Ted Bundy: il perfetto psicopatico
Con un braccio fasciato, chiedeva a una donna di aiutarlo a caricare qualcosa nella sua auto. La donna non esitava, Ted Bundy aveva l’aspetto di un uomo vulnerabile, molto gentile e amichevole, perché non avrebbe dovuto fidarsi di lui? La verità è che le donne che sono cadute nella sua trappola e hanno gentilmente accettato di aiutarlo sono scomparse e alla fine sono state trovate morte.
Ted Bundy era un lupo travestito da pecora, nessuno avrebbe mai sospettato di lui. Ma questa storia si è ripetuta molte volte, troppe volte in poco tempo. Tanto da essere conosciuto come uno dei più pericolosi serial killer degli Stati Uniti.
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Un’infanzia difficile
Theodore Robert Cowell nacque a Burlington, Vermont, il 24 novembre 1946. Figlio di una madre adolescente, Eleanor Cowell, e di un padre sconosciuto, la vita di Ted non fu facile fin dalla nascita, con grande imbarazzo della famiglia.
Fu cresciuto dai nonni, che gli fecero credere che sua madre fosse in realtà sua sorella, un rifiuto che Ted non avrebbe mai superato. Secondo le sue stesse dichiarazioni, crebbe in un ambiente violento, poiché il nonno abusava spesso della moglie.
Nel 1950 si trasferì a Washington con la madre, che un anno dopo avrebbe sposato John Bundy, il quale adottò il piccolo Ted dandogli il cognome con cui sarebbe stato conosciuto in tutto il mondo. Nonostante i suoi tentativi, Ted confesserà di non essere mai riuscito a mantenere un buon legame con il padre adottivo.
Oltre a un’infanzia complicata, segnata da continui rifiuti e da un contesto violento e instabile, Ted Bundy mostrò una personalità ritirata e asociale.
Mostrava anche tratti di quello che oggi considereremmo disturbo della condotta (DSM-V), conosciuto nella sua versione precedente come disturbo dissociale; in molti casi è un indicatore di un futuro disturbo antisociale di personalità (colloquialmente psicopatia).
Vita adulta
Bundy iniziò a studiare psicologia all’Università di Puget Sound. In quel periodo (1967) si innamorò di una compagna di corso, Stephanie Brooks, che decise di porre fine alla loro relazione due anni dopo indicando come ragioni principali l’immaturità di Ted e la mancanza di obiettivi chiari nella vita.
L’uomo non riuscirà a superare l’accaduto e diventerà ossessionato dalla ragazza, inviandole frequenti lettere nel tentativo di riconquistarla.
Decise di abbandonare gli studi per iniziare a svolgere diversi lavori, che lasciava poco dopo. Nel 1969, incontrò Elizabeth Kloepfer, con la quale ebbe una relazione durata cinque anni e riprese anche gli studi, laureandosi qualche tempo dopo.
Nel 1973 entrò all’Università di Washington, dove iniziò gli studi di legge. Definito come uno studente brillante, sempre in quel periodo iniziò a partecipare attivamente alla politica, svolgendo anche un lavoro comunitario (divenne volontario in una centralina che aiutava le donne aggredite sessualmente).
Un serial killer a piede libero
Anche se non c’è nessuna prova corroborante, si crede che Ted Bundy abbia iniziato a uccidere molto prima del 1974, periodo in cui era visto come un cittadino modello la cui vita poteva essere descritta come di successo.
In quell’anno sono stati registrati i primi crimini e omicidi confermati, dopo aver picchiato e aggredito sessualmente Joni Lenz, la sua prima vittima, che sopravvisse ma con danni cerebrali permanenti.
Poco dopo, avrebbe compiuto gli stessi atti con Lynda Ann Healy, che non riuscì a sopravvivere e divenne la prima vittima conosciuta di Ted Bundy. Da questo omicidio, iniziò la sua escalation, e avendo un profilo di vittima ben definito, numerose giovani donne scomparvero.
Ted Bundy stava modificando il suo modus operandi, se prima agiva nel buio della notte, presto scoprì che generalmente le donne si fidavano di lui e così iniziò a commettere omicidi a qualsiasi ora del giorno. Scoprì che era facile manipolare le persone grazie al suo pericoloso carisma. La sua bella presenza gli rendeva inoltre più facile compiere i suoi crimini.
Nel 1975 una macchina della polizia fermò Ted Bundy, nella cui macchina trovò elementi sospetti come leve, manette e nastro adesivo con cui immobilizzava le sue vittime. Finirà per essere arrestato e identificato da Carol DaRonch come l’autore del suo tentato rapimento.
Processi e tentate fughe di Ted Bundy
Il processo contro Ted Bundy iniziò nel 1976 e fu condannato a 15 anni di prigione. Tuttavia, non fu l’unico processo a cui dovette assistere, poiché i resti di altre donne assassinate furono trovati nella sua auto.
In questo secondo processo, decise di rappresentarsi come avvocato, il che gli permise di visitare la biblioteca per preparare la sua difesa, situazione di cui approfittò per fuggire (anche se sarebbe stato catturato sei giorni dopo).
L’anno seguente, fuggì di nuovo. Questa volta aggredì tre giovani donne di una confraternita universitaria, di cui solo una sopravvisse. Attaccò inoltre un’altra giovane donna più tardi.
Rapì e uccise anche una bambina di 12 anni, Kimberly Leach, l’ultima vittima di Ted Bundy. Alla fine fu arrestato in un hotel della Florida dopo che la targa della sua auto fu riconosciuta.
Il 24 luglio 1979, dopo sei ore e mezza di deliberazione, la giuria lo dichiarò colpevole e il giudice lo condannò a morte sulla sedia elettrica per gli omicidi di due ragazze della confraternita del college. A questa sentenza seguì un’altra condanna a morte per l’omicidio della piccola Kimberly Leach.
La fine di Ted Bundy
Ted Bundy, autore confessato della morte di più di 30 donne tra il 1974 e il 1978, lottò fino all’ultimo giorno per sopravvivere, mentre cercava di ritardare il più possibile la data della sua esecuzione (confessando omicidi, offrendo indizi, collaborando alle indagini, ecc.)
Ricevette numerose lettere di fan che sostenevano di amarlo e sposò una di loro, Carole Ann Boone, che credeva nella sua innocenza e con la quale avrebbe avuto una figlia. Fu infine giustiziato sulla sedia elettrica in Florida il 24 gennaio 1989.
“Vogliamo credere di poter identificare le persone pericolose, ma la cosa spaventosa è che non possiamo. La gente non si rende conto di poterlo fare. La gente non si rende conto di vivere con potenziali assassini”. Queste parole di avvertimento non sono state pronunciate da un ufficiale di polizia o da un investigatore dell’FBI, ma da Ted Bundy in persona.
Se siete interessati a saperne di più sulla mente malata di questo serial killer, è disponibile un documentario sulla piattaforma Netflix Conversazioni con un killer: Il caso Bundy, in cui si possono ascoltare per la prima volta le registrazioni estratte da oltre 100 ore di interviste con Ted Bundy nel braccio della morte.
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