La corteccia insulare: imparare dal dolore

"Ciò che non uccide, fortifica", dicevano i saggi. Al di là dell'aspetto etico, il proverbio esprime un'idea: le informazioni che vengono accompagnate dal dolore offrono insegnamenti più intensi e duraturi. Ma ciò come avviene a livello cerebrale?
La corteccia insulare: imparare dal dolore
Andrés Navarro Romance

Scritto e verificato lo psicologo Andrés Navarro Romance.

Ultimo aggiornamento: 03 gennaio, 2023

Cosa ricordiamo con più facilità della nostra infanzia, la prima caramella che abbiamo gustato o la nostra prima punizione a scuola? Quasi tutti opterebbero per la seconda. Sembra chiaro, infatti, che gli eventi che hanno provocato maggiore dolore in qualche modo rimangono ben chiari nella memoria. Alcuni recenti studi individuano nella corteccia insulare del cervello – ovvero l’area responsabile dell’elaborazione del dolore – il mediatore di questo apprendimento di tipo aversivo.

Le neuroscienze sono riuscite, ancora una volta e grazie a questo studio di ricerca, ad attribuire alcune fondamenta neuroanatomiche a processi mentali che abbiamo già sviluppato e che sono già definiti.

Il nesso tra l’elaborazione delle esperienze dolorose e l’apprendimento derivante da queste esperienze avverse ha sede nell’insula; nelle profondità della superficie laterale del cervello, in una scanalatura che separa le cortecce parietale inferiore e temporale.

Scissura laterale di Silvio è il nome attribuito alla scanalatura che separa la corteccia temporale da quella parietale inferiore nel cervello.

Ragazza afflitta: corteccia insulare ed emozioni

Importanza dell’apprendimento che deriva dal dolore

L’evoluzione ci ha dotato di un efficace meccanismo di sopravvivenza: il cosiddetto apprendimento da minaccia. Questo tipo di apprendimento è associato, in gran parte, alla sopravvivenza della nostra specie; oltre alla nostra, altre specie dispongono di questa risorsa, cui provvedono i loro rispettivi sistemi nervosi.

L’istinto di conservazione proprio di questo meccanismo viene attribuito al fatto che, grazie a tale apprendimento, siamo in grado di evitare future situazioni che potrebbero arrecarci danni o dolore, sulla base di eventi precedenti e simili, che ci hanno danneggiati. In un certo senso, ci aiuterebbe a non ricadere negli stessi errori.

Così, sbattere il piede contro il tavolo causa immediatamente un fastidioso dolore acuto che lascerà un insegnamento ben chiaro: per evitare in futuro dolori del genere, bisognerà evitare di colpire di nuovo un tavolo.

Il ruolo della corteccia insulare

Per lungo tempo, gli scienziati si sono domandati quale poteva essere l’area del cervello incaricata di inviare l’allarme ad altre aree cerebrali in caso di dolore e affinché l’apprendimento aversivo, o da minaccia, potesse attivarsi. Già da tempo era risaputo che l’amigdala era importante in questo processo di apprendimento, ma mancavano ancora alcuni collegamenti da determinare.

E questo perché per quanto l’amigdala collabori in questa forma di apprendimento attraverso la valutazione emotiva degli stimoli ricevuti, restava ancora da smascherare quale fosse la regione in grado -come fa un direttore d’orchestra- di riunire tutti i processi cerebrali coinvolti per elaborare un apprendimento significativo e integrato.

Alla fine, la corteccia insulare, ripiegata in modo compatto verso l’interno della scanalatura laterale cerebrale, è emersa in quanto responsabile della trasmissione dei segnali di allerta relativi a esperienze avverse. Nonostante esistesse la prova delle connessioni tra neuroni dell’amigdala e neuroni insulari, la funzione degli stessi sono state a stento oggetto di studio.

Tradizionalmente, alla corteccia insulare viene attribuita la capacità di decodificare i sentimenti verso il nostro corpo.

Negli studi menzionati, sono stati scelti i topi come cavie dell’esperimento, viste le similitudini tra la loro corteccia insulare e quella umana. Disconnettendo la corteccia insulare dei roditori durante l’apprendimento aversivo, i ricercatori hanno scoperto che questi ultimi perdevano praticamente qualunque paura rispetto a futuri eventi dolorosi.

E non solo questo: si è anche osservato che in queste circostanze le cavie subivano una riduzione della loro abilità di trarre insegnamento dall’esperienza dolorosa.

Noi siamo quello che facciamo ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un’azione, ma un’abitudine.

-Aristotele-

La corteccia insulare e le emozioni di base

È stato provato che l’insula ricopre un ruolo importante, oltre che nell’esperienza del dolore, anche nell’esperienza di un gran numero di emozioni elementari, come l’amore, l’odio, il dispiacere, la paura, la tristezza e la felicità. Da un punto di vista anatomico, l’insula è situata nel punto esatto in cui si intersecano, in particolare, due fenomeni:

  • Informazioni relative allo stato del corpo, in diverse fasi di elaborazioni emotive.
  • Diversi processi cognitivi di ordine superiore.

In quest’area si misurerebbe dunque l’associazione tra i cambiamenti del corpo – provocati dagli stati emotivi – e le alterazioni relative al modo in cui vengono vissute queste esperienze qualitativamente e a livello soggettivo. Per riassumere: la corteccia insulare informa il nostro cervello sulla condizione del corpo.

Cosa ci dimostrano queste recenti scoperte

Come già detto, è stato constatato che oltre a informare il cervello sulla condizione del nostro corpo, la corteccia insulare è in grado di inviare potenti segnali di allerta ad altre regioni del cervello, coinvolte nella formazione di ricordi di eventi sgradevoli o dolorosi.

Si è ipotizzato che i neuroni dell’insula siano responsabili della soggettiva percezione del dolore, e sarebbero pertanto anche responsabili delle addizionali sensazioni di dispiacere a seguito degli eventi dolorosi vissuti. Con il suo funzionamento, la corteccia insulare indurrebbe altre aree del cervello a ricoprire la sua stessa funzione nel processo di apprendimento aversivo.

La corteccia insulare

Interconnessioni cerebrali e disturbi psichiatrici

Da ciò deriva che l’azione dell’insula si ripercuote in modo significativo sui fenomeni di interconnessione cerebrale, in diverse aree. Questa scoperta, inoltre, conferma l’idea secondo cui un’attività “difettosa” di questa regione corticale è associata a diverse malattie psichiatriche.

Così, studi di questo tipo, che associano i meccanismi di connettività e plasticità neuronale ai meccanismi di codificazione cerebrale del dolore, in futuro potranno fungere da base per la formulazione di nuovi approcci psichiatrici. In tal senso, potremmo ottenere numerosi benefici soprattutto per quanto riguarda il disturbo post-traumatico da stress e i disturbi d’ansia.


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