Essere coraggiosi significa raccogliere i pezzi e ricostruirsi
Nessuno saprà mai quante volte vi siete rialzati dopo esservi frantumati a pezzi. Solo voi sapete dove si trovano i segni delle vostre cicatrici, quelle che avete ricucito poco per volta. Perché essere coraggiosi non significa non provare sofferenza o dolore, ma andare avanti nonostante il passato.
Spesso i neurologi e i biologi ci ricordano che il nostro cervello è evolutivamente preparato per sopravvivere ad ogni tipo di avversità. Ebbene, ogni volta che l’amarezza e la sofferenza bussano alle nostre porte, ci domandiamo “perché proprio a me?”. Quando succede, sostituite questa domanda con “A quale scopo?”.
Pochi momenti nella vita richiedono tanta forza come quelli in cui percepiamo che il nostro Io interiore è distrutto e restano solo detriti. La depressione, i traumi, le disillusioni e le perdite sono momenti di grande difficoltà. Istanti in cui si mette alla prova il proprio coraggio.
Vi invitiamo a riflettere su questo argomento.
Il coraggio di rinascere più forti dopo essere stati deboli
In Giappone esiste una tecnica chiamata “Kintsugi“ mediante la quale si riparano gli oggetti in ceramica rotti. Si realizza utilizzando un collante forte, sopra il quale si applica della polvere d’oro. La Kintsukuroi è un’arte delicata ed eccezionale, grazie alla quale si cerca di restituire agli oggetti la loro forma originale.
Per i giapponesi, ricongiungere quei pezzi rotti utilizzando l’oro o l’argento conferisce ad ogni oggetto una vitalità e una storia unica. Questi oggetti, inoltre, che prima erano fragili, diventano poi molto resistenti, oltre che belli. La cura dell’oro li rende infrangibili.
Come disse Ernest Hemingway, “Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati”. Per questo motivo, vale la pena assimilare questa magnifica metafora: quando qualcosa di prezioso si rompe, un modo per ricostruirlo è non nascondere la sua fragilità.
Perché quei vincoli sofferti possono essere riparati grazie alla resilienza, grazie all’atteggiamento di voler superare tutte le difficoltà e di voler rimarginare con l’oro ogni ferita, ogni buco, ogni sogno distrutto e risplendere di nuovo, ancora più forti.
Strategie per ricomporre i pezzi rotti
Anche se la neuroscienza sostiene che tutti possiamo essere “resilienti”, questa capacità non è poi così facile da mettere in pratica. Difatti, secondo alcuni dati, solo il 30% della popolazione riesce, ad esempio, a superare un trauma.
Raccogliere i nostri “cocci” non è facile, ma neppure impossibile. Il cervello umano ha circa 100.000 milioni di neuroni che creano, a loro volta, miliardi di connessioni neuronali. È una cosa meravigliosa.
Se accettiamo che tutti, in qualche modo, siamo architetti del nostro cervello, accetteremo anche il fatto di essere capaci di accendere il nostro coraggio personale, la nostra forza e l’ottimismo per favorire il cambiamento. In questo modo, si produrrà una guarigione che rifletterà l’arte del Kintsukuroi, grazie alla quale ci trasformeremo in persone molto più forti.
Curare il trauma nei nostri meccanismi psichici e cerebrali
Prima di tutto è necessario capire che il cervello, oltre ad essere un organismo diretto dalle emozioni, è un affinato e complesso organo che comunica attraverso impulsi elettrici. Quando si verifica un trauma o si soffre di depressione, cambia l’intensità di questi. Per questo motivo, ci è così difficile concentrarci e stare al passo in un mondo che va troppo veloce per poter seguire il suo ritmo.
- Dovete capire che avete bisogno di tempo. In un certo modo, l’idea dei pezzi rotti assomiglia a ciò che succede nel nostro cervello quando attraversiamo questi momenti di crisi. Più che rotto, è disconnesso.
- Poco a poco ci riconnetteremo con noi stessi e con la realtà che ci circonda. È questo il momento più difficile, perché affioreranno di colpo tutte le emozioni: l’ira, la tristezza, il pianto… Non conteneteli, ma favorite lo sfogo emotivo.
- La terza parte richiede di agire. È il momento di applicare il collante della tecnica Kintsukuro, per prendere il controllo, accettare l’aiuto, il supporto e per riavvicinarsi nuovamente al normale ritmo della vita.
- L’ultima fase, quella decisiva, è la reintegrazione. In questa fase bisogna essere in grado di riconoscere i propri cambiamenti. Le esperienze traumatiche sono come ossa rotte dell’anima, ferite da curare per ricominciare a camminare, per riprendere il proprio ritmo. È in questa fase che ricopriremo le nostre ferite con la polvere d’oro.
Perché non siamo più gli stessi di prima. Che ci crediate o meno, se vi impegnerete, sarete incredibilmente più forti.