L'esercito delle 12 scimmie: film distopico molto attuale

"L'esercito delle 12 scimmie" è un film di genere distopico, oggi più che mai attuale. Il futuro predetto nella pellicola ricorda molto il nostro presente.
L'esercito delle 12 scimmie: film distopico molto attuale
Leah Padalino

Scritto e verificato la critica cinematografica Leah Padalino.

Ultimo aggiornamento: 04 novembre, 2022

La realtà supera la finzione. Non avremmo mai pensato che questa frase potesse avere così tanto senso come oggi; se qualche mese fa ci avessero detto che avremmo vissuto una situazione così critica a livello socio sanitario, non ci avremmo creduto. Eppure, L’esercito delle 12 scimmie ci aveva in qualche modo messo in guardia.

La finzione si è superata a tal punto che la distopia non ci sorprende più; e nemmeno Charlie Brooker – creatore di Black Mirror – vuole continuare la sua serie. Ma fa sempre uno strano effetto rivedere i film che sembravano predire ciò che si è verificato ai giorni nostri.

Dagli spensierati anni ’90, vi riproponiamo un film che avvisava su un futuro inospitale per via di un virus: L’esercito delle 12 scimmie (di Gillian, 1995).

L’esercito delle 12 scimmie: fantascienza distopica

Abbiamo già detto in altre occasioni che la distopia, intesa come branca della fantascienza, sembra metterci in guardia su scenari futuri cupi e inospitali. Eventi che, d’altro canto, potrebbero essere la diretta conseguenza del presente se non si intraprendono le necessarie misure preventive.

Il genere distopico è estremamente prolifico dalla fine del XX secolo a oggi, perché in molti sembrano aver previsto le conseguenze negative di un progresso tecnologico senza precedenti.

Tra tutte le opere distopiche, L’esercito delle 12 scimmie sembra essere quella più attuale. Un futuro in cui l’umanità è condannata a vivere sottoterra a causa di un virus, oggi ha più senso che mai.

Il regista Terry Gilliam, che aveva già raggiunto il successo con Monty Python e il sacro Graal, ha tratto ispirazione dal film francese La Jetée (Marker, 1962) per creare la sua celebre pellicola distopica.

Gli interpreti

Nelle vesti di attore protagonista, Bruce Willis interpreta un uomo che, nato alla fine degli anni ’80, vede svanire il mondo che conosceva a causa di un virus. Condannato a vivere sottoterra con gli altri esseri umani, partecipa a una serie di missioni nel tentativo di correggere gli errori del passato. Lo scopo di queste missioni è scoprire l’origine del virus e raccogliere dei campioni affinché gli scienziati possano sviluppare un vaccino.

Nel ruolo di antagonista troviamo un giovanissimo Brad Pitt che aveva già intenzione di scrollarsi di dosso il ruolo del “belloccio” regalandoci una grande interpretazione della follia. Il mondo sotterraneo abitato da James Cole (Bruce Willis) appare ai nostri occhi come sporco, cupo, inospitale e inquietante.

La messa in scena è eccentrica quanto il regista del film. I viaggi nel tempo scandiscono un film che oggi gode di rinnovata importanza, viste le vicende socio sanitarie degli ultimi mesi.

La fantascienza non è fatta solo di robot e viaggi nello spazio, ma anche di viaggi nel passato (o nel presente) con una prospettiva più angosciante e oscura. Il futuro potrebbe rivelarsi terrificante se non si agisce nel presente.

Più che affidarsi agli effetti speciali, Gilliam opta per un approccio in chiave thriller, in cui il protagonista deve svelare tutte le azioni che hanno portato all’accaduto e trovare così una cura per il virus o quantomeno fermarne l’avanzamento.

Come tutte le storie distopiche, il finale è piuttosto ambiguo, anche se facilmente comprensibile, nel quale l’inevitabile sembra essere più forte del progresso scientifico e tecnologico.

La rappresentazione della follia

L’aspetto più affascinante del film è la visione della specie umana attraverso le pareti di una clinica psichiatrica. Il personaggio interpretato da Brad Pitt, Jeffrey Goines, assume un’importanza speciale in queste scene. In un certo senso, rinchiudere James Cole, l’eroe inviato dal futuro, in una clinica psichiatrica mette alquanto in imbarazzo la nostra specie.

Inoltre, la clinica si presenta ai nostri occhi come un caos completo, un luogo in cui confinare le persone che si discostano dalle norme stabilite; vengono completamente separate dalla società piuttosto che reintegrate.

Lo spettatore sa bene che James Cole è sano di mente, ma il mondo del film non sembra essere d’accordo, motivo per cui lo relega in un ambiente inospitale e caotico, degno dell’apocalisse.

L’esclusione del “folle” rimanda a Foucault e alla sua Storia della follia nell’età classica, opera nella quale l’autore osserva come tale concetto sia cambiato nel corso del tempo e sia stato condannato all’esclusione.

Brad Pitt e Bruce Willis in L'esercito delle 12 scimmie.

L’esercito delle 12 scimmie: nessun rimedio, nessuna soluzione

Nonostante i viaggi nel tempo e i molteplici tentativi di Cole di cambiare il passato, il messaggio del film sembra piuttosto chiaro: non c’è soluzione, nemmeno tentando di cambiare il passato, dato che la storia si ripete come in un ciclo.

L’umanità, in un modo o nell’altro, è stata condannata a subire le conseguenze del virus. L’unica soluzione, quindi, è cercare un vaccino o un farmaco che possa attenuare la malattia.

In tal senso, il ruolo femminile del film è determinante, soprattutto da una prospettiva attuale. Il genere distopico sembra aver fortemente penalizzato le donne, come si vede in The Handmaid’s Tale o in V per Vendetta. La donna, di fatto, si trova quasi sempre in posizioni di maggiore vulnerabilità nelle storie distopiche.

Ma cosa succede ne L’esercito delle 12 scimmie? L’unico personaggio femminile di spesso è quello della dottoressa Railly, psichiatra che aiuterà Cole nelle sue indagini. Ciò che colpisce – come dicevamo – è il fatto che il personaggio prenda forma attorno alla figura di un uomo.

Un uomo che la rapisce e con cui, alla fine, ha una storia d’amore. Ma erano gli anni ’90 e non entreremo nel tema dato che uno sviluppo tematico di questo tipo era all’ordine del giorno ai quei tempi.

Tralasciando questo aspetto, ci troviamo davanti a un film che sprofonda nello sconforto; che ci lascia l’amaro in bocca, finendo col dirci: “non c’è rimedio, non c’è soluzione”. Così, l’umanità sembra essere condannata al disastro, all’inevitabilità di un nemico invisibile che ci ha tenuti rinchiusi o, come nel caso del film, sottoterra.


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