La persona che si cela dietro la diagnosi
Chi riceve una diagnosi sente che da un momento all’altro tutto è cambiato, che il suo ieri non è più lo stesso del suo oggi. Con il potere della parola, qualcuno ha segnato un “prima” e un “dopo” nella sua vita. A partire da quel momento e per un periodo non ben determinato, il suo nome si trascinerà dietro un cognome che, nella maggior parte dei casi, può essere molto doloroso.
“Tra gli animali la legge è mangiare o essere mangiati; tra gli umani, definire o essere definiti.”
-Thomas Szasz-
Chi riceve una diagnosi di solito si sente come se gli avessero posizionato uno zaino carico di sassi sulle spalle. Non solo dovrà portarsi dietro quel problema personale, ma anche adattarsi al suo nuovo cognome. Questo peso e la difficoltà di riadattarsi alla nuova situazione comportano un immenso sforzo da parte sua.
A volte le persone sentono che quella diagnosi è più forte di loro, che ha preso vita, proprio come un mostro che divora ogni cosa e che ha divorato anche loro. Possono persino sentirsi estranei a se stessi, al loro corpo, alla loro personalità e a tutto il loro essere.
Convivere con una diagnosi
Prendere coscienza di questa nuova realtà e dei cambiamenti che comporta non è un compito facile. All’inizio la parola si sovrappone alla persona, creando una realtà che, anche se in un modo o nell’altro era lì già prima che la nominassero, ora ha preso vita e si è intrufolata nella nostra esistenza senza che nessuno l’avesse invitata.
Quando vi trovate faccia a faccia con quel mostro, da soli, solo voi potete decidere se abbracciarlo e imparare a convivere con esso oppure vivere combattendo una battaglia che lascerà ferite indelebili. La responsabilità di scegliere che cosa fare di fronte a questa nuova situazione è solo e soltanto vostra.
Convivere con la parola ed essere totalmente consapevoli del suo significato è difficile e richiede tempo. Che lo vogliate o meno, in quel momento l’etichetta è lì, vi accompagna per quel pezzettino di vita e dovete imparare a convivere con essa.
“L’esperienza non è quello che vi accade, ma ciò che fate con quello che vi accade.”
-Aldous Huxley-
Tutto cambia, ma niente cambia
L’effetto della diagnosi su una persona è come quello delle stagioni sulla vegetazione. Proprio come in un bosco, che subisce i cambiamenti portati dalle stagioni mano a mano che passano i mesi, anche se i fiori e gli alberi cambiano colore, le radici continueranno a rimanere ancorate alla stessa terra.
A volte la persona può sentire che la terra e gli alberi non sono più la stessa cosa. Ma, con il passare del tempo, le foglie cambiano colore, cadono e ne nascono di nuove; quello stesso albero potrebbe rimanere lì per sempre oppure venire tagliato e scomparire. Eppure, nonostante tutti i cambiamenti che avvengono in superficie, c’è qualcosa che rimane immutato: ed è il fatto che dovrà sempre esistere una terra in cui la vegetazione può mettere radici.
Ciò che accade al bosco, accade anche alle persone. Quella parola cambia la persona, ma non la cambia. C’è una parte, un periodo della vita, che sarà diverso dal resto; ma, nonostante tutto, c’è uno strato più profondo che non cambierà e che rimarrà lì per sempre.
Una diagnosi NON è un aggettivo
A volte la diagnosi può mettere in ombra la persona, far sì che lei stessa e chi la circonda la definiscano esclusivamente con quell’etichetta. Per esempio, capita spesso di ascoltare frasi come “è bipolare”, “è depresso” o “è schizofrenico”. Queste frasi non solo vengono usate in modo sbagliato, ma alimentano anche uno dei grandi problemi della malattia mentale: lo stigma.
Molte volte si usano le diagnosi come aggettivi, come se fosse una caratteristica immutabile della persona. Ma una diagnosi NON è un aggettivo: una persona non è bipolare, depressa o anoressica. Le persone non sono solo diagnosi, etichette o parole.
Una persona è ciò che è, con le sue caratteristiche personali e uniche. È possibile che in un dato periodo possa presentare un certo disturbo o malattia, ma questo non significa che si sia trasformata in quella malattia o che non sia più se stessa.
Dietro la parola, c’è un volto unico al mondo
La diagnosi sarà sempre unita a un volto. Non bisogna dimenticare che una diagnosi è solo un insieme di sintomi che ci parlano della malattia e non della persona. Ci dà delle informazioni generali su ciò che sta accadendo a chi soffre di quel disturbo, ma non ci dice niente su di lui o lei.
Anche se ci possono essere delle somiglianze, ogni essere umano è unico. Tutti noi abbiamo un nome, una personalità, una famiglia, dei gusti, delle manie e delle caratteristiche speciali che ci distinguono dagli altri. Una diagnosi non ci darà mai informazioni su queste particolarità di una persona, che dobbiamo scoprire poco a poco.
Una diagnosi ben impiegata è importante, perché ci dice qualcosa sulla persona che sta soffrendo di un certo problema e trasmette delle informazioni molto utili a livello professionale, ma da sola non basta mai. Non dobbiamo dimenticare che dietro un’etichetta c’è sempre un volto unico e inimitabile, una persona che sente e che è molto di più di una semplice parola.