Fuga da Alcatraz: tra suspense e libertà

Fuga da Alcatraz è uno dei film sulle carceri per eccellenza, un canto di libertà nella forma più pura. Asfissiante e claustrofobico, ci coinvolge in un'atmosfera in cui la suspense ci tiene incollati allo schermo fino alla fine del film. In questo articolo entreremo dentro le celle del carcere di Alcatraz.
Fuga da Alcatraz: tra suspense e libertà
Leah Padalino

Scritto e verificato la critica cinematografica Leah Padalino.

Ultimo aggiornamento: 11 ottobre, 2022

Nello scenario più isolato e inospitale del mondo, nel luogo in cui venivano destinati i criminali più pericolosi, nasce il mito, la leggenda che fu raccontata dal cinema con il film Fuga da Alcatraz (Don Siegel, 1979). Questo film è diventato un punto di riferimento per tutte le pellicole di genere carcerario (e giustamente aggiungiamo noi!).

Ogni volta che guardiamo un film che tratta di argomenti legati al carcere è inevitabile fare il confronto con Fuga da Alcatraz.

L’ambiente freddo e ostile della galera e la suspense incessante ne fanno un film avvincente che ci tiene incollati allo schermo senza darci un attimo di tregua. L’enigmatico volto di Clint Eastwood, le location e la trama basata su una storia vera sono solo alcuni degli ingredienti che rendono questo film un successo. Sicuramente, una storia basata su fatti reali suscita molto interesse, ma se si tratta anche di uno dei miti del XX secolo, l’attenzione aumenta.

Una prigione su un’isola dovrebbe assicurare la detenzione dei prigionieri e nessuna possibilità di fuga, eppure qualcuno c’è riuscito. Che siano sopravvissuti o no, questo è un altro mistero, ma sicuramente la fuga ha fatto conoscere Alcatraz in tutto il mondo. La trasposizione cinematografica ha contribuito a mitizzare l’immagine di questo carcere e ognuno ha fatto le proprie congetture.

Don Siegel ci ha regalato il film sulle carceri per eccellenza, ha portano l’angoscia nelle sale cinematografiche e ci ha fatto entrare in empatia con i prigionieri. Guardando il film, l’unica cosa che si desidera, è la loro libertà.

Alcatraz, dietro le sbarre

L’isola di Alcatraz si trova nelle vicinanze della Baia di San Francisco negli Stati Uniti d’America. Era una fortificazione militare, ma è conosciuta per aver ospitato alcuni dei prigionieri più famosi, ad esempio, Al Capone. Dopo 29 anni di attività, la prigione ha chiuso i battenti ed è stata occupata da diverse tribù di nativi americani. Attualmente, l’isola di Alcatraz è un parco nazionale e un luogo storico.

Durante gli anni in cui era una prigione federale, c’erano anche degli alloggi per i dipendenti e le loro famiglie. La funzione principale di Alcatraz era quella di ospitare i prigionieri considerati estremamente pericolosi: quelli che avevano creato problemi in altre prigioni e il cui reinserimento era considerato impossibile. Il luogo era quasi inaccessibile e vigevano delle condizioni di massima sicurezza: ai prigionieri era vietato persino parlare.

Attorno al carcere si creò un alone di mistero e terrore. Da un lato, ospitava i prigionieri più pericolosi, dall’altro, si vociferava che fosse un luogo dove avvenivano innumerevoli atrocità. I suicidi tra i prigionieri erano in aumento e alcuni, come Rufe Persful, arrivarono persino a mutilarsi le dita delle mani.

Scena di Fuga da Alcatraz

La cattiva reputazione ha accompagnato Alcatraz per molto tempo. Su quello che succedeva dietro le sbarre regnava un assoluto silenzio; nonostante questo, le notizie andavano diffondendosi. Tuttavia, sembra che ci siano stati alcuni prigionieri che avrebbero chiesto di andare ad Alcatraz perché sostenevano che lì il cibo era migliore rispetto ad altre prigioni. Ma le polemiche non si fermarono. Sentenze, suicidi e altri fatti sembravano indicare che Alcatraz era un luogo dove regnava l’ostilità.

Negli ultimi anni di attività, sembra che alcune delle rigide regole del carcere fossero state eliminate o attenuate. Durante gli anni in cui era una prigione, ci sono stati diversi tentativi di fuga, e due sono passati alla storia. Il primo è noto come la Battaglia di Alcatraz, in cui morirono cinque persone, due guardie e tre detenuti (oltre a causare numerosi feriti). Il secondo è l’unico tentativo riuscito: la fuga da Alcatraz avvenuta l’11 Giugno del 1962.

La mente del piano di fuga fu Frank Morris, un ladro accusato di possesso di narcotici e rapina a mano armata, il cui QI era molto più alto della media. Insieme a lui, riuscirono a fuggire i fratelli John e Clarence Anglin. Allen West collaborò con loro, ma a causa di un problema con il suo condotto di ventilazione, non riuscì a fuggire. Il piano era perfetto e i prigionieri scomparvero senza lasciare traccia. L’FBI ritenne che fossero morti tutti, ma il mistero è vivo ancora oggi.

Si dice che la madrea dei fratelli Anglin ricevesse due mazzi di fiori per ogni festa della mamma e che ci sia una fotografia che mostri i due uomini vivi. Nel 2013 l’FBI ha riaperto il caso dopo aver ricevuto una lettera firmata ha John Anglin che affermava che la fuga era riuscita e che era molto malato. Di sicuro, non sapremo mai cosa accadde davvero, ma questo fa parte della magia e della leggenda di questa storia.

Perché siamo così attratti da queste storie? Forse, perché alimentano la nostra immaginazione e hanno alla base un sentimento comune a tutti: il desiderio di essere liberi. Il cinema ha dato un volto e delle immagini alla nostra immaginazione e ci ha permesso di vedere quella fuga eccezionale. Ha elevato dei prigionieri al ruolo di eroi che sfidano il sistema e ottengono quello che tutti vogliamo: la libertà.

Scena di Fuga da Aalcatraz con prigionieri seduti

Fuga da Alcatraz: un cammino claustrofobico verso la libertà

Il film inizia con una scena quasi spettrale dell’isola nel bel mezzo della notte, la pioggia e la musica tengono viva la nostra attenzione. Frank Morris avanza nell’oscurità accompagnato dalle guardie che lo portano in galera. In lontananza è possibile vedere il faro dell’isola che, a poco a poco, si fa sempre più vicina. Questo inizio è perfetto, tutti gli elementi sono in armonia e introducono lo spettatore nella storia.

Frank Morris è presentato come un personaggio silenzioso che parla appena, il suo sguardo è freddo e distante e l’espressione del viso è imperturbabile. Poche facce avrebbero potuto adattarsi meglio al personaggio come quella di Clint Eastwood. Siegel approfitta fino in fondo dell’enigmatico volto del suo protagonista e dei dettagli della sua mimica facciale.

Le informazioni ci vengono date lentamente e in modo progressivo. Sappiamo che Morris ha un’intelligenza insolita, molto più alta della media, ma non conosciamo molto su di lui. L’atmosfera che si crea intorno è affascinante. Anche il resto dei detenuti e degli impiegati della prigione si amalgamano bene con l’atmosfera che il regista vuole creare.

Una scena di Fuga da Alcatraz

Fuga da Alcatraz ci immerge letteralmente nell’oscurità della prigione, nella vita difficile dei detenuti e ci mostra l’eccezionale astuzia di Morris. Il grande realismo e l’attenzione ai dettagli con cui vengono mostrati i vari passaggi del piano di fuga, fanno del film un capolavoro dal quale è impossibile staccarsi. La tensione aumenta progressivamente fino all’esito finale.

Non importa se conosciamo già la storia e neppure se conosciamo l’intero piano nei dettagli, la tensione ci accompagna dai primi minuti del film fino agli ultimi. La suspense è generata non da quello che non sappiamo, ma da quello che sappiamo già. Conosciamo tutti il finale, ma vogliamo vedere come ci arrivano: l’angoscia dei personaggi, le loro paure e le loro preoccupazioni. Il desiderio di libertà è così forte che nemmeno la paura di essere scoperti li può fermare. Come non può fermare noi spettatori che rimaniamo incollati allo schermo come se fossimo ipnotizzati.

Nel finale la tensione si allenta. Le onde del mare ci danno un po’ di sollievo, una piccola speranza, interrompendo quell’atmosfera oscura e soffocante dell’inizio.

Fuga da Alcatraz ci dà l’opportunità di addentrarci in uno dei grandi misteri del XX secolo, lasciando un finale aperto come quello della storia reale, ma dandoci un pizzico di speranza in più. Tutto è giocato sulla sottigliezza del linguaggio non verbale, sull’angoscia e la claustrofobia della prigione, ma soprattutto sul desiderio di libertà. Con questi ingredienti il film rappresenta una vera e propria lezione di cinema.

Alla fine, resta solo da chiedersi: “Cosa è veramente la libertà?”; “Sono riusciti a sopravvivere o non ce l’hanno fatta?”. Indubbiamente erano liberi! La morte, a volte, può renderci liberi più della vita stessa. Questo è il motivo per cui ci piace così tanto questa storia, perché ci stimola quella sensazione che tutti gli uomini desiderano e vogliono trovare: la libertà.


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