Bruno Reidal: viaggio nella mente di un assassino
Bruno Reidal – Confession of a Murderer è una produzione brillante e cruenta che ci immerge nella mente di un assassino. È anche una testimonianza della Francia rurale di inizio Novecento, in cui la scienza si sforza di comprendere l’irragionevolezza, la violenza più sadica e primaria. A tale scopo, riporta a un evento reale accaduto nella regione del Cantal il 1 settembre 1905.
Bruno, un giovane seminarista di 17 anni, uccide un ragazzo di 12 anni, decapitandolo. Da questo episodio proviamo a scoprire perché. E quello che scopriamo ha sicuramente la stessa oscurità, la stessa carica di terrore.
Una commissione medica ha il compito di decidere se il ragazzo debba essere internato o processato. Una voce fuori campo completamente disumanizzata traccia una storia poco piacevole, ma necessaria.
Il male è una complessa congiunzione: il contesto sociale, l’educazione, la famiglia e alcune componenti biologiche guidano il comportamento.
Il comportamento sadico e violento, la morbosa curiosità che anela a nuocere, torturare e uccidere. Bruno è un individuo che si stacca dalla società, ma sapendo che c’è qualcosa di inquietante in lui, non può reprimere i suoi bisogni violenti.
Malinconico, taciturno, astuto e abituato a nascondere i suoi sentimenti. Così nel 1905 la commissione medica descrisse Bruno Reidal.
Bruno Reidal – Confession of a Murderer: qual è l’origine del male?
“A volte mi sento tormentato da pensieri omicidi, ma non sono malato, non sono pazzo. Non voglio esserlo”. La voce e i pensieri del protagonista ci guidano per tutto il film. Bruno Reidal – Confession of a Murderer è lo straordinario debutto di Vincent Le Port, regista influenzato da Michael Haneke e Robert Brensson.
Il film ha avuto un enorme impatto al Festival di Cannes 2021, dove è stato presentato in una proiezione speciale. Le recensioni positive si sono poi susseguite.
Il modo in cui sonda gli abissi umani del tormento e della spinta alla violenza affascina lo spettatore e lo confonde. Perché non è mai facile capire il ritratto di un criminale.
“Qualunque cosa facessi, il crimine mi risultava affascinante.”
La lucidità dietro il sadismo
Nel momento in cui la commissione medica chiede al giovane Bruno Reidal di raccontare la sua vita, scopriamo qualcosa. La voce del ragazzo è chiara, fluente e con una squisita bellezza letteraria.
Ci troviamo davanti a una mente brillante, educata in uno scenario opprimente. Presto verremo travolti dalla psicologia del male e dai suoi meccanismi, dagli eterni conflitti tra ragione e pulsione orchestrati dalla nevrosi e dalla psicopatia.
La ricostruzione da parte del regista della storia originale è impeccabile. Non è un semplice “vero crimine”, si è trascinati dai pensieri e dalla coscienza del protagonista. Non c’è giudizio esterno e si sceglie sempre una distanza etica. Lo spettatore funge da testimone e giudice della sadica vicenda raccontata in dettaglio con chiara lucidità.
La dissezione di un crimine nella mente dell’assassino
La storia della sua breve vita che Bruno Reidal svela davanti alla commissione medica rasenta la psicoanalisi, la filosofia e il tormento. Entriamo in un’infanzia segnata da troppi fratelli e da un padre affettuoso che muore presto. La madre alcolizzata e violenta funge da catalizzatore per una mente già intrisa di odio, gelosia, frustrazione e noia.
Da bambino detestava già i compagni di classe. Non ci volle molto perché volesse fuggire dall’ambiente di povertà in cui viveva sfruttando le sue elevate capacità cognitive. Entra in seminario e lì nutre un odio ancora profondo verso gli altri studenti della classe benestante. La retorica religiosa è un altro elemento con cui dibatte, con cui conduce i suoi conflitti tra colpa e fede.
La violenza e il desiderio di fare del male non agiscono in lui solo come una fantasia catartica. L’idea dell’omicidio lo perseguita e lo travolge, risvegliando in lui un profondo desiderio sessuale.
Non tarda a scoprirlo a seguito del fascino provato per l’uccisione di un maiale. La masturbazione, di fatto, è l’elemento ripetitivo con cui si evidenzia il piacere provato all’idea di far soffrire gli altri.
Il film cerca di farci capire come si diventa un assassino. In questo caso, è stato possibile essere più vicini che mai al criminale grazie alla verbalizzazione delle sue sofferenze, al legame con una madre violenta, ad abusi sessuali e uno sviluppo emotivo e cognitivo in uno scenario sfavorevole.
Bruno Reidal, carnefice e vittima dei suoi abominevoli impulsi
La produzione di Vincent Le Port è più di un film biografico. Bruno Reidal – Confession of a Murderer è una radiografia del terrore, un ritratto squisito e tragico della mente psicopatica che lotta contro se stessa. Il giovane mostra grande lucidità nella sua storia, facendo convergere il mostruoso con l’umano.
Perché sebbene sia stato inutile combattere contro i suoi istinti abominevoli, la sua disperazione di dover convivere con quell’altro Io squilibrato è epica. Anche comprensibile. La bellezza visiva della pellicola è immensa. Non importa che le scene approfondiscano la crudezza di un crimine e che molto spesso siano cruenti e scomode.
C’è una certa poesia in ogni dettaglio, in ogni paesaggio, gesto e ragionamento del giovane. E vedere un barlume di bellezza nell’anatomia del trauma e dell’irragionevolezza produce un impatto ancora maggiore sullo spettatore. Un film d’esordio imperdibile per chi desidera esplorare la mente assassina.
In un certo senso, ricorda molte serie televisive come Mindhunter. Viaggi nel buio, viaggi da cui spesso si parte con più domande che risposte.
Immagini appartenenti al film Bruno Reidal: confessione di un assassino (2021)