Le cellule emettono luce prima di morire

La scienza conosce anche il linguaggio della poesia: è dimostrato che prima di morire, come le supernove, le cellule irradiano grandi quantità di luce. Scopriamo più a fondo questo bellissimo fenomeno.
Le cellule emettono luce prima di morire
Andrés Navarro Romance

Scritto e verificato lo psicologo Andrés Navarro Romance.

Ultimo aggiornamento: 22 dicembre, 2022

Oltre 30 anni fa, e quasi per caso, lo scienziato tedesco F.A. Popp e i suoi colleghi scoprirono che le cellule emettono luce prima di morire.

Questa osservazione, tanto enigmatica quanto elegiaca, richiese ancora molti anni di studio prima di essere confermata. Tuttavia, offrì una descrizione particolare delle proprietà della cellula umana. Lo stesso postulato riuscì ad accarezzare l’immaginazione popolare e a scontrarsi frontalmente con lo scetticismo scientifico del tempo. 

Le cellule che emettono luce è un’idea di appassionata bellezza lirica.

La scoperta

Secondo lo scienziato, un tale fenomeno poetico riflette la tendenza programmata delle cellule umane a emettere radiazioni luminose ultra deboli – costituite da quelli che lui chiamava biofotonicon un’intensità esponenzialmente maggiore del solito durante i momenti precedenti la cessazione della loro funzione vitale.

Questa capacità non è osservabile solo negli ultimi istanti di esistenza della cellula. Secondo Popp, fedele seguace dell’opera del russo A. Gurwitsch, ogni essere vivente multicellulare emette una luce che sembra essere determinante nella comunicazione intercellulare.

Questa comunicazione è essenziale per il lavoro coordinato delle varie funzioni cellulari. Inoltre, si articola in virtù di un linguaggio di regolarità e irregolarità nelle suddette emissioni luminose.

“La luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo. E tu hai sempre bruciato la tua candela da due parti, Roy.”

-Joe Turkel nel ruolo di Eldon Tyrell, Blade Runner (1982)-

Luce emessa dalle cellule.

Le prime conclusioni a cui giunse lo scienziato tedesco hanno trovato riscontro nel campo della salute. Suggeriva che la quantità e le caratteristiche di queste irradiazioni biofotoniche mostrano una correlazione statistica con lo stato di salute dell’organismo, in generale, e del corpo umano, in particolare.

Questo concetto strutturò la narrativa, difesa con veemenza e controversia dallo scienziato, che quanto più caotica è l’emissione di unità di luce, tanto più rivelerebbe la presenza di malattie. Tuttavia, questa prospettiva peculiare, che contò su diversi promotori, non è stata ancora validata scientificamente in modo affidabile.

Sebbene tali approcci alla salute umana non abbiano un’approvazione ufficiale o un’applicazione clinica accettata, è stato dimostrato che questa emissione bioluminosa cellulare interviene nei processi di trasmissione delle informazioni tra le cellule.

Lo scienziato S. Mayburov, che ha pubblicato i suoi studi sulla rivista tecnologica del Massachusetts Institute of Technology (MIT), è responsabile di questa concordanza scientifica tra luce e biologia cellulare.

Le cellule emettono luce, com’è possibile?

Una realtà ovvia è che le cellule viventi ricevono la luce solare e la immagazzinano raccogliendo le loro unità costituenti: i fotoni. Altrimenti non esisterebbe il fenomeno della fotosintesi e le piante non otterrebbero energia per la loro sussistenza.

Su un pianeta senza piante, l’ossigeno respirabile sarebbe troppo carente e incompatibile con la vita animale; senza fotoni, semplicemente non saremmo qui.

“L’oscurità non esiste, l’oscurità è in realtà l’assenza di luce.”

-Albert Einstein-

Secondo il principio einsteiniano che la materia non viene distrutta ma solo trasformata, l’appropriazione di fotoni da parte della cellula – per lo svolgimento delle sue funzioni e la conservazione delle sue parti costituenti – porta al riutilizzo di quell’energia luminosa e la perdita spontanea, come avviene in qualsiasi sistema termodinamico, di porzioni di quell’energia. Non appare strano, quindi, che una cellula emette luce.

In linea con quanto sopra, il vincitore del Premio Nobel A. Szent-Györgyi, rinomato fisiologo ungherese del XX secolo, teorizzò che l’energia, tanto essenziale per la vita sulla Terra, non è solo la merce di scambio in ogni funzione e processo cellulare ma, in modo irrinunciabile, è necessaria per il mantenimento della stessa struttura cellulare.

E quell’energia, nella sua variante più primordiale e precorritrice, è proprio l’energia che nasce come radiazione luminosa dalla più grande delle sorgenti: il Sole.

La poesia della cellula che dà via la sua luce prima di morire

Lo stesso Popp suggerì, sulla base della sua conoscenza delle cellule in situazioni di stress, che questa azione cellulare di disfarsi rapidamente e intensamente del loro contenuto luminescente nei momenti prima della morte rispondeva a un meccanismo di riequilibrio dell’ambiente cellulare.

Così, nel tentativo di arricchire il suo ambiente esterno e diffondere componenti energetiche che possono ancora essere utili, la cellula perderebbe in modo esplosivo la sua carica fotonica prima di cessare di esistere.

Secondo Popp, l’emissione di luce da parte delle cellule risponde a un meccanismo che consente di riequilibrare l’ambiente cellulare.

Considerazioni molecolari a parte, intravediamo qui una metafora che riflette, quasi specularmente, la stessa esplosione delle vecchie stelle troppo cresciute che conosciamo come supernove.

Collassando gravitazionalmente nelle istanze finali della loro esistenza come stelle, le supernove emettono un’enorme quantità di radiazione luminosa. Dai nostri osservatori terrestri, vediamo questo fenomeno come uno splendore eterno.

“Questo cosmo, che è uguale per tutti, non è stato creato da nessuno degli dei o degli uomini, ma è sempre stato, è e sarà un fuoco eterno e vivo che si accende e si spegne secondo misura.”

-Eraclito di Efeso-

Esplosione supernova spazio.

E questa esplosione serve anche a rendere l’ambiente galattico un ambiente più ricco; per restituire gli atomi che milioni di anni fa decisero di attrarsi a vicenda per formare una stella nascente. Questi atomi diventeranno parte di nuove stelle, nello stesso modo in cui l’energia della cellula sarà l’energia di molte altre.

Forse entrambi i fenomeni sono l’espressione della stessa legge dell’Universo che opera su scale così disparate; forse il più piccolo è un riflesso del più grande e viceversa.

Anche se sappiamo così poco della realtà e nonostante i limiti del nostro metodo scientifico, dobbiamo ringraziare la scienza per aver comunicato in modo poetico.

 


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