Audrey Hepburn: ritratto psicologico

Audrey Hepburn: ritratto psicologico

Ultimo aggiornamento: 02 marzo, 2015

Nonostante siano passati venti anni dalla sua scomparsa, Audrey Hepburn continua a essere quell’icona affascinante che un giorno Andy Warhol ha immortalato nelle sue tele Pop Art; il suo volto e la sua figura rappresentano un modello di eterna eleganza e distinzione che ancora oggi le nuove generazioni desiderano imitare malgrado i rischi, visto che una delle immagini che da sempre ci sono state tramandate è quel fotogramma di Audrey Hepburn che si avvicina alla vetrina di Tiffany, immagine che associa la bellezza alla magrezza.

Non c’è cosa più lontana dalla realtà. I disturbi alimentari sofferti da questa grande attrice sono stati tenuti nascosti a lungo e per molti rimane solo quel viso emblema di una bellezza fragile che le mode cercano di imitare, mentre sono pochi quelli che riescono a scorgere quella donna che ha superato sé stessa per dare agli altri.

1. L’oscurità dell’infanzia

I traumi sofferti durante l’infanzia sono l’eco che ci accompagna nell’età adulta; la sofferenza non fugge mai per dei canali invisibili, bensì rimane dentro di noi come una sfida da vincere.

L’infanzia di Audrey Hepburn è stata segnata dalla seconda guerra mondiale. Nonostante fosse imparentata con la nobiltà olandese, la sua posizione privilegiata è cambiata drasticamente il giorno in cui mezzo milione di soldati hanno invaso l’Olanda e le risorse e le derrate alimentari sono iniziate a scarseggiare. La fame e la denutrizione non solo hanno segnato gli anni della sua infanzia e adolescenza, ma i suoi occhi hanno anche dovuto assistere all’omicidio della sua famiglia, a suo fratello che veniva deportato in un campo di concentramento nazista e alla malattia che le ha impedito di fare l’unica cosa con cui poteva guadagnarsi da vivere e che potesse aiutarla a resistere, ossia ballare.

Quando la guerra si è conclusa, Audrey Hepburn soffriva di denutrizione, anemia, asma, problemi ai polmoni e di una depressione che ha impiegato anni a superare. Secondo lei, uno dei migliori ricordi di quel periodo e che l’hanno segnata a vita è stato l’aiuto umanitario delle Nazioni Unite che hanno portato coperte, cibo, medicine e vestiti. La bontà sembrava ancora esistere nel mondo e questo è stato motivo di speranza.

“Ho sentito una definizione, una volta: la felicità è costituita da una salute di ferro e da una memoria corta. Vorrei averla inventata io perché è molto vera”. (A. Hepburn)

2. Anni d’oro, anni di tristezza

Sono dunque arrivati i successi: film come “Vacanze romane” o “Colazione da Tiffany” le hanno conferito il potere di essere in una posizione di influenza e fama in cui bisogna fare molta attenzione a mantenere l’equilibrio.

Audrey Hepburn era una donna intelligente e molto sensibile che è sempre riuscita a immedesimarsi nei ruoli che ha scelto, che sapeva trasmettere magnificamente quell’emotività capace di catturare lo spettatore e che, come da lei stessa affermato, ha sempre avuto bisogno di affetto e comprensione, aspetti che non è riuscita a trovare nel suo matrimonio con Mel Ferrer. La tristezza era una compagnia abituale, un’ombra che si è convertita in disperazione il giorno in cui ha perso il bambino che portava in grembo in seguito a una caduta da cavallo durante le riprese di un film.

La depressione ha cambiato la sua vita con la stessa intensità del passato, così come la colpevolezza. A questo si è aggiunta l’esigenza, a volte irrazionale, da lei impostasi perché consapevole che parte del suo successo era dovuta a quel fisico sottile e delicato. Per questo in un’intervista ha dichiarato “Se in passato sono riuscita a sopravvivere senza quasi mangiare, potrei farlo anche ora. Sono obbligata a controllare la mia ingestione di cibo”. L’anoressia nervosa è stata la crudele compagna di vita di Audrey Hepburn.

“Invecchiando, scoprirete di avere due mani; una per aiutare voi stessi e l’altra per aiutare gli altri”. (A. Hepburn)

unicef

3. La semplicità della felicità

Gli anni della tragedia e delle perdite durante la guerra non sono mai stati cancellati dalla mente di Audrey Hepburn. Neanche il suo bisogno di amore è stato mai soddisfatto del tutto: due matrimoni falliti e varie delusioni sono stati spesso quel ritornello che la perseguitava nelle sue notti insonni, quelle notti in cui la sua ansia di dare affetto alle persone che ne avevano bisogno cresceva.

Per questo motivo nel 1988 il mondo del cinema era stato quasi relegato al secondo posto nella sua vita per poter dedicare sei mesi all’anno all’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. La chiave della vera felicità per Audrey Hepburn non è mai arrivata grazie al suo successo come attrice o all’ammirazione del pubblico, bensì grazie alla sua smania di ricevere e al suo bisogno di dare affetto agli altri. A volte la porta della soddisfazione non si trova sulla punta più alta, ma in noi stessi.

Fonte: “Audrey Hepburn, an intimate portrait”. (Diana Maychick, 1994).


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