Gioco patologico: diagnosi, teorie e trattamento
Il gioco può essere per la maggior parte di noi un’attività ricreativa priva di conseguenze negative. Tendiamo a giocare durante le riunioni tra amici, per divertirci o socializzare con gli altri oppure come un passatempo. Talvolta smette di essere semplice intrattenimento per assumere il controllo della vita della persona. Si parla allora di gioco patologico.
Quando non si può smettere di pensare al gioco, si sente il bisogno di mentire o ci si indebita, si è giocatori patologici. Il gioco è patologico, dunque, quando la persona non riesce a controllare volontariamente il suo coinvolgimento.
Generalmente, la percezione dell’individui riguardo le proprie capacità può essere alterata, poiché incapace di riconoscere la realtà, fino a raggiungere conseguenze drammatiche.
Questa tendenza, denominata illusione di controllo, induce i giocatori a pensare che abbiano tutto sotto controllo e che potranno smettere quando vogliono. La realtà, invece, non è questa e spesso il gioco sfugge di mano, con serie ripercussioni a livello economico, familiare, sociale e lavorativo.
Il DSM-5 ha inserito questa categoria diagnostica all’interno del capitolo dei disturbi correlati a sostanze e ad altre dipendenze. Questo sulla base della somiglianza fra il gioco e altre dipendenze. In entrambi i casi si attivano i medesimi meccanismi cerebrali, in particolare quelli che riguardano il sistema di ricompensa.
Come si diagnostica il gioco patologico?
Per poter diagnosticare il gioco patologico, il DSM-5 ci dice che l’abitudine al gioco deve essere problematica, persistente e ricorrente e deve provocare un deterioramento o un malessere clinicamente significativo (la persona comincia a giocare per non stare male; di fronte al gioco, gli altri stimoli rinforzanti perdono valore).
Il paziente deve inoltre presentare quattro o più caratteristiche su un totale di 9, per un periodo di 12 mesi. Tali caratteristiche sono le seguenti:
- Sente il bisogno di scommettere quantità di denaro sempre maggiori per raggiungere l’eccitazione desiderata.
- È nervoso o irritato quando cerca di ridurre o abbandonare il gioco.
- Spesso pensa alle scommesse.
- Molte volte scommette quando si sente inquieto.
- Dopo aver perso, gioca di nuovo per vincere.
- Mente per nascondere il suo grado di implicazione nel gioco.
- Ha messo in pericolo o ha perso una relazione importante, il lavoro, la carriera accademica o professionale.
- Ricorre agli altri per ricevere denaro e non gravare ulteriormente sulla sua situazione finanziaria disperata.
Questo comportamento non deve essere spiegato da nessun episodio maniacale, perché altrimenti dovremmo attribuirlo a tale diagnosi e non al gioco patologico.
Oltre a queste caratteristiche diagnostiche riportate dal manuale dell’APA, esistono una serie di distorsioni cognitive che possiamo riscontrare molto spesso nei giocatori patologici:
- Oltre all’illusione del controllo, tende a presentarsi la correlazione illusoria, ovvero considerare che certe variabili possano cambiare sebbene sia impossibile: “se parlo con affetto ai dadi, otterrò un punteggio maggiore”.
- Attenzione alle frequenze assolute: il giocatore valuta il suo successo in funzione di quanto vinto; non tiene conto di tutte le perdite.
- Attribuzione flessibile (attribuire i successi a fattori personali e i fallimenti a fattori esterni).
- Spiegazioni post-hoc, dunque credere di essere stato in grado di prevedere il risultato, pur non essendo così.
Teorie esplicative sul gioco patologico
Alcune prospettive teoriche hanno cercato di spiegare il gioco patologico. Le descriviamo nelle righe che seguono.
Il modello degli stati di necessità
Il gioco viene visto come un comportamento che soddisfa una carenza dell’individuo. La dipendenza si acquisirebbe come un tentativo di controllare lo stress cronico che determina questa alterazione.
I fattori che predisporrebbero al gioco sono: alterati livelli di attivazione psicofisiologica avversativa e uno stato di identità alterato, per esempio sentirsi inferiore, incapace o rifiutato. In questo senso, il gioco agisce da tappa buchi per tutte queste carenze irrisolte.
Teoria della regressione di Brown
Si basa sull’arousal/attivazione e sulla teoria della regressione di Apter. Propone due sistemi che porterebbero la persona ad avere la motivazione necessaria per giocare e a un livello ottimale di attivazione.
Si parla di stato telico (il soggetto è motivato e orientato verso una meta, gode della sua anticipazione, ma con una bassa attivazione) e stato paratelico (stato di elevata attivazione e di piacere per le sensazioni immediate).
Se la persona è in stato telico percepisce il gioco con ansia; in stato paratelico è più attratta dal gioco. Il telico inizia il gioco per indurre uno stato paratelico, in cui l’attivazione non venga vissuta con ansia, bensì con piacere.
Il giocatore impara che, pur continuando a giocare nonostante l’ansia, poi verranno gli stimoli di rinforzo e i guadagni, motivo per cui il problema cresce.
Modello di Dickerson e Adcock
Il gioco si basa e si concentra sull’attivazione come variabile chiave. I due fattori che modulano l’attivazione sono: lo stato d’animo e l’illusione di controllo. Questo modello spiega che, più è basso lo stato d’animo, più il comportamento viene mantenuto con il proposito di raggiungere il livello massimo di attivazione con cui il giocatore si sente a proprio agio.
Modello di Sharpe e Tarrier
Spiega il problema in base al programma di rinforzo tipico del gioco: quello variabile. Il guadagno monetario non è fisso. A volte avviene, a volte no. Questa variabilità mantiene la persona invischiata nel gioco, perché non può prevedere quando vincerà.
Trattamento del gioco patologico
Esistono due obiettivi terapeutici: l’astinenza completa o il gioco controllato. La scelta dell’uno o dell’altro dipenderà dal profilo del paziente. Pur così, la più usata è l’astinenza completa. Riguardo ai trattamenti utilizzati, possiamo trovare i seguenti:
Gruppi di Autoaiuto “Giocatori anonimi”
Considerano il gioco come una malattia cronica e progressiva sulla quale si può intervenire per frenarne il decorso, ma non per curarla.
Il gruppo costituisce una rete di sostegno sociale, ma il tasso di abbandono è elevato sin dalle prime sessioni. Non sarebbe utile in pazienti alle prime fasi, ma in quelli che presentano disturbi associati.
Farmacoterapia
Si possono usare tre tipi approcci farmacologici: gli stabilizzatori dell’umore come il carbonato di litio insieme ai neurolettici, gli SSRI come la fluoxetina e il naltrexone per via della somiglianza del gioco patologico con le dipendenze da sostanze.
Programmi multifattoriale
Questi programmi possono essere di due tipi:
- Internamento se il profilo del paziente risponde a quello di una persona priva di sostegno sociale o familiare, con pensieri suicidi o con disorganizzazione comportamentale. Si rivolge, dunque, ai pazienti più gravi.
- Ambulatorio. In questa prospettiva troviamo due dei programmi più famosi. Il programma di Ladouceur e Cols e il programma di Echeburúa e Baez. Il primo include tecniche più cognitive come la ristrutturazione e la prevenzione delle ricadute.
Mentre quello di Echeburúa e Baez è di carattere più comportamentale, perché include strategie come il controllo degli stimoli e l’esposizione con prevenzione della risposta, così come la terapia di gruppo.
Il trattamento del gioco patologico, come per altre dipendenze, non è facile. In primo luogo, richiede il riconoscimento del problema da parte della persona che, in un secondo momento deve riconoscere, di non poter affrontare il problema da sola.
Infine, in molti casi, godere di un valido gruppo di sostegno è la spinta che dà alla persona la forza per chiedere aiuto a uno specialista e che rinforza e consolida i suoi progressi, oltre a prevenirne le recidive.
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- Belloch, A., Sandín, B. y Ramos, F (2008). Manual de psicopatología. Volúmenes I y II. McGraw-Hill.Madrid
- American Psychiatric Association (APA) (2014): Manual de Diagnóstico y Estadísitico de los Trastornos Mentales, DSM5. Editorial Médica Panamericana. Madrid.