Lezioni di resilienza al tempo del Coronavirus
È la parola del momento, lo sappiamo, eppure è davvero necessaria ed è fonte di ispirazione. Le lezioni di resilienza al tempo del Coronavirus non sono solo un suggerimento o un messaggio da postare sui nostri profili social. Si tratta di un esercizio di salute psicologica che è necessario capire, come chi custodisce i segreti di un tesoro, per sentirlo proprio ogni giorno della sua vita.
Innanzitutto, la resilienza non è un tratto. Non si tratta di un meccanismo che l’essere umano attiva automaticamente quando le cose si complicano. Si tratta piuttosto di un processo, di un muscolo da allenare pur tenendo a mente che ci saranno giorni meno facili, in cui ci sentiremo deboli e in cui faremo fatica a farci carico del peso del mondo.
Ricordando la famosa citazione di Nietzsche “Ciò che non uccide fortifica”, bisogna evitare che le avversità ci devastino del tutto o che ci lascino definitivamente senza risorse. E questa è una cosa che può succedere a chiunque, a un certo punto della vita.
Possiamo cadere e sentirci persino sconfitti per un determinato periodo di tempo. Nonostante ciò, dobbiamo riemergere dalle rovine della nostra vita e risorgere dalle nostre ceneri, con speranza e coraggio.
Insistiamo: è un iter complesso, che richiede impegno. Fiorire tra il cemento è l’arte più complessa, ma anche la più bella dell’essere umano.
Lezioni di resilienza al tempo del Coronavirus
La bella vita è un processo, non è uno stato d’animo, diceva Carl Rogers, psicoterapeuta ed esponente dell’approccio umanista in psicologia.
Con la sofferenza, la paura e le crisi accade lo stesso. Soffrire non è uno stato d’animo proprio dell’essere umano: non siamo al mondo per soffrire né bisogna stare male per sapere cosa è la vita. Il dolore deve essere sempre temporaneo ed ergersi a ulteriore esperienza di vita.
Tuttavia, affinché il tutto sia breve e ci permetta di adattarci molto meglio alla complessità dell’ambiente circostante, bisogna imparare a essere resilienti. Ma cosa significa davvero?
In realtà, anche se siamo abituati a sentire questo termine, si tratta di un’idea che nasce nel campo della fisica e che ha iniziato a essere impiegato nel campo della psicologia a partire dagli anni ’40.
Possiamo definirla semplicemente come la capacità dell’essere umano di riprendersi dalle avversità senza uscirne danneggiato. Ora, mentre in fisica e in ingegneria emerge l’idea che quei “materiali resilienti” possano tornare allo stato originale dopo aver subito un impatto, in psicologia questa fase non è presente.
In realtà, dopo aver vissuto un periodo difficile, nessuno è più lo stesso. Non torniamo allo stato originale: miglioriamo, apprendiamo nuove abilità per affrontare gli ostacoli, per navigare meglio nel mare della vita.
No, non siamo resilienti al 100%: si tratta di un’abilità sulla quale bisogna lavorare
Sappiamo che è importante applicare la resilienza al tempo del Coronavirus, ma la psicologia ci insegna che davvero poche persone possono contare al 100% su questa caratteristica. Per metterci alla prova, basta fare riferimento alla Scala della Resilienza Connor-Davidson (CD-RISC-25). Gli item sono i seguenti:
- Riesco ad adattarmi facilmente ai cambiamenti.
- Tendo ad affrontare con successo qualunque ostacolo o complicazione.
- Cerco di vedere il lato positivo di ogni situazione quando devo affrontare un problema.
- So gestire lo stress.
- Tendo a riprendermi piuttosto bene dopo una malattia, una ferita o un altro ostacolo.
- Sono abile nel raggiungere i miei obiettivi.
- Quando sono sotto pressione, penso e agisco lucidamente e con determinazione.
- Il fallimento non mi fa perdere d’animo.
- Mi considero una persona forte quando affronto le sfide e le difficoltà della vita.
- Gestisco abilmente emozioni come la tristezza, la paura e l’ira.
Si cela nella nostra natura e dobbiamo allenarla: dalla nostra vulnerabilità può emergere la nostra forza
La Columbia University ha condotto uno studio approfondito sull’impatto psicologico dell’11 settembre sui sopravvissuti. Un dato verificabile è che l’indice di stress post-traumatico non era così elevato come si era pensato in un primo momento. Buona parte delle vittime ha mostrato una notevole resilienza.
Il 65% di questo campione ha dimostrato un importante capacità di recupero, durante il quale sono state applicate diverse strategie. La prima è stata ammettere la propria vulnerabilità. Capire cioè che tutti possiamo soffrire sulla nostra pelle l’impatto degli ostacoli e che è nostro assoluto diritto soffrire, sentirci vulnerabili, feriti…
Si è dedotto anche che in ognuno di noi risiede un impulso, una forza interna che ci invita a un percorso di guarigione che consiste nell’imparare dalla nostra esperienza e nel guardare al presente con sguardo più forte, deciso e persino speranzoso.
Lezioni di resilienza al tempo del Coronavirus: accettare e prepararsi al cambiamento
Nassim Taleb, scrittore e autore di libri come Il Cigno Nero, in tempi recenti ha scritto che durante l’attuale pandemia è bene tenere a mente un aspetto: sebbene ci sia stata messa in bocca la parola “resistere”, egli preferisce eliminarla da questa equazione.
Resistere significa raccogliere le forze per sopportare qualcosa che ci sovrasta e che ci opprime. Secondo lo scrittore, non è il momento di perdere energie facendo degli sforzi; è il momento dell’accettazione e di qualcosa di più. Dobbiamo prepararci al cambiamento e questo significa fare uso di un altro tipo di energia.
Le lezioni di resilienza al tempo del Coronavirus si traducono nel bisogno di cambiamenti e di trasformazioni. Chi si impegna a resistere rimane fermo nello stesso punto, invece bisogna andare avanti; innanzitutto sopravvivendo, vivendo, assicurandosi di stare bene. Ma il futuro comporta cambiamenti e solo il cuore e la mente resilienti riusciranno ad adattarsi e a trarre il meglio da quel nuovo capitolo della vita. Riflettiamoci.
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- Bonanno, G. A., Galea, S., Bucciarelli, A., & Vlahov, D. (2006). Psychological resilience after disaster: New York City in the aftermath of the September 11th terrorist attack. Psychological Science, 17(3), 181–186. https://doi.org/10.1111/j.1467-9280.2006.01682.x