La mia diagnosi è semplice: non c’è cura possibile

La mia diagnosi è semplice: non c’è cura possibile
Raquel Aldana

Scritto e verificato la psicologa Raquel Aldana.

Ultimo aggiornamento: 14 dicembre, 2021

La mia diagnosi è semplice: so che non c’è cura possibile. Non c’è cura, perché la mia filosofia di vita è “patti chiari e amicizia lunga”. Non c’è cura, perché mi piace che mi abbraccino senza un motivo.

Di certo, neanche per voi c’è una cura possibile, perché vi piace fare le cose per bene e a volte piangete senza sapere perché. Forse anche voi siete affascinati dalla gente che, con la sua energia, contagia le emozioni altrui.

Di certo, anche a voi piace la gente che vibra ed è probabile che vi piaccia impegnarvi affinché la vostra realtà superi i sogni che coltivate da tempo e per i quali lottate giorno dopo giorno.

Non c’è cura possibile, perché a volte vi arrabbiate senza motivo e il mondo vi crolla addosso quando qualcosa non va come vorreste. Non c’è cura. perché non riuscite a contare fino a tre prima di sbottare, come consigliano gli esperti.

diagnosi 2

Non c’è cura, perché non sono capace di mangiare cinque volte al giorno, di dormire otto ore a notte o di pensare a me stessa prima che agli altri. Non c’è cura, perché mi aspetto che quella persona voglia passare del tempo con me.

Non c’è cura, perché non sono sempre capace di lasciare andare e di dire addio a ciò che mi fa male. Non è che mi piaccia aggrapparmi alle cose, è solo che mantengo viva la speranza che accada un miracolo. Non posso evitarlo, sono irrazionale anche se provo a cambiare questo mio aspetto. Di sicuro, anche per voi è così.

Non c’è cura possibile, perché sono pienamente convinta che le cose difficili siano quelle che valgono la pena e perché so che devo collezionare motivi per andare avanti.

Mi piace mostrare un sorriso ogni giorno, ma so che non è sempre necessario, che anche la tristezza mi fa bene e capisco quando il mio corpo vuole piangere, riposare e sconnettersi per un momento.

Non mi piacciono le persone false né quelle che mi dicono cosa devo fare, come devo essere o se posso essere triste o meno.

diagnosi 3

Non c’è cura possibile, perché mi piace ascoltare le storie di vita degli altri, scrutare il loro volto e cogliere le loro espressioni. Non c’è cura, perché non sopporto che mi dicano bugie, ma so che c’è qualcuno che lo fa.

Non c’è cura, perché per me non è tutto bianco o tutto nero, per me il mondo è pieno di grigio, di rosa, di azzurro e di giallo. Non ho un colore preferito, perché tutti mi emozionano a loro modo.

Non c’è cura possibile, perché so che posso ancora emozionarmi ricordando il mio primo amore e sono sicura che ciò non mi impedisce di amare follemente la persona che c’è ora nella mia vita.

diagnosi 4

Non c’è cura possibile, perché nella mia vita ci sono Persone e persone. Persone con la “P” maiuscola ed altre con la “p” minuscola, perché ho capito che in amore ci sono gerarchie o, se non altro, c’è un tipo diverso di affetto dedicato ad ogni persona del mondo.

Non c’è cura possibile, perché a volte sono critica ed incoerente. Non c’è cura possibile, perché penso che in questo mondo in cui tutti vanno di fretta valga la pena amare, perché so che ci sono i punti cardinali e perché so che posso perdere il nord per qualsiasi sciocchezza.

Non mi vergogno a dire che il disamore mi crea panico, che a volte temo la solitudine e che piango quando penso che un giorno perderò qualcuno.

Siamo autentici nella diversità

Non c’è cura possibile quando le mie stranezze dicono tutto di me, quando mi innamoro delle cose genuine, di quelle infantili e di quelle inaspettate. Mi dicono spesso che non dovrei comportarmi così, che sono già troppo grande per questo.

Ed io rispondo che non sono affatto troppo grande, che ho solo accumulato gioventù e che vivrò la vita come voglio fino a che non arriva la mia stagione finale.

Perché so che la vecchiaia è uno stato spirituale, non una fase della vita. È inevitabile compiere gli anni, ma ho deciso che per me non c’è cura e che, finché sarà in mio potere, sarò un faro sempre acceso.

Riconosco che non è facile non avere una cura, soprattutto perché fare tesoro di tutti i ricordi, a volte, fa male. È complicato giustificare che ho passato tre mesi interi a fare ed ascoltare le stesse cose tutti i giorni. A vedere le ore scorrere una dietro l’altra, ad impostare la sveglia alla medesima ora, a mandare gli stessi messaggi di Whatsapp, a promettermi cose che non accadranno mai.

diagnosi 6

È a quel punto che mi dico che la prossima settimana sarò pronta a un totale cambiamento, ma se penso bene a quelle sveglie e a quei messaggi di Whatsapp capisco che non sono loro a definirmi e a scrivere la mia storia.

La mia storia la scrivo io con i miei punti, le mie virgole, i miei punti di esclamazione e di interrogazione, le mie maiuscole e i miei punti cardinali. È questo non permette che ci sia cura possibile per me, perché è così che sono IO.

Non c’è cura possibile per me, e neanche per voi, per altrettante ragioni. Perché ognuno di noi ha mille storie e cento cicatrici. Sono queste a renderci autentici e speciali, a renderci intimamente noi stessi con così tanto e così poco in comune.


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