Inno alla gioia di Beethoven
Sono passati quasi due secoli e l’Inno alla gioia di Beethoven rimane un simbolo di speranza, pace e comunione. Una magistrale celebrazione musicale che provoca un turbinio orrente di emozioni positive. La vita sembra sempre bella quando si ascolta questo brano.
Per il suo creatore era piuttosto un inno alla rabbia e alla redenzione. In un momento in cui per lui i suoni non esistevano più e si sentiva devastato dalla peggiore maledizione per un musicista, la suddetta composizione era un inno allo sforzo e alla sopravvivenza artistica.
Riuscì a creare un’opera colossale. Il giorno della prima non era consapevole dei calorosi applausi del pubblico, di quanto gli ascoltatori fossero entusiasti. Non sentiva nulla.
Dovette osservarli per capirlo, a quel punto si fermò per ringraziare. Era ancora alla fine della seconda strofa e buona parte del brano ancora da eseguire.
“Inno alla gioia” è una poesia composta da Friedrich Schiller nel 1785, il cui titolo originale è “An die Freude” (“Alla gioia” in tedesco) e a cui Beethoven ispirò il suo lavoro.
Come è stato concepito l’Inno alla gioia
Quando era ancora solo un adolescente, Ludwig van Beethoven fu attratto dall’idealismo trascendentale e dall’Illuminismo. Era frequente vederlo alle lezioni che Immanuel Kant teneva all’Università di Bonn. Qui scoprì anche la poetica di Friedrich Schiller.
Aveva poco più di 15 anni quando rimase affascinato da “Inno alla gioia”, poesia che rappresentava l’essenza di giustizia nell’Europa di quegli anni. Schiller sottolineò i valori che lo spirito dell’Illuminismo avrebbe dovuto promuovere, come la libertà, la giustizia e la felicità umana.
Il benessere e la felicità del cittadino avrebbero dovuto rappresentare gli obiettivi principali della politica, solo allora la pace e l’armonia sociale sarebbero stati possibili.
Quell’ode era, secondo il suo autore, un bacio per tutti. Beethoven desiderava dare voce al poema, creare la musica che avrebbe trasmesso universalmente quei nobili propositi.
“O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.Gioia, bella scintilla divina,
figlia dell’Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò,
ogni uomo s’affratella
dove la tua ala soave freme.”-Strofa riscritta da Beethoven per il suo brano musicale Inno alla gioia-
Quando cadde l’oscurità sull’Europa e su Beethoven
Il sogno dell’Illuminismo e la sua promessa di felicità rimasero poco più che un miraggio. Pochi decenni dopo, la Francia cadde nel Regno del Terrore e più di diecimila teste vennero ghigliottinate.
Friedrich Schiller morì considerando il suo Inno alla gioia un assoluto fallimento, un’assurda entelechia di cui si vergognava viste le circostanze. La fantasia idealistica finì per scontrarsi con la dura realtà.
Nemmeno l’arte, la scrittura e la poesia erano state in grado di trasformare le menti degli uomini, sempre così avidi di violenza. I tempi rivoluzionari che stava vivendo l’Europa erano così oscuri che anche la musica del giovane Beethoven smise di essere fresca e leggera per acquisire accordi più turbolenti.
Aveva poco più di 30 anni quando scrisse quello che è noto come il Testamento di Heiligenstadt, con il quale spiegava ai suoi fratelli la sua disperazione. Stava diventando sordo, straziante per un musicista, al punto che pensò persino di togliersi la vita.
Beethoven concepiva la sua musica come rivoluzionaria e unica. Di fronte alla progressiva e irreparabile perdita dell’udito, si rivolse ossessivamente e febbrilmente alla composizione. Ecco che l’Inno alla gioia di Schiller echeggiò di nuovo nella sua mente.
La Sinfonia n. 9 è l’ultima sinfonia completa di Beethoven, ben diversa dalle otto che la precedono.
L’Inno alla Gioia e il desiderio di illuminare l’umanità (e se stesso)
La Sinfonia n. 9 o Inno alla gioia è stata l’ultima della sua carriera musicale. Quando la scrisse, aveva già perso l’udito ed era provato dall’isolamento, la malattia, il cuore spezzato da molteplici amori perduti, depressione e idee suicide.
La sua ossessione di comporre un brano musicale ispirato alla poesia di Schiller divenne la sua forza. Ciò che gli permise di emergere dall’oscurità.
Beethoven sperava che il suo Inno alla gioia illuminasse l’umanità e ravvivasse i valori di speranza, libertà e pace tra tutti i popoli. La sua musica doveva pulsare fino a raggiungere i cieli e il cuore di tutte le persone. Allo stesso modo, la sua sinfonia fungeva anche da faro interno per se stesso.
Si dice che in un’occasione, impegnato a tradurre in musica la poesia di Schiller ventisette anni dopo averla scoperta, perse la cognizione del tempo. Cominciò a camminare assorto, vestito appena e immerso nei suoi pensieri. Le autorità lo arrestarono credendo che fosse un vagabondo pazzo.
Una volta chiarito l’accaduto, il sindaco in persona lo riaccompagnò a casa in carrozza. Arrivato a casa, la sua mente brulicava di idee. La sua ispirazione era così vorace, elettrica e incandescente che riuscì a portare a termine l’opera.
Dalla sua oscurità interiore riuscì a illuminare il mondo di speranza attraverso il suo ormai indimenticabile Inno alla Gioia.
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