Il dramma dei rifugiati: nella terra di nessuno

Avete avuto una giornata difficile al lavoro, ma non importa. Tornate a casa, preparate qualcosa per la cena e potete condividerla con la vostra famiglia. Immaginate che un giorno perdiate tutto e dobbiate lasciare la vostra casa, il vostro lavoro, la vostra vita e persino la vostra famiglia. È così che vivono i rifugiati.
Il dramma dei rifugiati: nella terra di nessuno
Gema Sánchez Cuevas

Scritto e verificato la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 09 gennaio, 2024

C’è stato un attacco. Una madre afferra la mano di uso figlio. Così esala il suo ultimo respiro, tra le stesse braccia della persona che l’ha visto nascere. Anche oggi un bambino si separa dalla sua famiglia, non sa quando li vedrà di nuovo. È costretto a dire addio a tutti tra lacrime in cui alberga la speranza per un futuro migliore. Rifugiati.

Il dramma dei rifugiati parla del dolore di migliaia di persone. Esseri umani che sognano, aspirano alle nostre stesse mete. Bambini che non sanno più ridere a forza di soffrire.

Chi sono i rifugiati?

Possono essere chiamati “immigrati forzati” visto che nel loro paese di origine sono perseguitati per motivi razziali o ideologici. Ma anche perché il loro paese non offre loro garanzie di stabilità o di sicurezza necessarie per una vita degna.

I rifugiati non vengono a rubarci il lavoro. Non vengono per un capriccio. Non sono terroristi.

 “Dovete capire,

nessuno mette i suoi figli su una barca

a meno che l’acqua non sia più sicura della terra.

Nessuno va a bruciarsi i palmi

sotto ai treni

sotto i vagoni.

Nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion

nutrendosi di giornali

a meno che le miglia percorse

non significhino più di un semplice viaggio”.

-Estratto da Home di Warsan Shire

Immigrati che calano un neonato su un barcone

Quali conseguenze psicologiche comporta l’essere rifugiato?

Vivere come un rifugiato è vivere nella terra di nessuno. L’impossibilità di sviluppare una vita normale nel luogo che credevi fosse casa tua e trovare, al tempo stesso, la ferma opposizione da parte di molti dei possibili paesi di asilo, genera livelli esorbitanti di ansia o depressione…provocando nel contempo sentimenti di vendetta.

A tutto questo vanno aggiunti i costanti bombardamenti. È così che si instaura uno stato di iper-vigilanza, di stress cronico, che spesso funge da detonatore per disturbi di maggior indole e gravità come schizofrenia o il disturbo post-traumatico da stress.

Non c’è da stupirsi, dunque, che una persona socialmente e psicologicamente instabile realizzi atti ben lungi dall’essere legali o etici, o che si affidi a un gruppo che dice che garantirà sicurezza, salvezza e giustizia per i suoi asserviti. Chi non cercherebbe un alleato quando tutto viene meno?

Eppure, ci stupiamo. Com’è facile vedere la pagliuzza nell’occhio altrui, quanto è difficile vedere la trave nel proprio! Le ultime notizie mostrano una crescita dei movimenti politici di estrema destra, soprattutto in Europa. I rifugiati non sono forse persone in un contesto sociale e psicologico incerto in cerca di sicurezza?

Rifugiati dietro un filo spinato

Quale è il nostro ruolo nel dramma dei rifugiati?

Quando la minuscola possibilità di superare un viaggio infernale per mare a bordo di uno scafo, attraverso un deserto o dopo anni di pellegrinaggio tra le mani della mafia, è più allettante che restare nel proprio territorio…nessun ostacolo, nessuna frontiera, nessun decreto, nessun poliziotto, nessun filo spinato e nemmeno lo stesso Mediterraneo basterebbero per fermare una famiglia in cerca di una vita migliore, una vita degna.

Volgere lo sguardo da un’altra parte non risolverà il problema. Neanche finanziare il conflitto lo risolverà. Non abbiamo le risorse per accogliere, ma le abbiamo per fornire armi? Questa doppia morale riguarda tutti noi.

Perché? Perché è un tragitto di andata e ritorno: quanto più lontano lanciamo il boomerang, più forte sarà il colpo al suo ritorno. Stiamo negando la cruda realtà dell’esistenza di questo imponente esodo, o senza negarne l’esistenza rifiutiamo comunque l’accoglienza nei nostri paesi, come sta accadendo nell’Unione Europea. O ancora, accettiamo il dramma e lo avvaloriamo, ma non sia mai che coinvolga la nostra società.

Contribuendo ad una soltanto di queste variabili, costruiamo una bomba ad orologeria. Cosa fareste se distruggessero la vostra casa, sequestrassero vostro figlio o bombardassero la vostra famiglia? Cosa fareste se aveste perso tutto e non aveste la minima possibilità di migliorare la vostra situazione? Cosa fareste se vi sentiste sopraffatti dall’impotenza e dalla sensazione che tutto succeda con la complicità di coloro che potrebbero evitarlo?

La risposta è semplice. È il punto in cui la vita inizia a perdere senso: ci si autodistrugge, si cerca vendetta o salvezza. È a questo punto che risulta fondamentale il nostro intervento.

È stato dimostrato che la maggior parte degli attentati non sono stati perpetrati da “siriani cattivi arrivati per ucciderci tutti”, bensì da abitanti nativi europei. Le seconde generazioni che non si sono sentite accolte dal proprio paese di adozione. Doppiamente rifiutati per non essere stati riconosciuti come francesi o tedeschi per diritto, ma neanche siriani o iracheni. Per non essere altro che amici di chi è interessato soltanto a usarli come armi.

È qui, in questa terra di nessuno, caratterizzata dalla mancanza di identità e appartenenza a un gruppo di riferimento, che nasce il “si salvi chi può”.

Famiglia di rifugiati che passa sotto il filo spinato

Siamo tutti uguali…e a volte ce ne dimentichiamo

Sembra che ce ne siamo dimenticati. Tra l’800 e il 900 più di dieci milioni di italiani hanno attraversato le frontiere e affrontato l’oceano cercando asilo negli stati del mondo occidentale. Molti di loro non sono più tornati.

Italiani che scappano dalla guerra

Come scrisse Neruda: “È così breve l’amore e così lungo l’oblio.”.

Nave con immigrati europei verso l'America
Immigrati europei (1949)

Ma i dati ancor più stupefacenti riguardano i giorni nostri. I nostri giovani se ne stanno andando. In Europa, in Cina, in Francia, in Irlanda… se ne vanno alla ricerca di un futuro migliore. Fenomeno che potrebbe riversarsi su di loro, su di voi e su chiunque di noi.

Sta a noi alzare la voce a favore di quelli che hanno soffocato la propria tra i pianti. A favore dei 10000 bambini scomparsi in terre europee, spegnendo la speranza delle loro famiglie di vederli di nuovo un giorno. E di tutti quelli che vendono il proprio corpo nei campi profughi in cambio della vita.

Unicef ha riconosciuto nel 2015 quasi 1500 casi gravi di violenza contro minori, compresi omicidio, mutilazione, reclutamento e sequestro. Di questi, sono 400 i casi di bambini morti e quasi 500 i bambini mutilati. E da questi dati sono già passati due anni. Anche questi sono terroristi? Permetteteci il beneficio del dubio.

L’esercizio più facile per aiutare è quello di aprire la mente e il cuore a chi è come noi.


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