Competere o collaborare: cosa insegnare ai bambini?
Viviamo in una società altamente competitiva. In questa giungla di asfalto, solo coloro i quali vedono la vita come una sfida costante sono motivati a raggiungere il successo. In uno scenario sociale sempre più privo di opportunità, c’è un obbligo quasi implicito a competere. Tuttavia, cosa conviene? Competere o collaborare?
Le richieste sociali determinano lo stile educativo adottato da molte famiglie. Sono numerosi i genitori che scelgono di formare i propri figli in attività in cui la competizione è una costante. Nessuno può negare, per esempio, gli indubbi benefici dello sport sin da piccolissimi.
Tuttavia, è comune assistere a genitori che pressano i propri figli per vincere, per avere successo nelle attività sportive a cui sono iscritti. L’orientamento al successo, quasi esacerbato dai genitori, diventa fonte di ansia per la mente del bambino.
Valori come la cooperazione, il lavoro di squadra o il semplice godere dell’attività fisica vengono accantonati. Non sono considerati rilevanti. Conta solo il successo e questo significa che il bambino è apprezzato per ciò che ottiene e non per la sua persona. Una realtà sempre più ovvia di cui bisogna parlare.
I bambini sono più inclini alla cooperazione piuttosto che alla competizione, ma di solito li spingiamo a ricorrer alla seconda.
Competere o collaborare: quale valore trasmettere nell’infanzia?
La cooperazione è stata un pilastro essenziale per il sostentamento della nostra civiltà. Senza di essa, culture, società e persino la nostra stessa evoluzione in quanto esseri umani non sarebbero state possibili.
Aiutare e condividere garantiscono il benessere, non a caso i bambini vengono al mondo intrinsecamente cooperativi. Una ricerca della Yale University rivela che già a un anno di vita il bambino mostra condotte di collaborazione, sostegno e connessione sociale.
Gli atti di reciprocità sono costanti negli asili nido e nei centri di educazione della prima infanzia. Tuttavia, a poco a poco, gli adulti e le dinamiche li modellano. Data la scelta tra competere o cooperare, in media sceglieranno la seconda, ma la pressione educativa spesso li guiderà verso la prima.
A partire dai 14 mesi di età, il bambino ha già sviluppato la capacità cognitiva di aiutare e collaborare. Promuovere presto questa dimensione consentirebbe di plasmare una società più rispettosa.
I genitori vogliono figli vincenti
C’è un libro molto interessante intitolato Playing to Win: Raising Children in a Competitive Culture (2013). In questo lavoro, la sociologa Hilary Friedman fornisce dati rilevanti sugli attuali stili genitoriali.
Gli adulti investono sempre più soldi affinché i loro figli si dedichino ad attività competitive. Non vogliono che amino il calcio, la danza, la pallacanestro, il pattinaggio artistico o gli scacchi.
Desiderano che i loro figli vincano trofei, che siano i migliori. Educare alla competizione è una strada a doppio senso. Da un lato, l’adulto vuole sentirsi orgoglioso dei suoi figli.
Dall’altro, capisce che un bambino competitivo aumenta le probabilità di raggiungere il successo in età adulta. Dopotutto, sviluppare una mentalità competitiva significa educare allo sforzo e alla e motivazione costante, dunque superare le sfide.
Tuttavia, questa regola del tre non sempre funziona. I bambini sotto pressione per essere i migliori spesso finiscono per essere altamente infelici.
Molti genitori “corrompono” i propri figli. Li incoraggiano a essere i migliori della classe oppure a vincere trofei o medaglie in cambio di ricompense, come giocattoli, tecnologia o viaggi.
I bambini non vogliono essere i migliori, vogliono solo divertirsi
Friedman sottolinea nel suo libro che se si chiede al bambino se preferisce competere o collaborare, risponderà “collaborare”. Nello sport il bambino cerca un modo per divertirsi, fare amicizia e socializzare con i suoi coetanei.
La pressione per competere e vincere causa stress e alti livelli di ansia. I bambini che subiscono pressioni da parte dei genitori per essere i migliori non sempre mostrano un buon rendimento scolastico. Al contrario, sono più inclini a sviluppare la depressione.
Educare i figli al costante obbligo di raggiungere risultati e meriti non li condurrà direttamente all’eccellenza. Simili dinamiche possono distorcere l’identità del bambino. Il suo concetto di sé dipenderà esclusivamente da ciò che ottiene, non dall’impegno o dai suoi desideri.
La nostra società ci impone l’obbligo di essere competitivi. Ciò si traduce in ricompense ed elogi per i vincitori e in critiche, disprezzo e vergogna per i perdenti.
Competere o collaborare: cosa è meglio?
Competere o collaborare? Cosa dovremmo insegnare ai nostri figli? La verità è che entrambe le sfere sono ugualmente decisive.
Educare a una sana competizione in cui il bambino impara a migliorare e a sforzarsi per raggiungere un obiettivo è lecito e molto positivo. Il problema si presenta quando la competizione è priva di empatia e porta all’aggressività.
È bene sviluppare competenze adeguate per essere competitivi, così come è necessario imparare a essere collaborativi e solidali. Una realtà che non dovrebbe essere in contrasto con l’altra né il suo opposto.
La nostra società, tuttavia, sopravvaluta la competizione e con essa si esalta chi vince e si disprezza chi perde, chi non arriva, chi si ferma.
Se ci pensiamo bene, le persone più felici sono quelle che collaborano, che aiutano gli altri; uomini e donne che sanno vivere insieme e che non si concentrano solo sul successo o sul raggiungimento degli obiettivi.
Lasciamo che i nostri figli facciano lo sport e si dedichino alle loro attività preferite, concentrandosi su ciò che amano di più : divertirsi e fare amicizia.
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- Friedman, Hilary (2013) Playing to Win: Raising Children in a Competitive Culture. University of California Pres
- Olson KR, Spelke ES. Foundations of cooperation in young children. Cognition. 2008 Jul;108(1):222-31. doi: 10.1016/j.cognition.2007.12.003. Epub 2008 Jan 28. PMID: 18226808; PMCID: PMC2481508.