Non ci resta che vincere, una lezione di umanità
Il cinema, oltre che intrattenimento, può essere uno strumento capace di veicolare messaggi potenti, di denuncia, critica, rivendicazione. Il filosofo Marshall McLuhan una volta disse che il mezzo è il messaggio. In questo senso, il cinema è un mezzo formidabile. Non ci resta che vincere (Campeones, 2018) di Javier Fesser, ha vinto la 33 edizione dei premi Goya.
Con un tono scanzonato e innocente, Non ci resta che vincere lancia il suo messaggio chiaro e forte: restituire visibilità a chi troppo spesso viene escluso dalla società. Tre premi in tasca accompagnano il successo al botteghino: miglior canzone, miglior film e miglior attore rivelazione (a Jesús Vidal).
Non è semplice fare un film sulla disabilità intellettiva senza cadere nel melodramma o nello smielato; ciò nonostante, questo film abbraccia la diversità con un sorriso, con rispetto e voglia di inclusione. Scommette sul coraggio di chi, giorno dopo giorno, lotta per integrarsi in una società sempre più competitiva ed esigente.
Al di là del messaggio positivo, il film trova spazio per la critica, tutt’altro che ovvia. In un mondo disumanizzato, abbiamo bisogno di sorrisi e di una buona dose di umanità.
Non ci resta che vincere, una campagna di sensibilizzazione
Marco Montes è il secondo allenatore di una squadra di pallacanestro, abituato a partite di alto livello. La sua vita personale non si trova nel suo momento migliore e quella professionale comincia a vacillare. Montes perde il lavoro e dopo un incidente di guida sotto gli effetti dell’alcol, si trova con le spalle al muro.
Deve scegliere tra il carcere e i lavori socialmente utili, ovvero allenare una squadra di pallacanestro composta da persone con disabilità mentale. La scelta, sebbene presa a malincuore, è scontata. Conosciamo presto i componenti della squadra Los Amigos. La situazione per Marco si fa disperata.
A poco a poco si fa strada la consapevolezza, mentre Marco comincia a conoscere la storia di ogni giocatore. Ognuno di loro lotta tutti i giorni come fa chiunque altro. Trovare un lavoro è già di per sé complicato, ma la situazione è drammatica se hai una disabilità.
Una realtà sociale diversa per ognuno di noi
Il film denuncia le mille cose che diamo per scontate, che per molti possono sembrare normali e che non vengono più messe in discussione. Ma la realtà sociale è diversa per ogni individuo. Neanche Marco Montes, a dire il vero, ha avuto la possibilità di giocare a basket, perché privo di un requisito essenziale, l’altezza.
E c’è la faccia più oscura di chi offre un lavoro alle persone con disabilità approfittando delle agevolazioni fiscali per poi disprezzarle, sminuirle, trattarle in modo diverso e denigratorio.
Il film ci ricorda che le nostre azioni possono cambiare la vita degli altri. Marco si mette alla guida sotto l’effetto dell’alcol: un comportamento che può provocare la morte di un’altra persona o un danno irreversibile.
Come detto, una pellicola di questo genere può facilmente cadere nel già visto, nell’amarezza o nel sentimentalismo. Non ci resta che vincere non sfugge del tutto ai cliché, ma riesce ad aggirare il melodramma avvicinandosi a una visione molto più umana.
Umorismo e sport, come trait d’union
Lo sport dovrebbe essere divertimento, superamento dei propri limiti, sforzo. Ma purtroppo questa visione è spesso lontana dalla realtà. E non si tratta solo di sport agonistico, ma della nostra quotidianità. Quante risse nel mondo dello sport, quante gare tra bambini sporcate da un senso distorto della competizione? Non si tratta di squalificare l’intero mondo sportivo o dire che non dobbiamo dare il massimo. Competitività, sì, ma nella giusta misura.
Sembra che in questa lotta a essere i migliori il primo a venire meno sia il rispetto; non importa se calpestiamo o schiacciamo. È qualcosa che da bambini non conoscevamo, ma che con il tempo abbiamo imparato a fare.
Per i bambini, proprio come i protagonisti del film, lo sport è divertimento. Naturalmente a tutti piace vincere, tutti vorremmo vedere premiati i nostri sforzi, ma non siamo giustificati a distruggere il nostro rivale o a disperarci in caso di sconfitta.
Lo sport dovrebbe essere un ponte capace di abbattere barriere e frontiere. Uno strumento che è intrattenimento, socializzazione e, perché no, superamento.
Si lotta per vincere, ma come in ogni battaglia quotidiana, vincere non significa distruggere l’avversario. Questa lezione non ce la darà Marco; gli verrà data da chi ha conservato l’innocenza e la purezza, da chi corre ad abbracciare l’avversario, che abbia vinto o perso.
La macchina dell’umorismo funziona alla perfezione. La comicità affiora di continuo, ma non è mai derisione. Tutti i personaggi riescono a farci ridere, ma non di loro, con loro. È una bella differenza.
Non ci resta che vincere, una lezione per tutti
Si può imparare da tutto e da tutti, ma questo messaggio non ci viene trasmesso solo dalla trama o dal prodotto cinematografico in sé. Gli attori che interpretano i giocatori non avevano esperienza di recitazione – ad eccezione di Jesús Vidal – e soffrono tutti di una disabilità.
Il regista ha saputo dare agli attori la giusta visibilità, offrendo loro l’opportunità di recitare in un film in cui hanno dimostrato di sapersi adattare perfettamente al personaggio e a quanto veniva loro richiesto. Con entusiasmo, duro lavoro, ci regalano un’interpretazione che trascende ogni etichetta sociale.
L’inclusione rimbalza dal film a dietro le quinte. Fesser ha ingaggiato persone con disabilità intellettiva per lavorare in sezioni fuori dallo schermo. Al tempo stesso, ha ricevuto il sostegno di diverse associazioni è questo è stato per lui una forte motivazione. Sensibilizzando e parlando, si possono fare grandi cose.
I premi Goya hanno assorbito la stessa energia e la gioia trasmessa dal film, ma soprattutto hanno brillato durante il magnifico discorso di Jesús Vidal. Parole di gratitudine a nome di tutti i compagni di avventura e di chi, come lui, ha una disabilità. Vidal ha una cecità pari al 90%, ma ciò non gli ha impedito di laurearsi in lingua e letteratura spagnola, prendere un master in giornalismo e, naturalmente, dimostrare le sue doti interpretative.
Il suo è un discorso che dovremmo ascoltare, che ha suscitato sorrisi e lacrime di commozione in un ambiente che a volte, come lo sport, è segnato dalla superficialità e da troppa competizione. Come sottolinea Vidal: “inclusione, visibilità e diversità“, un’immensa lezione e tre parole così necessarie.
Non ci resta che vincere, fresco e divertente
Cogliendo questa innocenza e spontaneità, Non ci resta che vincere trasmette un messaggio umanizzante. La sensibilizzazione può avvenire usare diversi mezzi, come la politica o la cultura. In questo caso è il cinema a proporci di cambiare prospettiva, il modo in cui vediamo queste persone che, purtroppo, sono spesso escluse o messe a tacere.
È la realtà stessa ad aver ispirato il film. L’idea nasce grazie a un articolo comparso sul giornale. Il film non è il primo ad aver affrontato la questione dell’inclusione, ma è divertente e una boccata di aria fresca. Lezioni di vita e di visibilità necessarie perché anche noi, come Marco Montes, abbiamo molto da imparare.
“Noi giochiamo per vincere, non per umiliare”.
– Non ci resta che vincere –
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- Monjas Casares, M. I., & Arranz Moro, F. (2010). El cine como recurso para el conocimiento de las personas con discapacidad: Veinticinco películas de la última década.