Neurobiologia dello psicopatico: quando il cervello perde l'umanità

Neurobiologia dello psicopatico: quando il cervello perde l'umanità
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

La neurobiologia dello psicopatico ci rivela che il cervello delle persone con questo disturbo della personalità funziona in maniera diversa. Al di là della mancanza di empatia, esistono altri fattori singolari che lasciano un’impronta cerebrale in quell’1% della popolazione che, secondo quanto dicono gli esperti, potrebbe presentare tratti di psicopatia significativi.

Ascoltando la parola “psicopatia”, potrebbero venirci in mente subito nomi come Caharles Manson o Ted Bundy. Questi profili psicologici suscitano fascino e interesse in molte persone, e per questo sono stati spesso oggetti di film e serie televisive seguite da molti. La perversità e il lato oscuro del nostro ideale di umanità ci intrigano e ci terrorizzano al contempo.

“Il mondo non è minacciato dalle persone cattive, ma da tutti quelli che permettono la cattiveria.”

-Albert Einstein-

Tuttavia, esiste un aspetto che a volte sottovalutiamo. Libri come The Psychopath Test del giornalista, ricercatore ed esperto sul tema Jon Ronson ci rivelano che quasi il 4% degli amministratori delegati delle grandi imprese presentano tratti psicotici. Il succo di questo discorso è molto semplice: la personalità psicopatica non si manifesta solo sotto forma di omicidi seriali o nell’indurre altri a farlo (come fece Charles Manson).

In questo profilo rientrano anche persone con le quali abbiamo a che fare tutti i giorni. Proprio come ci spiega Jon Ronson, viviamo in una società che (in certi casi) è orientata e strutturata per ricompensare chi manipola, inganna e arriva al potere calpestando i bisogni e i diritti altrui.

Ebbene, il bisogno di dominare e di aggredire in maniera implicita o esplicita non appare per caso, bensì si edifica su basi biologiche che è bene conoscere.

Uomo con maschera

Neurobiologia dello psicopatico

Prima di approfondire il tema della neurobiologia dello psicopatico, è importante definire com’è e come agisce una persona affetta da questo disturbo della personalità. A grandi linee, possiamo dire che lo psicopatico è colui che non può o non sa amare (non ha questa capacità). È una persona che non prova empatia, che è abile a manipolare ed è un eccellente stratega della bugia.

Lo psicopatico padroneggia la dote della persuasione, è affascinante e risponde con freddezza alle situazioni di stress o angoscia. Ad oggi, disponiamo di uno strumento molto valido per misurare questa dimensione: il test di psicopatia di Hare. Questo strumento ci consente di valutare il grado di psicopatia di una persona attribuendole un massimo di 40 punti.

Il neurobiologo con il gene della psicopatia

Quando si fa riferimento allo studio della neurobiologia dello psicopatico, è quasi obbligatorio parlare del ricercatore James Fallon, neuroscienziato presso l’Università della California a Irvine, uno dei maggiori esperti della personalità psicopatica. Fallon è consulente presso il Pentagono e un punto di riferimento per lo studio della mente criminale.

La cosa curiosa è che lo stesso Fallon presenta il “gene della psicopatia”. Insieme al suo team, Fallon si è occupato per anni di eseguire prove diagnostiche tentando di definire i tratti di questo disturbo. I risultati sono stati inquietanti e rivelatori: il cervello del Dottor James Fallon non era così distante da quello degli individui oggetto di studio ai quali era stato diagnosticato il disturbo di personalità psicopatica.

Questo dato non era del tutto casuale, nell’albero genealogico del Dottor Fallon possono essere identificati fino a 7 assassini. Tra di loro troviamo Lizzie Borden, donna conosciuta come l’assassina dell’ascia per aver ucciso e fatto a pezzi i suoi genitori. Il celebre neuroscienziato e punto di riferimento assoluto in questo campo lascia intendere che il gene della malvagità esiste, ma affinché si manifesti devono verificarsi una serie di fattori scatenanti.

Vediamo di seguito alcuni dati che ci permetteranno di comprendere meglio quest’idea.

Neurobiologia dello psicopatico Dottor Fellon

Materia grigia ridotta

In un interessante studio portato a termine nel 2012 presso il King’s College London è stato provato un fattore che lo stesso Dottor Fallon aveva già osservato nel 2006. Le persone a cui è stata diagnosticata la psicopatia presentano meno materia grigia nella corteccia prefrontale rostrale anteriore e nei poli temporali.

Cosa vuol dire? Quest’anomalia, senza dubbio tra le più caratteristiche della neurobiologia dello psicopatico, svela il motivo della mancanza di empatia e della difficoltà a provare il senso di colpa.

Godere del dolore altrui, ma non del proprio

Abbiamo accennato a uno dei tratti della personalità dello psicopatico: la mancanza di empatia. Ebbene, esiste in realtà una leggera sfumatura da sottolineare: queste persone provano empatia, ma solo nei loro confronti. Questo dato è stato evidenziato dagli esperti di uno studio dell’Università di Cambridge e pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience nel 2013.

La ricerca ha previsto la realizzazione di 121 risonanze magnetiche su soggetti psicopatici. Alla vista di persone che provavano dolore, i loro cervelli non reagivano. L’unica reazione venne ottenuta quando i ricercatori chiesero loro di immaginare se stessi in quella stessa situazione.

Ma il bello doveva ancora venire. I ricercatori scoprirono che quando queste persone vedevano gli altri soffrire o sperimentare dolore, l’attività del loro corpo striato aumentava. Quest’area del cervello umano è molto interessante in quanto è legata al processo di ricompensa, alla motivazione, al piacere e alla presa di decisioni.

Il fatto che tale area presentasse una maggiore attività metteva in luce una realtà schiacciante: gli psicopatici godono nel vedere gli altri soffrire.

Esiste il gene della malvagità?

Più che un gene della “malvagità”, esistono varianti genetiche che definiscono una maggior tendenza alla violenza, come i geni CDH13 e MAOA. I neuroscienziati dell’Istituto Karolinska hanno rivelato che possiamo ereditare queste varianti dai nostri genitori, sebbene non tutti arriviamo a manifestarli.

Se si prende come riferimento il caso del neuroscienziato James Fallon, lui stesso possiede i tratti e le alterazioni cerebrali tipiche della psicopatia. Tuttavia, oltre a una certa tendenza al rischio e certi problemi legati al controllo degli impulsi, Fallon non ha mai evidenziato altri tratti psicopatici. Questo potrebbe essere dovuto a due fattori: l’infanzia vissuta e l’educazione ricevuta.

Il Dottor Fallon è sempre vissuto in un ambiente affettuoso e con una famiglia che lo ha saputo educare in modo corretta. Non gli è mai mancato l’affetto e direttive chiare sul comportamento da adottare, inoltre ha trascorso la sua infanzia in un ambiente empatico privo di carenze e traumi.

Neuroni

La neurobiologia dello psicopatico ci rivela che spesso tale condizione nasce come un disturbo dello sviluppo. Talvolta può bastare il distacco affettivo, un trauma durante l’infanzia o qualsiasi situazione stressante o angosciante per generare una serie di alterazioni biochimiche che determinano un progressivo cambiamento nel cervello e nell’atteggiamento.

La genetica entra senz’altro in gioco, tuttavia non è determinante: l’ambiente, la crescita e l’educazione sono altrettanto fondamentali. Un altro dato evidenziato dagli antropologi e dagli psicologi e che è importante specificare è che la violenza e i comportamenti psicopatici sono in calo.

Tre secoli fa il comportamento violento e aggressivo era quasi predominante nella nostra società. Al giorno d’oggi, invece, questi comportamenti sono in declino, sebbene facciano fatica a scomparire del tutto. L’1% della popolazione continua ad avere i tratti della psicopatia.


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