Delirio di persecuzione: fattori cognitivi coinvolti
In un contesto di schizofrenia, di disturbo delirante e di disturbo psicotico breve, il delirio può essere di diverso tipo: di colpa, di grandezza, di controllo o di persecuzione, tra gli altri. In questo articolo ci concentreremo sui fattori cognitivi coinvolti nel delirio di persecuzione.
Benché spesso vengano associati alla pazzia e al fatto di non poter essere del tutto spiegati, in realtà non è affatto così. Alcuni fattori cognitivi coinvolti nello sviluppo e nel mantenimento del delirio di persecuzione, sono ben noti.
Il delirio rientra nell’ampio spettro di sintomi presenti nella schizofrenia o nel disturbo psicotico breve. Nel caso del disturbo delirante, invece, è il sintomo principale.
I deliri non sono indice di pazzia: di fatto, non sono affatto estranei alle persone mentalmente sane. Ciò inoltre, racchiude in sé una speranza: la modifica di determinati modelli cognitivi potrebbe portare alla scomparsa del delirio. Ne parliamo nel dettaglio nelle prossime righe.
Delirio di persecuzione: di cosa si tratta?
Il delirio può essere considerato come un insieme di convinzioni errate o di cattive interpretazioni legate a percezioni o a esperienze.
Tali idee non vengono abbandonate neanche in presenza di sufficienti prove che ne dimostrino l’insostenibilità o l’incondivisibilità. Aspetto, questo, che complica l’azione d’intervento in disturbi quali la schizofrenia, quando è accompagnata da deliri.
Alcuni individui sono convinti che determinati eventi, dettagli o frasi siano esclusivamente riferiti a loro e contengano significati speciali – deliri di riferimento.
Altri sono convinti di essere malati o che il loro corpo stia cambiando, che la faccia stia assumendo una forma quadrata o che una gamba si stia allungando – deliri somatici; altri ancora, sono convinti di essere perseguitati – deliri di persecuzione.
Il delirio di persecuzione – tema di questo articolo – si riferisce alla forte convinzione di un soggetto di essere al centro di una cospirazione.
Crede di essere vessato, di avere il telefono sotto controllo o che qualcuno rovisti tra le sue cose. Inoltre, tende a ritenere alcune persone – incluso familiari e amici – parti attive della cospirazione.
Un esempio
Il soggetto inizia a manifestare questo tipo di delirio, e ben presto si convince del fatto che i familiari tramino contro di lui per sottrargli la casa o per ucciderlo.
Parlandone con un familiare e presentandogli le presunte prove in suo possesso, questi potrebbe tentare di convincerlo che non è così, mostrandogli prove che contraddicono le sue convinzioni o rifiutare di credere a ciò che dice.
A questo punto, ai suoi occhi quel familiare finisce per diventare parte della cospirazione. Tutto ciò favorisce l’isolamento sociale e il deterioramento delle relazioni familiari.
Lo schema può ripetersi anche nei confronti del terapeuta. Di fatto, negando i suoi deliri, il terapeuta stesso può entrare a far parte dei “persecutori”. Motivo per cui, il trattamento psicologico del delirio di persecuzione rappresenta una vera e propria sfida.
Fattori cognitivi coinvolti nel delirio di persecuzione
Diverse ricerche e studi hanno stabilito che le persone affette da delirio di persecuzione presentano diversi fattori cognitivi comuni.
Questi ultimi rafforzano il delirio e spiegano in parte perché ogni tentativo di metterlo in discussione cade nel vuoto, o perché il soggetto continua a trovare prove a sostegno della sua ipotesi di complotto.
Bias attentivi e di memoria
I bias attentivi sono presenti in gran numero. Per il soggetto, diventano particolarmente rilevanti tutti quegli eventi che confermano il suo delirio. Accade lo stesso nei pazienti con fobie sociali o ansia sociale.
Di fatto, tendono a evitare di guardare occhi e bocca dell’interlocutore – tratti che maggiormente caratterizzano le espressioni facciali – per non sentirsi minacciati.
Come risultato di questo bias, ricordano più facilmente le informazioni di tipo minaccioso, ovvero ricordano i volti arrabbiati molto più vividamente di quelli allegri.
Tutto ciò si traduce in una maggiore sensibilità alla punizione sociale. Vedono gli altri come una minaccia. Nella loro quotidianità, riscontrano un maggiore numero di amici o conoscenti arrabbiati e collerici.
Oltre al bias attentivo, ciò è dovuto al fatto che tendono a interpretare ogni messaggio in tal senso, pensando che l’altro sia arrabbiato, quando probabilmente non lo è.
Processo di elaborazione delle informazioni
Nelle persone con disturbo di persecuzione sono stati rilevati processi di generazione delle idee diversi da quelli della popolazione generale.
Si osservano bias che portano il soggetto a raccogliere le informazioni in modo diverso dagli altri, confermando la loro idea di base: l’essere perseguitati. Alcuni di questi fattori sono:
- Ragionamento probabilistico: si tratta di persone che saltano molto rapidamente alle conclusioni, senza riflettere e avvalendosi della “probabilità”.
Ciò significa che necessitano di meno informazioni della media per prendere una decisione, e sono certi di avere ragione. Il problema nasce quando il ragionamento probabilistico si applica al materiale emotivo.
- Bias di covariazione: analogamente, creano associazioni rapide tra gli eventi. Formulano associazioni errate tra situazioni o eventi che non sono necessariamente correlati.
- Bias autoreferenziali: si percepiscono come il protagonista di un film o di un dramma. Tutto è incentrato su di loro – gli atteggiamenti delle persone, i commenti, le conversazioni.
In secondo luogo, l’atteggiamento difensivo o aggressivo della persona che soffre di delirio la porta a non essere ben accolta. Trattamento che rappresenterebbe un’ulteriore prova a sostegno della sua idea.
Attribuzione causale: che colpa ho io e che colpa hai tu?
All’interno dei fattori cognitivi troviamo un altro bias: internalizzante ed esternalizzante. A partire da esso, vengono elaborate le attribuzioni causali degli eventi, per cui tutti gli eventi negativi sono attribuibili agli altri; perché gli altri sono pericolosi, e quindi le cose brutte dipendono da loro.
Ciò produce due risultati: alimenta il delirio, in quanto conferma che gli “altri” sono cattivi e fanno cose cattive; ed evita l’assunzione di colpa. Si tratta di bias adattivo che riduce il disagio causato dal delirio stesso.
D’altro canto, queste persone tendono spesso a dare spiegazioni fuori dall’ordinario riguardo a tutto ciò che gli accade – esperienze fisiche, mentali ed emotive. Attribuiscono le proprie difficoltà nella vita quotidiana a cause poco plausibili: mi spiano, mi bombardano di onde elettromagnetiche per farmi venire mal di testa.
Infine, manifestano spesso sensazioni somatiche, come ansia, mal di testa o prurito, che sovente interpretano come indicatori di azioni malevole contro di loro.
Delirio di persecuzione: idee di giustizia e bontà come parte del problema
Infine, all’interno dei fattori cognitivi coinvolti nel delirio di persecuzione, troviamo alcune idee sulla vita molto particolari: la vita è più giusta con me o con gli altri?
Le persone affette da depressione tendono a pensare che la vita sia indifferentemente giusta. La popolazione generale tende a pensare che sia un po’ più giusta verso se stessi.
Mentre per le persone con delirio di persecuzione è esattamente il contrario: pensano che la vita sia particolarmente ingiusta nei loro confronti.
Le convinzioni più profonde di queste persone sulla giustizia, il bene, il valore dell’umanità sono diverse. L’idea che gli altri siano trattati meglio non solo mina la loro autostima, ma è anche ciò che definisce e filtra tutti gli altri pensieri e processi cognitivi.
Ogni emozione, pensiero o azione è contaminata dall’idea che il mondo sia ingiusto e che non ci si possa fidare di nessuno. Aspetto che può portare l’individuo a nutrire sentimenti d’inferiorità, compromettendo il proprio concetto di sé, e portandolo a cercare di star meglio attraverso meccanismi “adattivi”: la convinzione persecutoria per cui nulla di ciò che accade è colpa sua.
Conclusioni
La conclusione a cui si può arrivare è che spesso, nel caso dei disturbi deliranti, ci concentriamo più sul contenuto del delirio che sui fattori cognitivi che lo hanno favorito.
Pensiamo semplicemente che queste persone siano “pazze”, mentre lo sviluppo di un delirio di persecuzione può avere perfettamente senso, può essere spiegato, e quindi trattato.
Concentrarsi meno sulla confutazione della storia del cliente con delirio di persecuzione e più sul lavoro con i bias e gli schemi cognitivi disfunzionali, può migliorare la sua condizione senza il rischio per il terapeuta di diventare parte del delirio.