La disperazione, il dolore provocato dalla depressione
La disperazione è l’eco che emerge dal vuoto. È la rabbia che segue quando si è persa ogni speranza, è la tristezza trasformata nel lamento di chi crede di aver perso tutto e non percepisce più la luce al’orizzonte né il significato del suo presente. Pochi stati psicologici possono rivelarsi tanto pericolosi come questa cima in cui la persona non sa più che strada prendere o di che sentiero fidarsi.
Sappiamo che la disperazione è un’esperienza umana comune. Ne hanno parlato per secoli diversi filosofi tra cui Søren Kierkegaard, che l’ha definita come mancanza di spirito, senso e sfida. Jean-Paul Sartre, da parte sua, affermò che in questa dimensione esiste una frustrante incapacità di andare avanti, così come un pessimismo quasi codardo e spesso insinuato dalla stessa società.
“Ma ciò che chiamiamo disperazione è in realtà la dolorosa impazienza della speranza non alimentata.”
-George Eliot-
Da un punto di vista psicologico, nessuno ha approfondito la disperazione umana alla pari di Viktor Frankl. Il padre della logoterapia, sopravvissuto a diversi campi di concentramento nazisti, definì questo concetto tramite idee molto semplici: sofferenza e perdita di senso.
Queste esperienze sono senza dubbio le più desolanti per una persona, ciò nonostante è possibile sopravvivere a esse. Tocca a noi sfidarle e affrontare la vita con nuove e migliori risorse.
Disperazione in psicologia: un’emozione angosciante
Se privassimo una persona dei suoi propositi, della visione che ha degli stessi e del significato che dà alla propria vita, finiremmo per catapultarla nella disperazione più assoluta. Così, sebbene spesso definiamo questa dimensione come un miscuglio tra tristezza e mancanza di speranza, è bene segnalare che va oltre.
Disperazione è sinonimo di vuoto, del cadere in uno stato mentale dove nessuna delle nostre domande trova risposta. È comune, in questa fase, che nascano interrogativi del tipo: che senso ha la vita? Cosa ci faccio io al mondo? Cosa posso fare in questa situazione se nulla ha senso? Questi interrogativi non fanno che alimentare il ciclo della disperazione, trasportando la persona in un angolo di oscurità psicologica dove resta intrappolata.
Alimentata dall’ansia
Lo studio condotto dal Dottor Martin Bürgy, dell’Università di Stoccarda in Germania, indica che fino a poco tempo fa la disperazione veniva trattata come un fenomeno psicopatologico di scarso rilievo. È stata relegata per decenni all’universo filosofico legato soprattutto ai problemi esistenziali.
La psicologia cognitiva sottolinea, invece, l’importanza clinica di questa emozione. La disperazione può apparire puntualmente nelle nostre vite. Possiamo avvertirla quando in un dato momento tutto sembra andare contro di noi, facendoci sentire bloccati e persi. Ma ci sono anche casi in cui la situazione si complica.
Ciò accade quando cadiamo all’interno dei cicli di pensieri ossessivi che alimentano la negatività e la vulnerabilità. A questi pensieri negativi si aggiunge una complessa trama di emozioni come la tristezza, l’angoscia, la rabbia, la frustrazione…
In altre parole, è facile che inizialmente la disperazione appaia come risultato dell’ansia. Se la situazione si mantiene nel tempo, la persona soffrirà quasi inevitabilmente di un disturbo depressivo.
La disperazione obbliga ad affrontare se stessi
La depressione portata al suo estremo finisce per generare nella mente di chi ne soffre idee estreme. L’idea del suicidio è il risultato della perdita totale di senso e speranza, senza dubbio l’aspetto più pericoloso in questi casi e per cui diventa cruciale disporre di un aiuto psicologico.
È dunque comune che la disperazione si manifesti come una costante nel caso di depressione maggiore e anche nel disturbo bipolare. Si tratta di situazioni delicate che richiedono un trattamento farmacologico oltre alla terapia psicologica. Come abbiamo segnalato all’inizio, queste realtà possono essere superate grazie all’aiuto specializzato e al proprio impegno.
Per riuscirci, occorre riflettere su alcune questioni.
L’ira che nasce dalla disperazione può essere d’aiuto
L’ira è a oggi un’emozione sconosciuta. È energica, potente, rivendicativa, e se la canalizziamo bene, può aiutare a trasformare le situazioni.
La disperazione è fatta anche di quella rabbia che non ci fa trovare un senso a nulla. Si è arrabbiati con se stessi e anche con il mondo. Ma questo, anche se può sorprenderci, è positivo. Sarebbe peggio se si provasse apatia, immobilismo, senso di vuoto o totale indifferenza.
Se proviamo a canalizzare la rabbia a nostro favore, le cose potrebbero pian piano cambiare e trovare un nuovo equilibrio. Bisogna solamente incanalare l’energia, così che il potenziale positivo si sprigioni nella nostra realtà.
Faccia a faccia con se stessi per ricominciare
C’è chi dice che la disperazione è la prigione dell’Io. È il nostro lato più buio, quello che ci vuole deboli e persi. Carl Jung sosteneva che il proposito della terapia psicologica è la trasformazione e, soprattutto, il raggiungimento di un’individualizzazione che permetta al paziente di trovare il proprio senso vitale.
La disperazione ci obbliga a parlare con noi stessi, a vedere il peggio del nostro essere. Per questo motivo, è nostro obbligo accettare la nostra “ombra”, così definita da Jung, per imparare poi a farne a meno. Dobbiamo raggiungere quel lato luminoso e forte in cui ritrovare la speranza e la sicurezza. È un viaggio sicuramente non privo di difficoltà, ma senza dubbio che vale la pena iniziare per lasciarsi alle spalle la sofferenza.
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