Il cervello elabora il disgusto: in che modo?
Il disgusto è una delle emozioni primordiali e ci ha aiutato a sopravvivere nel corso della nostra evoluzione. Nonostante sia una delle emozioni dimenticate dalla psicologia, abbiamo a disposizione informazioni a sufficienza su come il cervello elabora il disgusto: una sensazione fortemente sgradevole verso alcune sostanze o oggetti, che produce il noi il bisogno di cacciarli, allontanarli o rifiutarli.
Viene considerata una delle sei emozioni basilari, riconosciuta in tutte le culture e dalle persone con limiti sensoriali. Si manifesta con una caratteristica espressione facciale: sollevamento del labbro superiore, espressione corrucciata e abbassamento degli angoli della bocca.
È accompagnata da abbassamento della pressione, riduzione della risposta galvanica della pelle, nausea, rallentamento del ritmo cardiaco, sentimento di avversione, allontanamento dell’oggetto, alterazioni della respirazione e tipiche vocalizzazioni (ad esempio, “bleahh!”).
La natura del disgusto
Il cervello è stato modellato dalla nostra esperienza in quanto specie e individui. Così, prima di avere un sistema immunitario sviluppato, potevamo contare su una sorta di sistema immunitario comportamentale.
Questo sistema più elementare fungeva da barriera protettiva verso il contatto con parassiti e altri potenziali danni per il nostro organismo.
Il vantaggio che da sempre apporta provare disgusto è quello di prevenire le malattie. Così, nonostante le differenze culturali su cosa provochi disgusto, le principali cause scatenanti di questa emozione sono:
- Secrezioni corporee e parti del corpo: feci, saliva, sangue, ferite, vomito, piedi, ecc.
- Cibo putrefatto.
- Alcuni esseri viventi, quali insetti, lombrichi, ragni…
- Alcune caratteristiche di persone sconosciute o diverse da noi.
- Violazioni di norme sociali o morali.
Nonostante si tratti di un’emozione naturale, bisogna considerare che alcuni aspetti del disgusto sono acquisiti, il che determina differenze culturali o di sviluppo. Per esempio, i bambini fino ai due anni sembrano non provare disgusto.
Tuttavia, questo potrebbe essere spiegato dal fatto che fino a quell’età sono protetti dalle cure dei genitori e che la nostra specie alla nascita è piuttosto immatura e vulnerabile. È a seguito dell’osservazione dei comportamenti dei genitori che si acquisiscono progressivamente le emozioni.
Il disgusto per il cervello
Per sapere in che modo il cervello elabora il disgusto bisogna tenere conto di due aree fondamentali: l’insula e il sistema limbico (amigdala e ippocampo).
- L’insula riceve informazioni attraverso i sensi e invia informazioni o stimoli a tutte le strutture, come il sistema limbico, lo striato ventrale e la corteccia orbitofrontale. Questa regione sembra essere incaricata di elaborare il disgusto, ma anche di riconoscere espressioni di disgusto in altre persone.
Nelle persone con malattia di Huntington, in cui è coinvolta l’insula, questa emozione risulta alterata. Inoltre, lo stimolo dell’insula provoca nausea.
- Il sistema limbico, e nello specifico l’amigdala, è associato all’elaborazione delle emozioni negative, come la paura e il disgusto, e all’apprendimento. Di recente un gruppo formato dai membri dell’Università di Granada e dell’Università Autonoma della Bassa California ha individuato la regione specifica dell’amigdala che produce il meccanismo di rifiuto verso sapori sgradevoli.
In che modo il cervello elabora il disgusto?
Fino a ora gli studi scientifici avevano associato il disgusto a determinate aree del cervello, catturando immagini dell’area coinvolta. Ora, grazie a tecnologie come la risonanza magnetica funzionale, è possibile osservare in che modo viene elaborato il disgusto nel cervello in modo dinamico.
È quanto ha fatto un gruppo di ricercatori catalani l’anno scorso. Hanno sottoposto una trentina di persone a risonanza magnetica, durante la quale guardavano video della durata di 6 minuti che rappresentavano alimenti appetitosi, seguiti poi da sei minuti di cibi e altri oggetti sgradevoli (scarafaggi e uomini che mangiavano lombrichi, per esempio).
I risultati hanno dimostrato che a distanza di circa 40 secondi dall’osservazione di immagini sgradevoli, il cervello continua a elaborare questa emozione. Inoltre, le immagini hanno dimostrato che dinnanzi a una scena o a un oggetto disgustosi non solo si attiva una parte del cervello tra quelle precedentemente indicate, ma si attiva quasi la metà del cervello.
Per quanto riguarda l’elaborazione in sé, gli scienziati hanno individuato l’esistenza di tre fasi:
- Compare lo stimolo e il cervello inizia ad attivare meccanismi di difesa e di autoconservazione, anche se il soggetto non ne è cosciente.
- Una seconda fase è quella dello stato di allerta cosciente, in cui lo stimolo negativo viene già elaborato in modo cosciente.
- Una terza fase di assimilazione, in cui la sensazione di disgusto viene memorizzata. Questa fase può durare fino a 26 secondi dopo lo stimolo.
Disturbi associati al disgusto
Potrebbe succedere di provare un disgusto eccessivo o persino stimoli che inizialmente non avrebbero dovuto provocarlo. Sono diversi i disturbi psicopatologici associati o che hanno una componente particolare associata a tale condizione.
Ne sono un esempio alcuni disturbi d’ansia, come il disturbo ossessivo-compulsivo verso la pulizia e l’ordine, in cui si presenta un’eccessiva preoccupazione associata al contagio di germi e sporcizia.
In alcune fobie la componente del disgusto è cruciale, come nella paura del sangue o nella fobia sociale. Per quanto riguarda quest’ultima, sembra che in alcuni casi la persona provi una certa repulsione o avversione a relazionarsi ad altre persone. La ricerca sta cercando di fare luce anche sul ruolo del disgusto nei disturbi del comportamento alimentare.
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