della maternità: le opinioni non sono unanimi

Prima di giudicare una donna per la sua esperienza come madre, bisognerebbe avere un minimo di interesse nel domandare cosa ha da dire. Un’autentica volontà di ascoltare. Sono le protagoniste delle loro storie, ma nelle quali non vogliono essere eroine o super-mamme, semplicemente donne che hanno un’opinione propria su un’esperienza che hanno vissuto in prima persona.

Casi come quello della celebre attrice francese Anémone, la quale ha dichiarato in televisione, dopo la pubblicazione dello studio, che si è sentita identificata in quelle donne: che ama i suoi figli, ma che pensa che sarebbe stata più felice se avesse scelto di non essere madre.

Sincera ed onesta, l’attrice ha raccontato che l’ha sempre affascinata l’idea dell’indipendenza, ma che, in un certo modo, ha ceduto alla pressione sociale del dover essere madre ed è per questo che ha deciso di avere figli, “senza sapere bene il perché”.

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Altre madri rimaste anonime hanno raccontato che, a volte, si sono ritrovate a sentirsi profondamente sole, a pensare che la loro decisione non fosse stata quella giusta dopo aver visto la realtà della maternità. Nonostante ciò, le madri che hanno partecipato allo studio hanno sottolineato più spesso la differenza che c’è tra i figli e l’esperienza della maternità. La maggior parte di loro, infatti, ha enfatizzato l’amore per i propri figli e l’odio per l’esperienza di crescerli.

Le donne parlano di solitudine, di uno stress intenso dovuto all’incompatibilità tra il loro ruolo come donna-madre e come donna-lavoratrice, ma hanno anche rivelato dettagli più intimi, come la sensazione di aver perso parte delle propria libertà, la differenza nel godersi la loro vita sessuale prima e dopo il parto e il sentirsi come delle straniere nella propria vita.

Le madri specificano anche che, se non avessero avuto figli, avrebbero sentito un vuoto e un sentimento di vergogna sociale, ma solo perché non sapevano ciò che sanno ora, dopo essere diventate madri.

Nelle loro storie è possibile percepire una sensazione di rancore e sfiducia verso certe fasce sociali, poiché da una parte la maternità viene imposta quasi come un obbligo, ma poi le mamme non vengono aiutate nel loro lavoro e passano ad essere una specie di schiave di ciò che è considerata “l’esperienza più bella nella vita di una donna”.

Le possibili cause di questa delusione

Di sicuro esperienze di questo tipo esistono sin dalla notte dei tempi, ma è solo adesso che si inizia a darvi importanza. L’esigenza di una discendenza, la pressione imposta dall’orologio biologico, gli obblighi sociali e morali sempre più ingenti riguardo alla sessualità femminile e le alte aspettative che si creano sono motivo di frustrazione per un gran numero di donne che, per decisione propria o perché si sono arrese di fronte alla pressione, alla fine sono diventate madri.

Nonostante ciò, al giorno d’oggi, ci ritroviamo di fronte ad una nuova realtà: l’entrata della donna nella vita lavorativa che la maggior parte celebra e difende, la posticipazione della decisione di procreare e anche la snaturalizzazione del processo sui media digitali.

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“Fit Moms”: l’ultima moda su Instagram consiste nelle mostrare la gravidanza con un “corpo perfetto”

Se prima la maternità veniva divinizzata quasi come un atto mistico, adesso quell’idea torna insieme ad altri concetti come la super-mamma impegnata fino allo stremo, ma comunque in grado di riprendere la propria forma fisica in un batter d’occhio e di condurre la stessa vita che aveva quando ancora non era madre.

Vediamo continuamente le donne del mondo dello spettacolo mostrare su Instagram, sulle riviste o sulle reti sociali un processo idilliaco di gravidanza, parto, allattamento e ripresa post-parto. Il problema non sta nel fatto che le donne non devono mostrare la loro felicità durante il processo, ma nel fatto che si mostra solo un processo privo di difficoltà e di esigenze.

All’improvviso, un gran numero di donne si ritrova ad essere attratto da quell’immagine di potere gestante, ma senza rendersi conto che le loro possibilità economiche e la loro rete di aiuti non assomigliano neanche lontanamente a quelle dell’immagine che venerano.

Smettere di venerare per aiutare davvero

Al giorno d’oggi, esistono molti movimenti sociali che difendono la vera conciliazione familiare e la scelta di una maternità libera, ma anche molto più protetta e accettata socialmente. Ogni donna ha una propria storia e le sue personali caratteristiche psicologiche che sfociano in un’esperienza della maternità soggettiva ed unica.

Alcune possono pentirsene, pur amando i propri figli; altre non se ne pentono e si sentono le donne più fortunate del mondo; altre ancora, come nella maggior parte dei casi, custodiscono sentimenti contraddittori; infine, c’è chi può odiare aspetti specifici della gravidanza o il carattere dei propri figli.

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Comunque sia, tutte dovrebbero sentirsi sostenute e appoggiate da una società che comprende davvero un modello sociale e lavorativo propizio a vivere una maternità soddisfacente.

È difficile che una donna esausta sia in grado di sopportare il peso della maternità a lungo termine; senza una condivisione delle faccende domestiche ed un sostegno istituzionale (come gli asili, orari di lavoro compatibili con i figli) e salari degni. Non solo perché stiamo crescendo una nuova generazione, ma anche perché l’attuale generazione delle madri ha bisogno di un supporto per potersi dirigere verso un modello di maternità non così idealizzato, bensì molto più rispettato e sostenuto.


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