Cervello empatico: il potere della connessione umana
Il cervello empatico configura nell’essere umano una consapevolezza e un risveglio nei confronti delle emozioni e delle necessità altrui. È il risultato evolutivo della socializzazione, un vincolo orientato a farci connetterci gli uni con gli altri per convivere in maggiore armonia, risolvere i conflitti e garantire la sopravvivenza. L’empatia è (o dovrebbe essere) la capacità con la quale garantire il proprio benessere.
Diciamo “dovrebbe” per un motivo ben preciso: l’empatia non sempre garantisce un’azione umanitaria. Le persone sono capaci di intuire e leggere le emozioni di chi hanno davanti e questo è senz’altro meraviglioso. Percepiamo la sofferenza, notiamo la paura, leggiamo l’angoscia sui volti altrui… Tuttavia, dopo esserci messi nei panni degli altri, non sempre mettiamo in atto una condotta prosociale, non sempre promuoviamo l’aiutare .
“Se non provi empatia e le tue relazioni personali non sono efficaci, non importa quanto sei intelligente: non arriverai lontano.”
-Daniel Goleman-
Come ci spiegano neurologi noti come Christian Keysers, dell’Istituto di neurologia dei Paesi Bassi, sappiamo ancora molto poco sul cosiddetto cervello empatico. La scoperta dei neuroni specchio alla fine degli anni ’90 da parte di Giacomo Rizzolatti ci ha fatto credere per un attimo che l’essere umano fosse giunto a quesll’anello evolutivo che molti hanno voluto battezzare come homo empaticus.
Tuttavia, il nostro comportamento continua a essere piuttosto individualista. L’empatia ci induce a connetterci fra noi, a sentire come nostre le emozioni altrui. Ci offre un potere straordinario, lo sappiamo… nonostante ciò, non lo sfruttiamo in tutta la sua efficacia. Proprio come ci ricordano alcuni studiosi, manca un reale impegno in materia di empatia, perché non è sufficiente sentirla, occorre anche strumentalizzarla. Vediamolo a seguire .
Il cervello empatico e la sua finalità
Lo disse Ortega y Gasset: senza l’altro, senza un’altra persona all’infuori di sé, l’essere umano non potrebbe comprendersi, come neanche comprenderebbe il concetto di società. L’uomo, diceva, appare nella socievolezza come l’Altro, alternando l’Uno e, a sua volta, il reciprocante. Questo che sembra un gioco di parole configura una realtà che va oltre il filosofico, per raggiungere la dimensione psicologica e neurologica.
I neuroni specchio, come ci rivela il dottor Keysers, hanno permesso la nostra idea di civilizzazione. E l’hanno fatto facendoci prendere coscienza dell’altro, di colui che osserviamo, di colui che imitiamo e, a sua volta, di colui in cui ci rispecchiamo. Il cervello empatico ci permette non solo di comprendere il punto di vista di chi abbiamo davanti, ma anche ad anticipare intenzioni o bisogni perché, in qualche modo, ci vediamo riflessi negli altri, perché, per il nostro cervello, “gli altri” sono anche estensioni di noi stessi.
Se ci chiediamo adesso qual è la vera finalità dell’empatia, occorre dire che non esiste un’unica risposta. Sappiamo che nessuna capacità ci connette gli uni agli altri in modo tanto favoloso. Tuttavia, neurologi della condotta come Vilayanur Ramachandran affermano che la finalità di un cervello empatico non sempre è generare il bene altrui, non sempre cerchiamo di aiutare o propiziare un’azione umanitaria.
Perché empatia non è sinonimo di simpatia e spesso, come è proprio di qualsiasi scenario sociale, abbiamo altri interessi.
Poterci introdurre nelle prospettive altrui, vedere il mondo con gli occhi di altre persone è un’arma molto potente. Ci permette di costruire modelli mentali molto complessi con i quali sapere, per esempio, se l’individuo che abbiamo davanti ha cattive intenzioni. Possiamo persino anticipare delle reazioni o utilizzare delle debolezze a nostro favore per manipolare le persone, per dare sfogo alle loro emozioni a nostro vantaggio.
Usiamo l’empatia a nostro favore per avanzare come specie
Il dottor Ramachandran ci ricorda che i neuroni specchio hanno presupposto un salto genetico fantastico nella nostra specie. Dunque, e sebbene molti altri animali abbiano capacità empatiche, questi nostri neuroni specifici hanno determinato un progresso sensazionale e hanno favorito la comparsa della cultura, della società e della civilizzazione.
La nostra coscienza si è ampliata, il nostro pensiero si è fatto più astratto e il modo in cui ci relazioniamo è diventato più sofisticato. A tratti crudele e violento, lo sappiamo, ma anche più umano, orientato a favorire un benessere maggiore, un ordine, un equilibrio. Il cervello empatico è dunque l’essenza dei nostri rapporti sociali e anche del nostro apprendimento, quello che a poco a poco ci permetterà di procedere verso la giusta direzione.
L’empatia, come già detto, non sempre è seguita da un atto prosociale. Ciascuna persona mostra diversi livelli di empatia, i neuroni specchio non funzionano allo stesso modo in tutti gli esseri umani e questo condiziona l’interazione sociale, la capacità di risolvere i problemi, la convivenza… Alcuni scienziati affermano che i neuroni specchio abbiano una componente evolutiva e che, pertanto, il loro potere può andare aumentando di generazione in generazione.
Chi sa se arriveremo al giorno in cui questo potere di connessione ci aiuterà persino a creare una realtà fatta di maggiore armonia, equilibrio e rispetto fra tutti noi.